II libro del profeta Giona e in realtà, come è stato detto nell'introduzione, un libro poco profetico e ricco di narrazione. Quella di Giona è una storia che ha affascinato da sempre generazioni di lettori, colpiti da particolari davvero efficaci, come il grande pesce che inghiotte Giona, scaraventato in mare nel bel mezzo di una tempesta, oppure come l'improvvisa conversione dei cattivissimi abitanti di Ninive; o ancora la strana pianta di ricino fatta seccare da Dio, che provoca la collera del profeta contro quello stesso Dio che, in un modo o in un altro, lo ha convinto - costretto? - a una predicazione che egli non aveva certo in mente di fare.
Nei quattro brevi contributi che seguono il lettore non troverà un commento esegetico integrale al libro di Giona, ne esistono di facilmente consultabili; troverà invece, oltre al testo del libro biblico, una guida alla lettura di Giona che tiene conto, prima di tutto, dell'andamento della narrazione e delle sue caratteristiche principali.
Ogni racconto — e ciò vale a maggior ragione per i racconti biblici — acquista una sorta di valore «sacramentale»; conduce il lettore all'interno di un mondo a lui di per sé estraneo e rende questo mondo attuale, familiare e vivente per lui, anche distanza di molti secoli. Mettendosi in gioco nel racconto di Giona, il lettore del XXI secolo ritrova molti aspetti della storia della sua stessa vita, una storia che per il credente è allo stesso tempo relazione vivente con Dio.
Il testo di Giona 1
Fu rivolta a Giona figlio di Amittai questa parola del Signore: «Alzati, va' a Ninive, la grande città, e grida contro di essa. perche la loro malvagità è salita fino alla mia presenza». Giona invece si alzò per fuggire a Tarsis, lontano dalla presenza del Signore. Scese a Giaffa, dove trove una nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto, s'imbarcò con loro per Tarsis, lontano dalla presenza del Signore.
Ma il Signore scatenò sul mare un forte vento e vi fu in mare una tempesta così grande che la nave stava per sfasciarsi. I marinai. impauriti, invocarono ciascuno il proprio dio e gettarono in mare quanto avevano sulla nave per alleggerirla.
Intanto Giona, sceso nel luogo più basso della nave, si era coricato e dormiva profondamente. Gli si avvicina l capo dell'equipaggio e gli disse: «Che cosa fai cosi addormentato? Alzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non verremo distrutti!».
Quindi dissero fra di loro: «Venite, tiriamo a sorte per sapere chi abbia causato questa sciagura». Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. Gli domandarono: «Spiegaci per favore chi sia la causa di questa sciagura. Qual’è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual e il tuo paese? A quale popolo appartieni?». Egli rispose: «Sono Ebreo e temo il Signore, Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terra». Quegli uomini furono presi da grande timore e gli domandarono: «Che cosa hai fatto?». Infatti erano venuti a sapere che egli fuggiva lontano dalla presenza del Signore, perche lo aveva loro raccontato.
"Essi gli dissero: «Che cosa dobbiamo fare di te perché si calmi il mare, che è contro di noi?». Infatti il mare infuriava sempre più. Egli disse loro: «Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia».
Quegli uomini cercavano a forza di remi di raggiungere la spiaggia. ma non ci riuscivano, perche il mare andava sempre più infuriandosi contro di loro. Allora implorarono il Signore e dissero: «Ti preghiamo, Signore, fa' che noi non periamo a causa della vita di quest'uomo e non imputarci il sangue innocente, poiché tu. Signore, come a te è piaciuto, così hai fatto».
Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò dalla sua furia. Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e fecero voti.
