La risposta della storia è, certamente, molto dura, ma assai chiara: in Asia non c'è posto per nessun Cristo, sebbene per ragioni molto diverse. E poiché la storia è la migliore maestra, ho pensato che il suo verdetto potrebbe essere il punto di partenza della mia riflessione.
La testimonianza della storia dimostra che il Continente asiatico è risultato impenetrabile al cristianesimo. In due millenni di evangelizzazione non ha ottenuto più di uno scarso 3% di conversioni. E questo non a causa, necessariamente e primariamente, dell'apparenza coloniale di Cristo. Neppure è da pensare, al contrario, che un adattamento della figura di Cristo alle condizioni locali avrebbe potuto convincere gli asiatici ad accettare la fede cristiana.
Nelle sezioni I e II sottopongo ad esame questi presupposti, mentre nelle sezioni III e IV cerco di precisare i punti concreti di discussione.
I - Il Cristo euro-ecclesiastico della Chiesa ufficiale
Cavalcando sulle onde del colonialismo, il Cristo euro-ecclesiastico raggiunse il potere in America Latina, come fece poco dopo nelle tribù non islamizzate dell'Africa Centrale e continua a fare in Oceania. Come si spiega allora che non è riuscito ad attrarre l'Asia, ad eccezione di alcune regioni ben definite? Vorrei riproporre qui una interpretazione abbastanza plausibile di questo strano fenomeno.
La mia spiegazione presuppone due tipi di religiosità: una cosmica e l'altra metacosmica. La prima abbraccia tutte le culture tribali la cui religiosità si basa sul culto della natura e delle sue forze primarie, tanto nella forma di numi personali come di dei collettivi che costituiscono parte integrante dell'universo, addirittura nel contesto di una spiritualità ecologica. Questo fenomeno è stato denominato, in senso peggiorativo, animismo (…).
Il secondo tipo di religiosità, quello metacosmico, si riferisce alle cosiddette grandi religioni, che postulano l'"esistenza" di un orizzonte immanente e allo stesso tempo trascendente (…), che si presenta come realtà salvifica ed è accessibile all'uomo per mezzo di una conoscenza (gnosis) che libera o di un amore (agape) che redime.
Il meccanismo per cui il Continente asiatico ha rifiutato la fede cristiana si potrebbe spiegare con quella che si è chiamata popolarmente "teoria dell'elicottero e dell'espansione religiosa". La teoria si basa su quattro osservazioni storiche:
1) In primo luogo, le religioni metacosmiche si paragonano ad un elicottero, mentre le religioni cosmiche sarebbero la piattaforma di atterraggio. La confluenza di entrambe porta alla loro pienezza reciproca, giacché sono grandezze complementari. (…). La seconda osservazione si potrebbe formulare in questa maniera: "Il primo ad arrivare è il primo a servirsi". Per esempio, il buddismo arrivò in Tailandia prima del cristianesimo. Tuttavia, nelle Filippine, il cristianesimo fu il primo ad arrivare in determinate aree in cui non era apparsa ancora alcuna religione metacosmica. Per questo, la Tailandia è ancora oggi buddista, mentre le Filippine sono cristiane. (...).
3) Terza osservazione. Normalmente, quando un elicottero ha toccato terra, è difficile che un altro possa atterrare sulla stessa piattaforma. Questo vuol dire, per esempio, che le Filippine difficilmente diventeranno buddiste, come si può supporre che la Tailandia non arriverà a farsi maggioritariamente cristiana. Detto in altra maniera: la conversione di massa di una religione metacosmica a un'altra è altamente improbabile. (...).
4) In quarto e ultimo luogo, non si esclude assolutamente che un elicottero possa essere obbligato ad abbandonare la sua piattaforma di atterraggio. Questo sarebbe il caso in cui una religione metacosmica venisse estromessa da un'altra, a causa di continue e prolungate pressioni politiche o militari, o di certi cambiamenti demografici (per esempio, una immigrazione di carattere colonialista). (…)
Queste quattro tendenze che in nessun modo sono assolute, ma meramente indicative di un'osservazione storica sugli schemi di espansione della religione, spiegano sufficientemente le ragioni per le quali il cristianesimo non ha potuto affondare le sue radici nella maggior parte dell'Asia. (…) Di fatto, l'enciclica Redemptoris missio sceglie l'Asia come campo di una espansione quantitativa del cristianesimo (RM, 37) (…). Ma, basandoci sulle osservazioni precedenti, osiamo pronosticare che nelle culture che già hanno assorbito le grandi religioni, cioè il 90% dell'Asia, non c'è posto per Cristo, se non forse come uno dei tanti poteri cosmici, ossia come una divinità in più tra tutte quelle che popolano il pantheon delle forze cosmiche, ma non come l'unico Signore e Salvatore universale.
