1. Rabbi Giacobbe Isacco di Lublino, soprannominato il Veggente, interpellato a riguardo del cammino da seguire per servire Dio, rispose: «Non si tratta di dire all’uomo quale cammino deve percorrere: perché c’è una via in cui si segue Dio con lo studio e un’altra con la preghiera, una con il digiuno e un’altra mangiando. È compito di ogni uomo conoscere bene verso quale cammino lo attrae il proprio cuore e poi scegliere quello con tutte le forze».
2. Dopo la successione di Rabbi Noah a suo padre come Rabbi di Lekhivitz, alcuni chassidim si lamentarono con lui: «Perché non ti comporti come tuo padre, l’ultimo Rabbi?». «Io mi comporto come lui», rispose Rabbi Noah. «Egli non imitava nessuno e anch’io non imito nessuno».
3. Sul letto di morte Rabbi Sussja esclamò: «Nel mondo futuro non mi si chiederà: ‘Perché non sei stato Mosè?’; mi si chiederà invece: ‘Perché non sei stato Sussja?’».
Molte pedagogie religiose insistono sull’esperienza dell’imitazione attraverso la proposta di modelli per la crescita della propria vita spirituale. L’accento viene posto sul dover essere piuttosto che sullo sviluppo del proprio essere.
Ogni uomo ed ogni donna portano in sé la possibilità di realizzare qualcosa di esclusivo ed ineguagliabile. Ma se la persona è una creatura unica, irrepetibile, ne deriva che rinunciando a se stessi, per porsi in qualche modo ad imitare altri, il mondo intero viene a trovarsi impoverito. Un mondo di “cloni spirituali” non conoscerà mai la ricchezza dovuta alla diversità ed ineffabilità dell’ uomo e della donna creati ad immagine e somiglianza di Dio.
Dall’esperienza dei chassidim ricaviamo – al pari di molte altre esperienze religiose, da quelle monastiche e mistiche cristiane, passando per il buddhismo zen e giungendo al sufismo islamico – che è possibile per la persona umana percorrere un cammino tutto suo che porta a Dio.
Possiamo allora dire che oggi sono miliardi le strade che portano a Dio, una per ciascuna persona. E questo non va inteso come il punto estremo di una frammentazione ed individualizzazione dell’esperienza religiosa, quanto il riconoscimento dell’assoluta alterità di Dio che si manifesta nella multiformità dei doni dello Spirito. E neppure va compreso come una radicale affermazione della relatività di ogni cammino religioso. Ma la comprensione, appunto, che a ciascuno di noi Dio riserva un modo tutto nostro per raggiungerlo.
D’altra parte un’autentica esperienza religiosa – lo sottolineano quasi tutte le tradizioni – può avvenire soltanto sotto la guida di un guida spirituale – un padre, uno starec, un Rabbi, un illuminato, un maestro, uno sciamano. E questo vuole anche dire che ogni esperienza religiosa, per essere autentica, è un’esperienza che ci mette in relazione con gli altri nostri simili e ci porta ad accogliere in noi la loro diversità.