Chiunque legge i testi evangelici constata che Gesù pur rifiutato da molti aveva affascinato in modo straordinario i suoi contemporanei. I sinottici sottolineano in diversi contesti l’entusiasmo della folla che lo «seguiva» (Mt 12,15; Mc 3,7; 4,1; 5,21; Lc 12,1), benché si trattasse di una sequela con motivazione non sempre retta e con sentimenti più o meno superficiali. C'era però un gruppo di uomini e donne che aderivano a Lui radicalmente e collaboravano con Lui nella sua opera evangelizzatrice. Tra questi, come segnala Luca, esiste una certa graduatoria a seconda dell'intensità della sequela e della modalità di partecipazione alla missione di Gesù. Il gruppo che più gli è vicino è formato dai dodici; poi c'è la cerchia più vasta dei discepoli che Luca ha tipizzato nei settantadue inviati da Gesù nelle regioni pagane (Lc 10,1-12). Infine, a raggio sempre più ampio, il discepolato si estende anche ad un gruppo di donne che «seguivano» e «servivano» Gesù fin dalla sua missione in Galilea (Lc 8,1-3; cf Mc 15,41). Da ciò sembra che Luca abbia voluto storicizzare l'intenzione di Gesù di tracciare l'itinerario ideale del dinamismo del Vangelo: «Sarete miei testimoni in Gerusalemme, in tutta la Galilea e la Samaria sino agli estremi confini della terra» (At 1,8).
Dopo l'evento pasquale, man mano che il Vangelo «corre» per il mondo e lungo la storia, il progetto di Dio coinvolge un gruppo sempre più numeroso di collaboratori impegnati nell'evangelizzazione, in comunione e in continuità con i dodici. Sono uomini e donne di diverso stato sociale e con diversi carismi, ma a servizio di un unico Vangelo. Ad essi è dedicata questa breve presentazione panoramica (1). Non è facile farne un inventario completo e sistematico. Ci limitiamo a raccogliere i dati più evidenti che emergono dagli Atti degli Apostoli e dalle lettere paoline, seguendo le fasi alquanto fluide dello sviluppo della Chiesa primitiva.
La Chiesa-madre di Gerusalemme
Nella primitiva comunità di Gerusalemme responsabili indiscussi erano i dodici, aventi quale perno Simon Pietro. Mentre la comunità cresceva, sorgevano difficoltà interne che esigevano la creazione di una nuova struttura organizzativa. C'era «un malcontento tra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana» (At 6,1). Le radici del conflitto erano però più profonde. Si trattava della difficoltà di convivenza tra i due gruppi linguistici che erano in fondo anche due gruppi etnico-culturali, con due modi diversi di concepire la novità cristiana.
Il conflitto fu risolto quando «i dodici convocarono il gruppo dei discepoli» (At 6,7) e decisero di creare una nuova struttura a favore dei cristiani di lingua greca che erano meno organizzati rispetto a quelli di lingua ebraica/aramaica.
Sette «uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza» (At 6,3) ricevettero l'incarico di occuparsi del «servizio delle mense». Luca riporta l'elenco completo di questi sette uomini tra cui spiccano soprattutto i primi due: Stefano e Filippo.
Stefano, guida e portavoce del gruppo dei sette, dotato di qualità carismatiche e di forza spirituale (At 6,8) si erge come modello di libertà, di coerenza e di coraggio. La sua disputa con i membri del sinedrio rappresenta l'inizio del confronto diretto tra Chiesa e Sinagoga, tra la novità cristiana e la tradizione ebraica, un confronto che la Chiesa dovrà portar avanti con fermezza, chiarezza e cautela. Il suo martirio, tratteggiato da Luca sul modello della passione e morte di Gesù, lo rende esempio ideale dei martiri cristiani, che seguono Gesù fino a condividerne il destino della croce.
La persecuzione scatenata attorno a Stefano anziché soffocare l'iniziativa evangelizzatrice dei cristiani di lingua greca, la lancia verso nuovi campi di missione fuori di Gerusalemme. Filippo, un'altra figura eminente del gruppo dei sette, espulso da Gerusalemme, «sceso in una città della Samaria, cominciò a predicare loro il Cristo» (At 8,5). Filippo infatti, noto anche con l'appellativo di «evangelista» è il protagonista dell'evangelizzazione della Samaria, un ambiente sincretista, disprezzato come pagano dai giudei. Nell'opera missionaria dì Filippo, in particolare nell'episodio della conversione del ministro della regina di Etiopia (At 8,26-40), Luca vede la guida misteriosa dello Spirito che anima la diffusione del Vangelo verso i lontani, servendosi di collaboratori umani da lui ispirati e agendo in circostanze anche impreviste. Dopo il battesimo dell'eunuco «adoratore di Dio», Filippo percorse le città della costa fino a Cesarea; qui dà origine a una chiesa domestica, dove hanno un ruolo attivo anche le sue quattro figlie dotate di carisma profetico (At 21,8).