II - Il Cristo non occidentale degli intellettuali
In questa sezione il nostro interesse si rivolge, principalmente, agli sforzi fatti da alcuni cristiani individuali o da gruppi comunitari per rompere i modelli teologici stabiliti, per poter trasmettere così l'avvenimento Cristo nel contesto delle altre religioni e culture asiatiche. (…).
In sintesi, nessuna di queste presentazioni di Cristo ha incontrato un posto di rilievo nel cuore delle masse indiane o nella mente della maggior parte dei pensatori più prestigiosi dell'induismo. Le ragioni sono molteplici, come si è già spiegato prima.
Per una valutazione critica dell'autenticità di questi differenti "Cristo", ci si offrono due atteggiamenti: o ci imbarchiamo in una interminabile e complicata analisi del valore cristologico di queste elaborazioni, o piuttosto, e questo è il cammino che mi propongo di seguire qui, scegliamo di confrontarle con la concezione di un Cristo asiatico.
III - Il Cristo asiatico
Utilizzo la denominazione "Cristo asiatico" come abbreviazione di "Cristo dell'Asia", terminologia usata dai vescovi nelle loro celebrazioni liturgiche durante la Conferenza panasiatica del 1974. Ma il mio interesse specifico non è tanto il carattere asiatico di questa immagine di Cristo quanto la componente cristiana di queste categorie, le uniche capaci di rivelare autenticamente i tratti più caratteristici della natura asiatica.
1. Il corpo piagato del Cristo indiano
Il cumulo di umiliazioni subite dal Cristo piagato dell'India è venuto tessendo, a partire dagli anni '70, quello che già si conosce come Teologia Dalit. Il termine "dalit" significa: piagato, calpestato, umiliato, distrutto… naturalmente da un sistema nefasto come quello che impone la discriminazione tra caste alte e basse, e tutte le altre sistematicamente catalogate nella società indiana. La loro identità di intoccabili o emarginati è frutto di lunghi secoli di disumana segregazione in campi come abitazione, educazione, matrimonio, cibo, funerali, accesso all'acqua e, persino, ai templi, e di un profondo stigma sociale e religioso, che considera questi individui come contaminati e contaminanti, come esseri infraumani che non sono neppure persone. (...).
Di conseguenza, nella prospettiva "dalit", la figura del Cristo gnostico non è che un fantasma, creato dai cristiani permeati dalla religiosità indù, ma che, in realtà, calpesta il corpo dell'autentico Cristo indiano (…). Lo stesso accade con i rappresentanti della cosiddetta "Teologia del Terzo Mondo": li si critica severamente, perché parlano solo dei "poveri" in generale, senza tener conto, in concreto, della scandalosa situazione dei "dalit", anche dentro la stessa Chiesa. Di fatto, l'immensa maggioranza dei cristiani, in certe aree il 60%, in altre anche fino al 90%, si proclama "dalit", mentre il 90% delle autorità ecclesiastiche e della produzione teologica è in mano a una minoranza appartenente alle "caste alte". È chiaro che per il "Cristo piagato" non c'è posto neppure nella Chiesa, che, proprio per questo, non può essere corpo di questo Cristo.
Attualmente, un buon numero di teologi "dalit" rifiuta nettamente la metodologia marxista dell'analisi sociale, tanto stimata da alcuni rappresentanti indiani della "Teologia per il Terzo Mondo". La ragione è duplice: da un lato i marxisti indiani non sono riusciti a captare veramente la struttura delle caste, giacché molti di essi appartenevano a caste "superiori" e non avevano un'esperienza diretta della realtà "dalit"; e dall'altro lato le stesse teorie di Marx sulla società indiana e la sua prospettiva di liberazione si basavano ciecamente sulle idee di determinati esperti dell'India, come Max Müller, e nei rapporti amministrativi dei colonizzatori britannici, che mancavano di una conoscenza profonda dell'immensa proliferazione di caste nell'India rurale.