Chiamata e fuga (1,1-3)
Il libro di Giona si apre all'improvviso presentandoci il protagonista: «Fu rivolta a Giona, figlio di Amittai...». Chi è mai questo personaggio? Apparentemente, un israelita tra i tanti. Ma il suo nome e già indicativo: Yonah è in ebraico la «colomba», un uccello che qui vuol essere forse simbolo del popolo di Israele. Figlio di Amittai, cioè «il fedele». Il profeta Giona potrebbe così indicare uno di quegli israeliti che si ritengono particolarmente fedeli a Dio. Se poi si tratta dello stesso Giona citato in 2Re 14,25, un profeta che predicò rovina e distruzione all’epoca del re Geroboamo II, nel regno del Nord durante l’VIII secolo. in questo caso il narratore vuole suggerirci che il messaggio di Giona sarà sicuramente una parola di minaccia.
Chiunque sia questo Giona, egli si trova di fronte a una chiamata sconvolgente: «Alzati e vai a Ninive, la grande città». Ninive, la potente capitale dell'impero assiro, la nemica per eccellenza di Israele. Basta leggere il libro di Nahum per comprendere che cosa Ninive poteva evocare nella mente di un israelita. Che dovrà fare Giona, una volta giunto là? Il narratore utilizza una tecnica sottile: il lettore si aspetta infatti che la predicazione di Giona sarà sicuramente una minaccia di distruzione nei confronti di una città malvagia: ma il narratore scrive piuttosto: «Grida contro di essa. perché la loro malvagità e salita fino a me». Il narratore fa dunque dire due cose al Signore: che la malvagità di Ninive e troppo grande, tanto da salire fino a Dio (cf. Gn 4,10); e che Giona deve gridare contro la città. Ma noi non sappiamo che cosa dovrà gridare; così, quando ritroveremo il povero profeta giunto a Ninive contro voglia, scopriremo che il suo messaggio non coincide del tutto con quello di Dio
Di fronte a questa chiamata divina Giona fugge; per due volte il testo sottolinea che Giona vuole andare «lontano dal Signore» e per altre due volte che vuole recarsi a Tarsis (in Spagna?), verso i confini del mondo, il più lontano possibile dalla terra d'Israele.
Un particolare ironico: per poter fuggire, Giona deve pagarsi il biglietto: una ben misera fuga, la sua. Vuole la libertà, ma è costretto a pagarsela. E inoltre: fuggire su una nave, nel mare aperto; nel mondo antico non è certamente il modo sicuro per cavarsela; dall' insicurezza di un viaggio a Ninive, all'insicurezza di un viaggio per mare.
Il narratore non ci dice tuttavia un particolare che ci saremmo aspettati: perche Giona fugge? Per paura? La missione a Ninive gli appare una sorta di mission impossible? Per mancanza di fede nel Dio che lo manda? Oppure per umiltà, perche non si sente all' altezza di un compito cosi importante? O avevano ragione alcuni interpreti antichi, che pensavano che Giona fuggisse per amore di Israele? Infatti, la salvezza di Ninive, l'oppressore per eccellenza, avrebbe potuto significare la rovina per Israele.
II narratore utilizza qui la tecnica della reticenza, lasciando che sia il lettore a riempire gli spazi bianchi del racconto. La risposta a questa domanda la troveremo soltanto alla fine (cf. 4,2).
Ma non si tratta dell'unica domanda che possiamo porci: perché Dio sceglie proprio Giona? E perche non gli dice tutto quello che davvero vuole da lui? Perché lo manda senza preavviso e senza ulteriori informazioni nella tana del lupo? Perché, poi, lo lascia libero di fuggire? L'ascoltatore attento di questa storia si pone tutte queste domande, e alla fine è costretto a riflettere sulla grande libertà dei personaggi: sia Giona che Dio sono esseri liberi, non legati a schemi precostituiti. Tutto ciò rende il racconto molto reale e vicino alla nostra vita
Una tempesta inattesa (1,4-12)
La scena della tempesta sul mare che occupa il resto del capitolo è costruita su una grande ironia di fondo; alla fine i marinai pagani si rivelano migliori dell'israelita Giona. Di fronte alla tempesta scatenata da Dio (v. 4), Giona «scende» nel posto più basso della nave e là si addormenta (v. 5).
