Formazione Religiosa

Venerdì, 16 Gennaio 2015 14:00

Tatto, gusto e olfatto nella liturgia (Silvano Sirboni)

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Particolari circostanze storiche hanno condotto all'atrofizzazione dei gesti corporali nella liturgia. Gesti che, semplificando molto la problematica, possiamo dire che hanno finito per riprendersi una rivincita nell'ambito della pietà popolare.

I più anziani non hanno difficoltà a ricordare come essi fossero stati formati a guardare il proprio corpo con una certa diffidenza, talvolta esasperata. E non solo nella loro formazione religiosa. Non è questa la sede per analizzare le cause storiche, religiose e filosofiche di tale atteggiamento che ha segnato profondamente molte generazioni che stanno alle nostre spalle. È comunque sintomatico che il concilio Vaticano II si sia sentito in dovere di intervenire affermando che «non è lecito all'uomo disprezzare la vita corporale; anzi, egli è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell'ultimo giorno» (GS 14).
La tentazione di contrapporre l'anima al corpo, lo spirito alla materia, è antica quanto la presenza dell'uomo sulla terra. Già Tertulliano († 220) dovette intervenire sull'argomento per difendere la sacramentalità del corpo quale strumento indispensabile per incontrare la salvezza: è nota la sua frase «Caro salutis cardo». La nostra carne, il nostro corpo con tutte le sue facoltà sensitive è il cardine, lo strumento fondamentale della salvezza.
Particolari circostanze storiche hanno condotto all'atrofizzazione dei gesti corporali nella liturgia. Gesti che, semplificando molto la problematica, possiamo dire che hanno finito per riprendersi una rivincita nell'ambito della pietà popolare, non senza esasperazioni di segno opposto, cioè con una sovrabbondanza talvolta incontrollata e debordante. La riforma liturgica del Vaticano II, attraverso il ripristino della partecipazione attiva e della verità dei segni, ha riconosciuto e restituito al corpo e a tutte le sue facoltà sensitive la piena dignità di strumenti 'liturgici' per esprimere e alimentare, con la sobria dignità del linguaggio simbolico, il dialogo sacramentale con Dio nel pieno rispetto della dinamica dell'incarnazione (cfr. SC 30 e 33; OGMR 42-44; APL, Celebrare in spirito e verità, n. 120).

1. Toccare

Non è il caso di scomodare i dotti trattati di antropologia per renderci conto che il toccare è un elemento fondamentale della nostra umana conoscenza e della nostra comunicazione. Tutti sappiamo quanto un abbraccio, una stretta di mano comunichino assai più delle parole. Quanto il contatto fisico trasmetta un'inspiegabile 'energia' che arriva al cuore e che permette una conoscenza che va oltre la razionalità. Senza dubbio la fede, in quanto dono soprannaturale (come evidenzia il racconto evangelico dell'apostolo Tommaso) va oltre l'esperienza materiale, ma non la elimina. È parte fondamentale della realtà sacramentale.
È significativo che l'imposizione delle mani nei riti di ordinazione come l'imposizione della mano nella confermazione preveda che si tocchi realmente il capo. Del resto è questo il gesto descritto dalla Bibbia per trasmettere un potere e una missione. Con questo stesso gesto di porre fisicamente le mani sul capo aveva luogo anche la riconciliazione dei penitenti. È pure significativo che la formula nuziale venga pronunciata dagli sposi mentre si tengono reciprocamente la mano destra. . .
In breve, per una partecipazione veramente attiva, pur tenendo, presente le diverse sensibilità culturali e le particolari circostanze, non possiamo sottovalutare l'importanza del toccare nella celebrazione liturgica, per quanto sobrio e ritualizzato.