Per questo, nella teologia "dalit", il libro dell'Esodo, tanto utilizzato dai teologi della liberazione, cede il posto alla formula di Dt 26,5-12, nella quale l'israelita fa professione pubblica della sua fede, con riferimento alle sue radici storiche. D'altra parte, poiché l'essenza costitutiva intrinseca di questa teologia è il suo carattere "dalit", il Cristo piagato con cui la popolazione si identifica, che segue e che venera, è fondamentalmente un Cristo non cristiano (…).
Se a questo si aggiunge che al Cristo elaborato dai "dalit" si nega un posto non solo nella società civile, ma anche nelle comunità cristiane, è logico che si scateni una lotta "dalit" contro il Cristo euroecclesiastico della Chiesa ufficiale e contro il Cristo indù degli Ashramitas. Di fatto, queste due visioni temono la conseguenza di dover abdicare alla propria situazione di privilegio in favore di una teologia del Cristo straccione. (...).
2. Il corpo di Cristo sottomesso al "han" in Corea
Nella teologia "minjung" della Corea, questo stesso Cristo dell'Asia appare con un "corpo sottomesso al han". La parola include nel suo significato una miscela di rassegnazione di fronte ad ineludibili forze oppressive, indignazione per la perversità degli oppressori, rabbia contro se stessi per essersi lasciati irretire in una situazione tanto disperata… e un esercito di emozioni diverse. Tutto questo si accumula per costituire una fonte di energia psicologica, che potrebbe scatenare un enorme potenziale rivoluzionario, se arrivasse a straripare dai canali organizzati di una società. Nella vita quotidiana, questa capacità rivoluzionaria si libera solo con il contagocce mediante i riti che celebrano gli sciamani. Ma la liberazione più drammatica dell'energia "han" si produce nel ballo delle maschere, nel quale i "minjung" (gli oppressi) scatenano una specie di spirito profetico contro gli strati più alti del confucianesimo e contro i monaci, rappresentanti della religione metacosmica (che, in Corea, è il buddismo) e alleati fedeli del sistema repressivo. Il ballo agisce come la più aperta e disinibita espressione simbolica delle profonde ansie di libertà che caratterizzano i "minjung".
C'è una differenza tra daejung, le masse offuscate, e minjung, i settori coscientizzati. Non implicherebbe questo due momenti distinti nella vita del Cristo coreano: il momento della sottomissione al "han" e quello della liberazione dal "han", in cui si compiono le aspettative messianiche del popolo? Non bisognerebbe interpretare il passaggio da un momento all'altro come l'essenza costitutiva primaria della pratica del cristianesimo in Corea? (...).
La cristianizzazione delle tradizioni "minjung" ha avuto luogo durante il XIX secolo, e in modo così specifico da trasformare la Corea nel primo Paese asiatico che ha seminato il germe di una teologia della liberazione. Per la prima volta, una nazione asiatica riceveva la Bibbia non come il libro sacro di alcuni stranieri arroganti a aggressivi, ma come la storia sacra dei "minjung". Considerando che il giapponese e il cinese erano le lingue che impiegavano i letterati della Corea, l'edizione della Bibbia in lingua coreana e, concretamente, in caratteri "hangul", produsse effetti esplosivi tra i "minjung". In essa appariva un Dio solidale, che annunciava un messaggio liberatore con le parole della loro stessa lingua e con tutte le caratteristiche narrative, drammatiche e poetiche del loro stesso genio popolare, tanto diverso dalle incomprensibili astrazioni di quel Dio che proclamavano i missionari nella loro catechesi.
Si può dire, di conseguenza, che l'inserimento della fede cristiana in Corea ha avuto, dall'inizio, una indiscutibile dimensione politica, e ha svolto una funzione molto significativa nella lotta per la liberazione nazionale, al contrario che in altri Paesi dell'Asia, dove a suscitare sentimenti nazionalisti contro i colonizzatori occidentali sono state altre religioni non cristiane. Non è strano, allora, che alcuni libri della Bibbia, come l'Esodo e la profezia di Daniele, vennero proibiti in Corea, perché considerati potenzialmente sovversivi. In sintesi, arriviamo a questa conclusione: la Bibbia, quando si propone in maniera accessibile ai diversi popoli dell'Asia che soffrono sotto l'oppressione, diventa facilmente il seme di un cristianesimo autenticamente asiatico, dal momento che permette a ciò che è più valido delle stesse tradizioni asiatiche, naturalmente non cristiane, di liberazione di essere assorbito in una coscienza veramente ecclesiale. Non dovrebbe allora risultare sorprendente che i pastori della Chiesa abbiano cercato di unire tutti i loro sforzi per spoliticizzare e privatizzare la fede del cristianesimo coreano, e, in molti casi, con notevole successo.