Questo vocabolario di discesa caratterizzerà anche la preghiera di Giona nel capitolo che segue (Gio 2,3.15) e acquista un forte valore simbolico. La fuga di Giona lo conduce a nascondersi ed estraniarsi dalla realtà. quasi che nulla di ciò che gli accade attorno ormai lo interessasse..
Da questo sonno Giona è richiamato da un pagano, il capitano della nave, che gli rivolge la stessa parola rivoltagli da Dio: «Alzati!» (vv. 2.6). Nel frattempo, il narratore ci ha ricordato che. presi dalla paura. tutti i marinai avevano iniziato a invocare il proprio Dio (v. 5): il capitano si stupisce che anche Giona non preghi. Nelle parole del capitano c'è già una intuizione importante: «Forse Dio si darà pensiero di noi...»; it capitano ha compreso proprio quel che Giona vuole fuggire: il pensiero di un Dio che si occupa proprio di noi.
II tirare a sorte (v. 7) per sapere chi è il colpevole è un mezzo molto usato anche nell'antico Israele; una volta che Giona appare come il vero responsabile della tempesta, il pover'uomo è sottoposto a un vero e proprio interrogatorio (v. 8). La risposta di Giona è un modello di catechismo: ma non si rende conto, Giona, che parlando del Dio del cielo che ha fatto il mare e la terra implicitamente riconosce che tale tempesta è proprio opera sua? Egli dice di «temere» questo Dio: lo teme perche lo rispetta e gli ubbidisce, o lo teme perche ne ha paura? Se Dio è il creatore, sarà anche il salvatore? Di fronte ai marinai disperati (v. 11) Giona afferma di sapere il motivo di questa tempesta (v. 12): è lui stesso.
A questo punto i tanti commentatori del libro di Giona si sono divisi: perché Giona vuole essere gettato in mare? Perché vuol morire? Molti antichi commentatori ebrei pensavano a un atto di generosità, da parte del profeta, che pensa di salvare i marinai sacrificandosi al posto loro. Alcuni hanno pensato a un gesto di estrema ubbidienza da parte di Giona che ormai si fida ciecamente di Dio, anche nella tempesta. Altri invece hanno pensato a un vero e proprio suicidio: come già accadde a Elia (1Re 19,1-9) il profeta intende morire perche non ne può proprio più) ed è ormai rassegnato; o forse questa sua morte sarà l'ultimo suo gesto di protesta di fronte a un Dio che non vuole lasciarlo in pace! Anche in questo caso il narratore è reticente e ogni ipotesi dovrà essere verificata alla fine del racconto.
I pagani temono Dio (1,13-16)
I versetti finali del capitolo (vv. 13-16) sono anch'essi sorprendenti: una volta che Giona è stato gettato in mare la tempesta si placa e la conclusione è che i marinai pagani scoprono la presenza del Dio creatore, gli offrono un sacrificio e gli fanno voti; il vocabolario del «timore» è qui molto vicino a quello della fede.
In un contesto storico polemico contro i pagani, l'autore di Giona va contro corrente e dichiara che i pagani sono in grado di scoprire il vero Dio e di pregarlo (un caso non molto diverso è quello della moabita Rut che si converte al Dio di Israele: cf. Rt 1,16-17). Quando incontreremo gli abitanti di Ninive la nostra sorpresa sarà ancora maggiore di fronte alla reazione dei pagani.
Resta sullo sfondo del capitolo una domanda per adesso senza risposta: che intenzioni ha Dio in tutta questa scena? Dalla paura iniziale dei marinai e dal loro primo tentativo religioso (v. 5) si passa al riconoscimento del Signore. Dio di Israele, da parte dei pagani.
E Giona? Almeno un messaggio che l’autore del libro intende lanciarci è chiaro, a questo punto della narrazione: Giona non aveva mai letto il Sal 139,9 «Se anche fuggo all'estremità del mare, là tu sei»? Nessuno può sfuggire alla propria vocazione, nel popolo di Dio.
Luca Mazzinghi
(da Parole di Vita, maggio-giugno 2009)