1.1. Darsi la pace
L'apostolo Paolo esorta i discepoli di Cristo a salutarsi con il «bacio santo» (Rm 16,16; 1 Cor 16,20; 2 Cor 13,12). Un gesto che non poteva non entrare nel contesto della Cena (cfr. Giustino, Apologia I, 65). Non c'è dubbio che tale gesto fosse a rischio di abusi, ma fu soprattutto a causa della separazione del popolo dal clero nella liturgia che questo segno finì per essere relegato all'interno del presbiterio nelle messe solenni e riservato a qualche personalità laica (escluse le donne!), in particolari circostanze, ma per mezzo di uno strumento (= instrumentum pacis), per evitare il contatto fisico con la persona (cfr. Ritus servandus, 3). Tale strumento era in genere un'immagine, sovente di metallo nobile, che veniva presentata da un chierico perché fosse baciata subito dopo lo scambio di pace fra il clero (1).
La riforma liturgica del Vaticano II ha ridato verità al segno di pace lasciando alle diverse Conferenze episcopali di determinare, se lo ritengono opportuno, le modalità pratiche nel rispetto delle diverse culture e circostanze. Infatti, questo gesto, per essere 'vero', anche all'interno di una stessa cultura, non dovrebbe essere identico fra due sposi, tra figli e genitori come fra sconosciuti o semplici conoscenti. E’ lasciata, infatti, una certa libertà (cfr. OGMR 82; CEI, Precisazioni, n. 6). Inoltre questo gesto, contrariamente alla prassi stabilita dal Messale tridentino, non ha più un carattere gerarchico discendente. Infatti, la pace partiva dal celebrante e veniva data ai diversi ministri secondo l'ordine gerarchico (cfr. Ritus servandus, 8). Oggi è ritornato a essere lo scambio del dono della pace fra tutti coloro che per il battesimo sono uniti in Cristo.

1.2. Dare il bacio
Il bacio è un contatto labiale che appartiene al simbolismo universale dell'amore e dell'adorazione. Adorare, infatti, deriva dal latino ad-os/oris (= portare alla bocca, alle labbra). Un gesto che intende esprimere il pieno accordo nella parola e soprattutto la piena comunione e partecipazione allo stesso soffio di vita. La liturgia non poteva non accogliere questo segno profondamente umano. Nel vecchio ordinamento della messa, sia per un esasperato senso di sacralità come per compensare con questo gesto eloquente ciò che le parole non erano più in grado di comunicare ai fedeli, i baci si erano moltiplicati a dismisura da parte del sacerdote celebrante e dei vari ministri: baci alle vesti nell'indossarle e del deporle; baci alle cose nel consegnarle e nel riprenderle; baci alle mani (2)...
Con la riforma del Vaticano II anche questo gesto, logorato dalla cerimonialità quasi ossessiva, è stato ridimensionato perché possa essere più significativo delle realtà sacramentali e riservato all' altare e all'Evangeliario (cfr. Inter Oecumenici, 36). Di forte impatto emotivo per i fedeli (anche se non più tassativo e sostituibile con un altro gesto di adorazione) è certamente il bacio della croce (o del Crocifisso) nell'azione liturgica del Venerdì santo. Bacio che sovente, a causa dell'attuale sensibilità igienista, finisce per essere più formale che reale. Per questa ragione, forse ancor più che per l'assemblea numerosa, in molti luoghi si preferisce il rito dell'adorazione fatta da tutti contemporaneamente lasciando il gesto del bacio e del toccare la croce segnandosi all'eventuale adorazione privata (cfr. Messale Romano, p. 153, n. 19).

1.3. Il pane di vita e il calice della salvezza nelle nostre mani
Il ripristino della comunione sulla mano e della comunione al calice hanno di gran lunga superato la vecchia norma che proibiva ai laici di toccare i vasi sacri, se non attraverso un pannolino in caso di emergenza (3). Se ad alcuni il gesto di ricevere la comunione sulla mano, contrariamente a quanto pensavano i grandi Padri della chiesa (Ambrogio, Cirillo di Gerusalemme, Giovanni Crisostomo...), pare poco dignitoso se non addirittura desacralizzante, se compiuto con la gestualità prevista dalle norme è invece colmo di profonda dignità e devozione, non meno della modalità invalsa nel secondo millennio di ricevere il sacramento direttamente in bocca. Con un'opportuna e previa catechesi ricevere il pane consacrato sul palmo della mano costituisce un'emozione che evoca l'esordio della prima lettera di Giovanni: «Quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita... noi lo annunciammo anche a voi».

Gli stessi e comprensibili problemi di igiene che ostacolano il bacio alla croce, hanno messo in difficoltà anche la comunione al calice che, salvo per gruppi molto ristretti, ha finito, anche per gli stessi concelebranti, di essere praticata con la modalità dell'intinzione, cioè senza prendere il calice fra le mani e senza il gesto assai più eloquente del bere. Modalità assai simile a quella praticata da secoli in Oriente.