Ancora oggi, gli spietati scontri tra un cristianesimo neocolonialista e certe ideologie di carattere riformista cercano di impedire che le masse disorientate (i daejung) arrivino a rompere le proprie catene e ad esercitare la propria funzione di popolo messianico (minjung). La Pasqua, cioè il passaggio da una condizione di Servo Sofferente - sottomissione al "han" - a uno stato di esaltazione - liberazione dal "han" - è l'unica via che ha il Cristo asiatico per manifestarsi in Corea come l'"alleanza" tra Dio e gli oppressi. Quello che oggi impedisce in Corea questa "cristofania" è la perversità di un ordine esclusivamente basato su Mammona, che non lascia altro posto che per un Cristo senza la croce, cioè per un cristianesimo che vive a suo agio in questo disordine.
3. La "Crista" che allatta nel femminismo asiatico
La donna asiatica è totalmente estromessa. Non c'è posto per lei, per quanto si esaurisca e si consumi al servizio dell'uomo, in casa, in ufficio, nei campi, nella selva, nella fabbrica, nel turismo, nei postriboli e nelle chiese. La loro sorprendente somiglianza con Cristo resta plasmata, con un'aggressiva e stupenda espressività, nelle xilografie di Hyung Kyung Chung, che ci presentano una "Crista coreana": una donna sciamana, con le braccia stese su una croce, che riposa su un fiore di loto, una spada in una mano, un recipiente di riso nell'altra; il costato aperto del "Crocifisso", da cui sgorga l'acqua dello Spirito, si simbolizza in un petto di donna, nudo e pronto all'allattamento.
L'immagine intende sottolineare il fatto che una donna sciamana, per quanto non occupi nella società un posto rispettabile, è la più accessibile fonte di consolazione e di stimolo per una popolazione femminile sottomessa al han. Questa donna è come una sacerdotessa del han. Applicando questa osservazione a tutte le altre religioni cosmiche dell'Asia, Chung afferma: "L'esistenza in Asia di una religiosità popolare centrata sulla donna, come lo sciamanesimo coreano, il buddismo popolare cinese che venera Kwan In (una divinità femminile) o il culto filippino a Ina (la dea madre), è una testimonianza tra le più significative della resistenza delle donne a ogni religione di carattere patriarcale". (...).
L'accento cosmico del femminismo differisce considerevolmente da un accento secolarizzato. In questo ultimo si riflette un aspetto antireligioso del femminismo, che reagisce all'aspetto antifemminista della religione. Ma nel "cosmico" si combina il carattere terreno, quello femminile e quello religioso, che sono tipici dei poveri. Per questo, l'impegno delle donne appartenenti alle classi più basse con i movimenti di orientamento ecologico è una delle note caratteristiche del femminismo asiatico.
Da qui si osserva in Asia una tendenza ad appropriarsi, nel terreno teologico, di quello che prima si condannava con il nome di religiosità "popolare" ("cosmica", secondo la nostra terminologia). (…) È la spiritualità del Cristo asiatico, tra i cui membri la discriminazione tra uomo e donna, casta superiore e inferiore, cristiano e non cristiano (cfr Gal 3,28) è meno accentuata che tra quanti negano a questo Cristo un posto in Asia.
Il Cristo del Terzo mondo in Asia
L'uso persistente dell'espressione "Terzo mondo" irrita quelli che pensano che questa denominazione ha perso il suo significato a partire dal crollo del "Secondo mondo". È così innanzitutto perché si interpreta il termine "terzo" non proprio come "numero 3" nella serie numerica. Di fatto, nel suo significato originale (francese), la denominazione designava "una realtà differente" dal primo e dal secondo mondo, una specie di "terza via" per organizzare la società, un modello "alternativo" a quelli già esistenti. Precisamente a questa interpretazione si è ispirato il Movimento dei Non Allineati. E, poi, il termine fa riferimento ai "due terzi" del mondo, a questa popolazione prolifica di diseredati che costituisce l'immensa maggioranza degli abitanti del pianeta. Infine, in questa denominazione è implicita l'idea che il mondo dei poveri non è che il sottoprodotto della plutocrazia imperante nel Primo mondo.
