Formazione Religiosa

Domenica, 15 Maggio 2016 12:29

I Padri della Chiesa di fronte alla legge dell'Antico Testamento (Jacques Briend)

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I Padri della Chiesa non hanno elaborato una catechesi sistematica fondata sui dieci comandamenti e bisogna attendere sant’Agostino per leggere un commentario al Decalogo che sarà ripreso e ampliato dai teologi del Medioevo, come san Tommaso D’Aquino o san Bonaventura. In realtà il Decalogo è citato spesso presso i Padri greci o latini per la sua seconda parte, che concerne il prossimo, o anche in modo indiretto quando riportano il Discorso della montagna (Mt 5,21-27).

I Padri della Chiesa non potevano ignorare il Decalogo, un testo che essi incontravano a due riprese nella loro lettura dell'Amico Testamento, ma anche nei vangeli sotto forma di lunghe citazioni. È in primo luogo notevole che la parola stessa Decalogo non compaia che nel II secolo d.C. presso Tolomeo (Lettera a Flora) e nel III secolo presso Ireneo di Lione o Clemente di Alessandria.
Al di fuori dei vangeli, il più antico testo cristiano che faccia riferimento al Decalogo è la Didachè o Dottrina dei dodici apostoli, un testo datato alla fine del I secolo. Questo opuscolo si apre con un'esposizione sulle due strade, la via della vita e la via della morte. Il cammino della vita è così definito: «Tu amerai prima Dio che ti ha fatto, poi il tuo prossimo come te stesso, e quello che non vorrai sia fatto a te, non farlo all'altro» (I, 12). Dopo questa affermazione solenne in cui si saranno riconosciuti riferimenti a Dt 6,5, a Lv 19,18 e alla regola d'oro (cf Mt 7,12), compaiono riferimenti al Decalogo del capitolo 20 dell'Esodo (vv. 13-17), ma con un notevole ampliamento quanto all'atteggiamento che si deve avere nei confronti del prossimo.
Questo testo avrà un grande successo e sarà spesso ripreso, in particolare nel libro VII delle  Costituzioni Apostoliche, un'opera che fu compilata ad Antiochia nel IV secolo.  

Presso i Padri greci citazioni, ma nessun commentario sistematico

Un apologista del II secolo, Teofilo, vescovo di Antiochia, ci rivela l'importanza del Decalogo, ma anche i suoi limiti nella prospettiva di una lettura cristiana. Nella sua opera intitolata Tre libri ad Autolico (III,9), egli cita il Decalogo dopo averlo così introdotto: «Noi conserviamo l'insegnamento di una legge santa; d'altra pane non abbiamo per legislatore che il vero Dio che ci insegna a praticare la giustizia, ad essere pii e ad agire bene». Per illustrare queste tre finalità, Teofilo si  richiama al Decalogo: per la pietà, cita le due interdizioni concernenti Dio (Es 20,3-5a); per le buone azioni, cita il comandamento sui genitori (Es 20,12); quanto alla pratica della giustizia, egli invoca la seconda pane del Decalogo (Es 20,13-17), che fa seguire da una citazione di Es 23,6-8, che prende la difesa dell'innocente e del giusto. Questa legge divina è riconosciuta come proveniente da Mosè, un servitore di Dio, che la diede agli Ebrei. «Questa grande e mirabile legge, egli dichiara, che racchiude tutta la giustizia, comprende dieci articoli».
Un esame comparativo permette di scoprire, dei silenzi. Non vi è alcuna allusione al sabato (cf Es 20,8-11); non è detto nulla neppure sull'uso del nome di Dio (cf Es 20,7). Questi silenzi si spiegano nella misura in cui Teofilo lascia da parte tutto quello che richiederebbe una lettura cristiana del Decalogo. Se non parla del sabato, è perché per lui la domenica è il giorno consacrato dei cristiani; se nulla è detto sul nome di Dio, è perché bisognerebbe qui parlare del Dio trinitario. Così Teofilo rispetta il Decalogo che riceve dalla tradizione ebraica, ma allo stesso tempo lascia scorgere i limiti di questo testo dal punto di vista della fede cristiana. Nel III secolo sant'Ireneo di Lione non offre commentari nella sua celebre opera Contro le eresie. Quando egli rinvia al Decalogo, è in realtà attraverso il testo del Discorso della montagna (Mt 5,21-31). Tuttavia nella Dimostrazione della predicazione apostolica (n. 96) Ireneo cita alcune parole del Decalogo (Es 20,13.14.17) che egli designa con il termine di Legge. Se egli fa riferimento al sabato, nè fornisce un'interpretazione cristiana: «Non ci sarà ingiunzione di rimanere senza fare nulla in un giorno di riposo per colui che osserva il sabato tutti i giorni, cioè che rende un culto a Dio nel tempio di Dio che è il corpo dell'uomo».  
Da parte sua Clemente di Alessandria non esita a scrivere nel Pedagogo: «Noi abbiamo il Decalogo, dato da Mosè che è rappresentato da una sola lettera e ci indica il nome che ci salva dal peccato» Questa lettera è la lettera iota, iniziale del nome di Gesù, il che significa che il Decalogo e dato all'inizio da Mosè, poi da Gesù, il nuovo Mosè. Dopo questo esordio, Clemente cita il Decalogo, ma senza tenere conto dell'ordine dei comandamenti ed aggiungendovi una nuova proibizione, fedele in questo ad una tradizione che risale alla Didachè: «Non commetterai adulterio, non adorerai gli idoli, non sarai pederasta, non ruberai, non renderai falsa testimonianza». Come dimostra questa citazione, il Decalogo non è citato integralmente. Clemente ne mantiene la seconda parte che concerne il prossimo secondo un uso pressoché costante presso i Padri.
Nell'immensa opera di Origene, il Decalogo non occupa un posto preponderante. Origene lo evoca certamente nelle sue Omelie sull'Esodo pronunciate a Cesarea di Palestina verso il 240, e non mantiene per commentarlo che il suo inizio. Notazione importante, «la prima frase del Decalogo, egli dice, prima parola dei comandamenti di Dio, è centrata sulla libertà: Io sono il Signore tuo Dio, che ti ha finto uscire dalla terra d'Egitto, da un luogo di servitù». Un poco oltre, egli ripete che «sono precetti di libertà» che il popolo ha ricevuto da Dio sul monte Sinai, perché Origene vede nell'uscita dall'Egitto una liberazione di cui resta il valore simbolico. Proseguendo la sua omelia, egli affronta le prime parole di Es 20,3-6 e si interroga per sapere se vi sono uno o due comandamenti in questi versetti, concludendo che ve ne sono due. Citando Es 20,3: «Tu non avrai altri dèi di fronte ai me», il predicatore si rivolge al cristiano, «a te che attraverso Gesù Cristo sei uscito dall'Egitto e fosti condotto fuori da una terra di schiavitù». Il cristiano è dunque chiamato ad adorare e a servire «l'unico Dio e Signore» che egli professa dal momento del battesimo. Pur commentando l'inizio del Decalogo, Oregine si esprime dunque da predicatore cristiano.
Queste poche citazioni mostrano che la menzione del Decalogo non ha presso i Padri greci alcunché di sistematico. Malgrado l'importanza che gli si riconosce, non è oggetto di alcun commentario sistematico.

