La crescente diffusione della cremazione non è la sola ragione, ma certamente quella determinante che ha condotto con una certa urgenza alla seconda edizione italiana del Rito delle esequie. Questa è la parte veramente nuova del rituale e costituisce un appendice di ben 42 pagine con un'introduzione che sintetizza le ragioni dottrinali e pastorali riguardanti le esequie in caso di cremazione. L'appendice è giustificata dal fatto che questa parte è propria alla Chiesa italiana in aggiunta all'edizione tipica latina.
Fin dal 1963 l'allora Congregazione del Sant'Uffizio ha permesso per i cattolici la cremazione purché tale «scelta non risulti dettata da motivazioni contrarie alla dottrina cristiana» (RE 15). Infatti, la cremazione, sebbene non abituale nella prassi cristiana, fu esplicitamente proibita soltanto nel 1887 da Leone XIII, non in quanto tale, ma per la ragione che essa era diventata una chiara manifestazione di ateismo e di odio verso la Chiesa da parte della massoneria. La comunità cristiana fin dalle origini, seguendo la tradizione ebraica, ha privilegiato l'inumazione, cioè la sepoltura nella terra. Prassi che fin dai tempi più remoti caratterizza la presenza dell'uomo religioso su questo pianeta. Per il cristiano l'inumazione evoca l'immagine del chicco di grano che, caduto in terra, produce molto frutto; immagine cui Gesù assimila la sua morte e risurrezione (cf Gv 12,24). Soprattutto questo modo di sepoltura evoca il tempo trascorso da Gesù nel ventre della terra prima della sua risurrezione.
Pur manifestando chiaramente la preferenza per l'inumazione, nell'attuale contesto culturale non è più la cremazione che suscita perplessità nella comunità cristiana, ma due prassi susseguenti: la dispersione delle ceneri o la loro conservazione «in luoghi diversi dal cimitero, come ad esempio nelle abitazioni private» (RE 165). Infatti, la dispersione delle ceneri «rende più difficile il ricordo dei morti, estinguendolo anzitempo»; mentre la conservazione delle ceneri in abitazioni private costituisce una "eredità" che può diventare imbarazzante per la generazione successiva (se non prima!) della stessa famiglia. Sia nell'uno che nell'altro caso, emerge una dimensione individualista e privatistica della morte che non appartiene alla comunità cristiana. Per questo entrambe le scelte sono chiaramente e fortemente disapprovate senza per questo arrivare a un'esplicita proibizione che creerebbe più problemi di quanti non ne risolva. Convincere è sempre meglio che proibire. Comunque per chi ha scelto la cremazione nulla cambia nella struttura celebrativa delle esequie; si tratta solo di evitare di scegliere testi che facciano esplicito riferimento all'inumazione o non adatti alla particolare situazione.
È rarissimo, ma può succedere che il feretro debba essere «portato direttamente nel luogo della cremazione, senza una celebrazione in chiesa» (RE p. 211; cf anche n. 15). In tal caso il corpo del battezzato defunto ha diritto alle esequie cristiane. Nel luogo della cremazione non è prevista la messa. Non è, e non deve neppure apparire come una norma "punitiva". A prescindere dalle difficoltà dell'ambiente che, in genere, non è provvisto di un luogo adeguato, la celebrazione eucaristica trova la sua corretta e più significativa collocazione nel contesto della comunità parrocchiale; in quella chiesa (anche se non è proprio quella in cui si è nati e cresciuti) che in qualche modo evoca tutte le tappe sacramentali dell'esistenza cristiana.
Proprio per questa ragione, contrariamente all'edizione precedente (cf RE/1974 91), il nuovo rituale non prevede più la possibilità della messa esequiale nella cappella del cimitero e tanto meno nella casa privata. «La messa sarà celebrata a tempo opportuno, prima o dopo le esequie, ma senza la presenza del corpo del defunto» (RE 99). Un rinvio che, forse, sarebbe opportuno anche in altri casi; quando, ad esempio, si prevede un'assemblea composta in maggioranza da non praticanti e persino da non credenti. Un rinvio che rispetterebbe in primo luogo il sacramento eucaristico e anche le persone che, in maggioranza, sono presenti per lodevoli sentimenti di umana condoglianza, ma non per fede.
Silvano Sirboni
(da Vita pastorale, n. 7/2013, p. 48)