A questi tre significati i teologi tanto dell'Africa quanto dell'Asia e dell'America Latina aggiungono una quarta interpretazione, di carattere "biblico-cristologico": la realtà del "Terzo mondo" comprende i poveri della Terra, gli umili, emarginati e diseredati che Dio ha eletto come destinatari e parte contraente della sua alleanza per realizzare in essi il suo piano salvifico della liberazione umana. Questo "Terzo mondo" è il Cristo nei cui membri Gesù vive: solo per, con e nel "Terzo mondo" la Chiesa può sperimentare la sua chiamata a vivificare la sua missione e a ricreare, tramite di esso, la sua stessa identità ecclesiale.
I figli di Giacobbe, di fronte alla minaccia di morire di fame, si diressero ad Est, verso l'opulenta terra d'Egitto, per cercare un aiuto economico; ma divennero schiavi del loro benefattore sia politicamente che culturalmente. Ebbene, questi stessi furono scelti dal loro Dio, Yavhè, per inventare un "terzo modo" di costituire una comunità in una terra intermedia tra le due potenze più importanti del momento, l'Egitto e Babilonia. Allo stesso modo, il "Terzo mondo", chiamato da Yavhè per essere suo socio nella costruzione di un mondo sognato, fondato sulla giustizia e sull'amore, è diventato ora una sfida teologica e cristologica, in quanto la maggioranza dei membri del corpo di questo Cristo del Terzo mondo sono asiatici e non cristiani.
IV. Il Cristo asiatico, segno di contraddizione
Le teologie asiatiche si evolvono in un processo dialettico di risoluzione dei conflitti. Di seguito ne segnalo quattro. I cristiani asiatici hanno bisogno di tempo e di libertà per risolvere questi conflitti a modo loro.
1. Tre Cristo in conflitto
Nella cristologia tradizionale, attraverso la quale credo di poter rendere intellegibile al resto della Chiesa il processo di ricerca in cui si è imbarcata l'Asia, "Cristo" è un titolo in cui si sintetizza tutto quello che il credente cristiano ha attribuito a Gesù a partire dall'esperienza della Pasqua. Gli elementi che ci interessano maggiormente sono tre: la sovrapposizione del nome di Cristo al nome della Trinità (presenza salvifica di Dio nella storia), come si trova nelle più antiche anafore asiatiche, cioè quelle siriache; l'intrinseco legame di Cristo, cioè Gesù risuscitato, con il suo corpo terrestre, vale a dire la Chiesa, come recita la catechesi paolina; Cristo come continuità del ministero terreno di Gesù nella vita e nelle difficoltà dei poveri e dei diseredati i quali, in quanto vittime del disprezzo umano, sono, perciò stesso, i giudici escatologici di tutti i popoli (Mt 25,36ss).
Così si spiega come il carattere prevalentemente "non cristiano" di Cristo sia giunto ad essere un fattore determinante nei quattro tipi di teologia asiatica esposti nella III sezione di questo articolo. Questo non pone alcun problema se si mantiene il credo tradizionale per cui sebbene tutto quello che si riferisce a Gesù appartiene a Cristo, non tutto quello che si riferisce a Cristo deve appartenere a Gesù (Iesus est totus Christus, non totum Christi). È impossibile che Gesù cresca fino a raggiungere la statura piena di Cristo se tutti i suoi membri in maggioranza non cristiani, in unione con tutto l'universo, non lottano come lui anche fino alla propria morte, per realizzare su questa terra il Regno di Dio.
I membri cristiani delle Comunità umane di base (Chb) sono impegnati nell'elaborare questa cristologia, alla cui luce le tre immagini di Cristo presentate precedentemente (sezione I) sono soggette ad un verdetto come questo: il Cristo della Chiesa ufficiale non è solo europeo, ma anche ecclesiastico, ossia un corpo mostruoso di cui non si vede la testa, che è Gesù. Tuttavia il Cristo non europeo dei gruppi scelti dell'Asia soffre del contrario, poiché non è ecclesiale: è una testa senza corpo, un Gesù troncato del Cristo totale. In contrasto con queste due figure, il Cristo asiatico che riconoscono, annunciano e venerano la Chb, chiamato a volte il Cristo non cristiano, è il corpo autentico, sebbene ancora non si sia trovato un nome per la sua testa.