2. Sapori e profumi nella liturgia

2.1. Pane e vino
Un'autentica partecipazione attiva, secondo la specificità dei diversi riti, è chiamata a coinvolgere anche il gusto e l'olfatto. Per la verità il gusto nella liturgia riguarda unicamente i segni eucaristici del pane e del vino. Materia sacramentale che deve essere 'vera' non semplicemente nella sua composizione chimica, ma anche alla vista e al gusto (cfr. OGMR 321). Per questo «con la massima cura
si conservino in ottimo stato il pane e il vino destinati all'eucaristia; si badi cioè che il vino non diventi aceto e che il pane non si guasti o diventi troppo duro» (OGMR 323).
Non è raro, purtroppo, ricevere particole che hanno il 'sapore' di vecchio, addirittura di muffa. Ciò non intacca la fede, ma rende un pessimo servizio al vangelo perché insinua l'idea che le cose di Dio siano meno importanti della... colazione mattutina. E ciò potrebbe anche minare la fede. Per il grande rispetto che si deve al sacramento e al fedele, sacerdoti, diaconi e ministri straordinari della comunione dovrebbero fare molta attenzione a non trasferire sul pane eucaristico i 'profumi' delle loro mani... Un'attenzione che riguarda in particolare i fumatori.

2.2. L'incenso
L'incenso non è soltanto fumo che sale in alto per esprimere visibilmente la preghiera che sale a Dio. La funzione principale e originaria dell'incenso, sia nell'ambito cultuale sia civile è quello di diffondere profumo (cfr. Ct 3,6). Un profumo che nel contesto della nuova alleanza mira a evocare il buon odore della presenza di Cristo e delle nostre opere buone compiute in suo nome (cfr. 2 Cor 2,15). Preoccuparsi anche di questo particolare non è così secondario come potrebbe sembrare. Il profumo è nella comune esperienza umana l'elemento sensibile che rivela o evoca una presenza (cfr. Ct 3,6).
Senza dubbio il profumo più gradito all'olfatto è quello che proviene da cose e ambienti puliti. Questo dovrebbe essere, nelle situazioni normali, anche il primo 'profumo' che emana dalle nostre liturgie, perché possano testimoniare il primato di Dio. Anche in chiesa, come in tutti gli ambienti, può ristagnare l'aria viziata...
L'uso dell'incenso può essere utile anche fuori dalla celebrazione cultuale per profumare l'ambiente e renderlo più gradito all'olfatto che ha un ruolo tutt' altro che insignificante nella dinamica della comunicazione umana.
Un intervento specifico in questo numero della rivista prende in considerazione il crisma. Mi permetto soltanto di far notare che nel contesto di una corretta catechesi e altrettanto corretta esperienza sacramentale il profumo del crisma dovrebbe essere veramente percepibile all'olfatto sia per la cresima sia per le ordinazioni presbiterali, specialmente se i fedeli hanno la consuetudine di baciare le mani ai neo-ordinati.

3. La salvezza riguarda tutta la persona

Il precedente rituale dell'unzione degli infermi (allora chiamata estrema unzione) prevedeva un'unzione sugli occhi, sulle orecchie, sulle narici, sulla bocca, sulle mani e sui piedi (cfr. Rituale Romanum, tit. V, cap. II) facendo esplicito riferimento a ciò che di male il fedele avesse potuto commettere con i singoli sensi. Se è vero che si possono usare tutti i sensi per agire contro la volontà di Dio, è altrettanto vero che è attraverso gli stessi sensi, tutte le nostre facoltà redente, che noi siamo chiamati a rendere grazie e lode a Dio compiendo il suo volere.
La salvezza riguarda tutta la persona. «Credo la risurrezione della carne»: Dio intende abitare tutto lo spazio del nostro essere, della nostra sensibilità. L'amore non è a compartimenti stagni; coinvolge tutta la persona. Dio entra nella nostra vita e ne prende possesso rispettando le dinamiche dell'umana natura, cioè attraverso i sensi. Per questo tutti i segni sacramentali sono chiamati a coinvolgere la persona umana nella sua globalità, mente e cuore, anima e corpo.

Silvano Sirboni

 

1) L. TRIMELONI, Compendio di liturgia pratica, Marietti, Torino 1959, 390 (ed. anastatica, Marietti, Genova 2007); J.A. JUNGMANN, Missarum Sollemnia II, Marietti, Torino 1954, 243-251 (ed. anastatica, Ancora, Milano 2004).

2) Cfr L. TRIMELONI, Compendio di liturgia pratica, cit., 386s.

3) Cfr. Ibid., 319.

 

(tratto da Rivista di Pastorale Liturgica, anno 2011, n. 288, pp. 3-9)

 

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
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