Presso gli autori latini, al servizio di una teologia

Il quadro appena tracciato non è autenticamente modificato quando si passa agli autori cristiani di lingua latina. Il primo che conviene menzionare è Tertulliano la cui opera scritta è considerevole. Nato a Cartagine, venuto a Roma per esercitarvi la professione di avvocato, Tertulliano divenne cristiano verso il 195, ma lasciò la grande Chiesa per aderire al movimento montanista. È in questo contesto che egli scrive i cinque libri Contro Marcione in cui prende la difesa del Dio creatore e buono e, più generalmente, dell'Antico Testamento, opponendosi al dualismo divino concepito da Marcione e al rifiuto della Bibbia ebraica. Tertulliano viene a citare la seconda parte del Decalogo  (Es 20,13-17) come leggi dettate dal Dio di Mosè. I comandamenti citati vogliono promuovere  «l'innocenza, la purezza, la giustizia e la pietà»  (II, 17). All'accento messo sull'aspetto positivo del testo biblico - mentre esso è costituito principalmente da proibizioni - Tertulliano aggiunge che vi sono nella Scrittura prescrizioni «sui doveri dell'umanità» poiché essa prevede la liberazione degli schiavi (cf Es 21,2), la cura dei  poveri (cf Es 23,11) ed anche degli animali (Dt 25,4). Il semplice riferimento al Decalogo è qui superato e si vede come Tertulliano rifiuti la  frattura radicale stabilita da Marcione tra l'Antico e il Nuovo Testamento. Il Decalogo è citato nel contesto di una discussione teologica.
Caso analogo in Giovanni Cassiano che, all'inizio del V secolo, in una delle sue Conferenze (VIII), afferma che «tutti i santi, prima della legge, persino prima del diluvio, hanno osservato, anche senza che fossero codificati, i comandamenti della legge». Egli cita allora gran parte del Decalogo e mostra che era osservato dai personaggi dell'Antico Testamento che non avevano potuto ascoltare la legge dettata sul Sinai.  Poiché è impossibile citare tutti gli autori, concluderemo questa panoramica con Gregorio Magno (590-604) che, nelle sue Omelie su Ezechiele (libro II, IV, 9) ci offre una riflessione sul Decalogo. In una meditazione sul simbolismo della porta, Gregorio evoca il rapporto tra la Legge dell'Antico Testamento della grazia nel Nuovo. «Compresa in profondità, egli dice, la Legge, che aderiva alla terra in senso orizzontale, ha acquistato tutto il suo sviluppo verticale. La conoscenza di Dio che ebbero sotto la Legge i Padri illuminati dallo Spirito non è stata posseduta dall'insieme del popolo ebraico. Malgrado la predicazione dei profeti, il popolo ignorava chi erano il Dio onnipotente, la santa Trinità... Il Nuovo Testamento ha fatto si che, oltre ai comandamenti del Decalogo, certamente meglio osservati, crescesse nel cuore del popolo fedele la conoscenza della Trinità». La cosa ammirevole, in questo testo, è che il Decalogo permane valido, non è rifiutato, ma completato dalla fede nel Dio trino. Gregorio Magno non fa che mettere alla luce in modo esplicito ciò che faceva esitare i primi autori cristiani a riprendere la prima parte del Decalogo. In questa panoramica vi è un grande assente, sant'Agostino (354-430), che ha parlato a più riprese del Decalogo nei suoi scritti, in particolare nelle sue Questioni sull'Eptateuco (II, q. 71). Il suo modo di affrontare le difficoltà del testo biblico, la sua scelta sul modo di contare i dieci comandamenti hanno esercitato una considerevole influenza tanto su san Tommaso d'Aquino quanto su san Bonaventura. Il percorso seguito ha permesso di scoprire come il Decalogo sia stato un testo importante, ma anche un testo con certi limiti per una lettura cristiana.

Jacques Briend *

* Esegeta dell’Antico Testamento - Institut catholique di Parigi

(tratto da Il mondo della Bibbia, n. 51)

  

Letto 2864 volte Ultima modifica il Domenica, 15 Maggio 2016 12:39
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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