1. Due missiologie in conflitto
È logico, di conseguenza, che la ricerca teologica in Asia implichi due missiologie opposte, che riflettono le tre immagini di Cristo. Una definisce la missione come il metodo, non importa quale, di procurare a Cristo un posto in Asia; l'altra chiarisce le conseguenze di riconoscere e proclamare che Cristo non ha posto in Asia.
Il Cristo euro-ecclesiastico iniziava già a sparire in Asia, in virtù degli sviluppi postconciliari su una teologia della Chiesa locale, quando la missione di cristianizzare il continente asiatico ha perso abbastanza forza a vantaggio della rinnovata missione di "asiatizzare" il cristianesimo. Alcune Chiese asiatiche hanno rifiutato la loro condizione di semplici appendici del patriarcato occidentale, e non hanno risparmiato sforzi per presentarsi davanti a tutti gli asiatici come un segno evidente e un cammino fattibile verso il Regno di Dio, vissuto in Asia già da tempi immemorabili.
Bene, la prima vittima di questa nuova ecclesiologia è la cristologia; la seconda, il proselitismo. Perché il "Cristo dell'Asia", che invocavano nelle loro celebrazioni liturgiche i vescovi riuniti nella Conferenza panasiatica del 1974, sembrava che esistesse in Asia già molto prima che vi arrivasse la Chiesa, e che ancora oggi agisce ben oltre i limiti della Chiesa. Erano tutti coscienti che stavano riconoscendo, in maniera tacita, la realtà di un "Cristo non cristiano", con la loro tensione a una Chiesa veramente asiatica? Le riflessioni cristologiche che accompagnavano questa nuova ecclesiologia davano luogo ad una certa confusione riguardo ai metodi missiologici e creavano serie preoccupazioni nella Chiesa.
L'enciclica Redemptoris Missio viene a confermare questi sospetti, più che a metterli a tacere. Nonostante la sua reiterata insistenza su varie dottrine conciliari, non smette di rivelare il suo proposito occulto già nelle prime righe dell'introduzione. Si arriva così a pensare che la Chiesa, nel perdere la sua sovranità su un Occidente secolarizzato, vuole mantenere a tutti i costi il suo ferreo controllo sopra un Sud indubbiamente religioso, che per la sua rapida crescita promette di diventare il nuovo centro del cristianesimo, tanto nel numero come nella qualità, oltre ad essere il tradizionale terreno degli scontri mondiali. (...).
L'enciclica raccomanda di non porre troppa enfasi sul "Regno di Dio", ma piuttosto sull'"espansione della Chiesa", come obiettivo primario della missione: l'Asia deve aprire le porte a Cristo [l'euro-ecclesiastico] " (!). È una missiologia che cerca di creare un posto per Cristo in tutti gli angoli dell'Asia.
Come si è già detto prima, certi teologi asiatici, di stampo essenzialmente intellettualista, hanno lasciato appena il segno. I loro sforzi si sono diretti principalmente a trovare un Cristo non occidentale, che potesse occupare "un posto d'onore" negli strati più scelti del mondo religioso autoctono, invece di scoprire il carattere eminentemente cristiano dei poveri dell'Asia, poveri che, come Gesù, non hanno una casa decente in cui nascere (Lc 2,7), né un paese degno in cui poter vivere e lavorare (Gv 1,46), né un luogo sicuro nel loro proprio Paese per scappare dai loro oppressori (Mt 2,13-14), né un luogo onorevole per morire (Lc 23,23), né una tomba propria per essere sotterrati (Mt 27, 59).
2. Due ministeri in conflitto
Pertanto è la scoperta del carattere veramente cristiano di questi poveri dell'Asia, diseredati, ma di una profonda religiosità sebbene non specificatamente cristiana, che ha ispirato una nuova ricerca teologica, in linea con la seconda concezione della missiologia esposta sopra. Il suo obiettivo non è quello di procurare un posto al Cristo diseredato, ma quello di esercitare un ministero impegnato con questo Cristo.
Persino in questa prassi ministeriale si possono distinguere due tendenze: una che esercita il ministero ecclesiale della cura rispetto al Cristo asiatico, e l'altra che cerca di partecipare direttamente al ministero profetico che esercita il Cristo asiatico rispetto alla Chiesa e alla società.
La prima tendenza ha come rappresentanti non solo Teresa di Calcutta e la congregazione da lei fondata, ma anche numerosi uomini e soprattutto donne, la cui eroica testimonianza di carità e amore è autenticamente cristiana. E tanto più in quanto la si esercita senza la cassa di risonanza dei mezzi di comunicazione che, in definitiva, opererebbe a spese dei poveri. Solo che questo lavoro si sviluppa all'interno della struttura ecclesiastica.
L'altra tendenza, da parte sua, può riuscire solo nelle Comunità umane di base, che agiscono in maniera autonoma, al margine della Chiesa ufficiale. È un tipo di missione che non promette lo stesso genere di consolazione dell'altro gruppo. È tutta questione di un impegno di fede, assolutamente radicale, nel progetto della liberazione umana e della trasformazione sociale, basato sulla convinzione che la mancanza di posto in Asia per un Cristo asiatico è intrinsecamente costitutivo del peccato che affligge la società civile e quella religiosa (inclusa la Chiesa).
Per questo il vero Cristo dell'Asia non pretende un posto in questo sistema, corrotto dal peccato. Egli ne è la vittima e il giudice; ma in nessun modo il complice. L'autentica missione cristiana, così come si articola nelle Chb, esige un cambiamento radicale nelle società asiatiche, il cui orizzonte è quello di convertirsi ad un progetto di liberazione come quello inaugurato da Cristo. In questa prospettiva, il battesimo non è precisamente lo strumento più adeguato per espandere la Chiesa, a spese del Cristo asiatico. L'espansione ecclesiale consiste, soprattutto, nel "fare discepoli fra tutti i popoli" (Mt 28,19) seguendo la via crucis di una partecipazione disinteressata, di modo che la vita di ogni popolo recuperi il suo orientamento primario, secondo le esigenze del Cristo asiatico.
La separazione di queste due classi di ministero è un ostacolo per la realizzazione del Regno di Dio. Il "ministero delle cure" non servirà che a perpetuare l'ordine del peccato, se non va gomito a gomito con l'annuncio profetico di azione e parola del Cristo asiatico, come il giudizio di Dio sulle nazioni (attenzione, Teresa di Calcutta!). Però l'attività profetica delle Chb può causare dissonanze ideologiche, per disperazione, se le cure non illuminano la sua parola liberatrice con un sorso di speranza, vale a dire, con un sospetto almeno della pienezza escatologica. La riconciliazione delle due tendenze è vitale per l'altra delle richieste del Cristo asiatico: le rievangelizzazione della Chiesa ufficiale attraverso le Chb, un compito che richiede la mediazione dei ministri delle cure, che agiscono dall'interno delle strutture ecclesiali. Da qui deriva la nostra osservazione conclusiva:
Il conflitto centro/periferia
La Chiesa ufficiale, a causa del suo complesso di minoranza, ha spesso compromesso lo sviluppo della sua missione evangelica a causa della sua alleanza con i poteri di fatto e perché crea e regge istituzioni orientate a produrre leader scelti. Allontanata dal Cristo asiatico, può aver contribuito indirettamente all'espulsione di questo stesso Cristo. L'autorità apostolica della Chiesa ufficiale dipende dalla sua continuità con Gesù di Nazareth. Però questa continuità si spezza se la Chiesa non forma un unico corpo con il Cristo asiatico. Le Chb forniscono il canale perché la Chiesa possa ristabilire questi vincoli e recuperare la sua autorità perduta. Così, del resto, potrà rompere definitivamente le catene del feudalesimo euro-ecclesiastico. (...).
Il "centro", ossia la stessa gerarchia ecclesiastica, è il primo destinatario di questa specie di "rievangelizzazione" che viene dalla "periferia". Però, come già si è detto, è difficile che si abbia la conversione del "centro" se non si dà una confluenza tra le due correnti ministeriali (il ministero di curare il Cristo asiatico, e l'attività profetica del Cristo asiatico), perché da lì germogli una sola prassi cristiana.
Se succede questo, il Cristo asiatico, fino ad ora "pietra" di inciampo e, persino, di caduta per la Chiesa, può cominciare ad essere la roccia della sua salvezza (Rom 9,32 33). Allora, la Chiesa non dovrà spendere le sue energie per "procurare un posto a Cristo nelle società asiatiche", ma lascerà il sangue e la vita nella "trasformazione interna di queste società, in cui non c'è posto per Cristo".
(da Adista, n. 80, 8 novembre 2003)