La vita dei cristiani di lingua aramaica non è meno vivace. Essi sono guidati da un gruppo di presbiteri (11,30; 15,2.4,6,22; 16,4; 21,18) che fanno capo a Giacomo, «fratello del Signore», il quale, benché estraneo al gruppo dei dodici, ben presto si afferma come figura eminente, diventando capo della comunità di Gerusalemme quando Pietro, lasciata la città santa, si fa missionario in Siria. L'organizzazione della comunità non è rigidamente centralizzata. Anche «i fratelli» vengono spesso associati a decisioni importanti (At 1,15; 6,3-6; 15,22).
La Chiesa di Antiochia
Antiochia segna una tappa importante del cammino del Vangelo. Fu per i cristiani di lingua greca perseguitati a Gerusalemme che il cristianesimo giunse in questa città. Essi aprirono una pista pastorale inedita e audace: «Giunti ad Antiochia, cominciarono a parlare anche ai Greci predicando la buona novella del Signore Gesù. E la mano del Signore era con loro e così un gran numero credette e si convertì al Signore» (At 11,19-21).
Ad Antiochia nacque quindi una comunità aperta, vivace, dove coabitavano, uniti nella stessa fede, cristiani convertiti dal giudaismo e dal paganesimo.
Come segno di responsabilità e di comunione, la Chiesa-madre mandò ad Antiochia un uomo di fiducia, un servitore zelante del Vangelo, Barnaba.
Originario di Cipro, Barnaba aderì al cristianesimo con entusiasmo e radicalità, mettendo anche a disposizione dei poveri tutte le sue proprietà (At 4,36). Giunto ad Antiochia «vide la grazia del Signore, si rallegrò e, da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede, esortava tutti a perseverare con cuore risoluto nel Signore. E una folla considerevole fu condotta al Signore» (At 11,23-24). Barnaba aderì allo stile evangelizzatore di Antiochia e divenne lui stesso un animatore zelante di questa comunità. Fu lui a cercare Saulo per cooptarlo nella nuova progettazione pastorale di apertura verso i pagani. Ben presto Antiochia divenne la base di lancio per un'evangelizzazione a raggio più vasto. Barnaba e Saulo furono i primi missionari scelti e invitati dallo Spirito per questo nuovo compito.
I nomi di Barnaba e di Saulo appaiono anche in una lista di cinque «profeti e dottori» (At 13,l) (29. Non è facile decifrare la fisionomia ministeriale e le funzioni precise di questa categoria di animatori. Già a Gerusalemme esisteva un gruppo di «profeti», i quali sotto l'impulso dello Spirito rivolgevano alla Chiesa parole di esortazione e di incoraggiamento per discernere e attuare la volontà di Dio in determinate circostanze. Tra questi vi era un certo Agabo, profeta itinerante che da Gerusalemme arrivò ad Antiochia e invitò i cristiani di quella città e fare una colletta per i poveri della Giudea (11,27; cf 21,10-11). La funzione dei profeti si associa spesso a quella dei dottori, i maestri incaricati della catechesi e della formazione dei cristiani. Le due qualifiche potevano essere attribuite alla stessa persona. Anche Paolo nelle sue lettere unisce «profeti e maestri» collocandoli negli elenchi dei carismi subito dopo gli apostoli (cf 1 Cor 12,28; Rm 12,6-7; Ef 2,20; 4,11).
Ad Antiochia il gruppo dei «profeti e dottori» era formato da persone che per la loro autorevolezza spirituale, guidavano la comunità attraverso l'animazione e l'insegnamento. Da questo gruppo lo Spirito scelse Barnaba e Saulo per un nuovo compito missionario. Tutta la comunità, unita in preghiera e in fraterna solidarietà partecipò alla missione dei due inviati (At 13,7).
Nella sua attività missionaria (cc. 13-14), Barnaba si presenta all'inizio come figura principale, ma poi cede progressivamente il posto a Paolo che diventerà il protagonista della fase successiva dello sviluppo della Chiesa.
Le comunità paoline
Con Paolo la «corsa» del Vangelo si accelera decisamente e acquista orizzonti sempre più vasti. Paolo è convinto che lo Spirito distribuisce i suoi doni a tutti i cristiani. «A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune» (1 Cor 12,7). Tutti sono chiamati a prestare servizio alla comunità a seconda dei doni ricevuti e delle esigenze concrete. Tutti sono corresponsabili della crescita della comunità. È quindi ovvio trovare Paolo attorniato da molti collaboratori nella sua impresa missionaria. Gli Atti e le Lettere conoscono un centinaio di credenti che in vari modi s'impegnavano al servizio del Vangelo. Il nome di alcuni di essi ci è noto.
Ricordiamo anzitutto Anania di Damasco, da cui il nuovo convertito ricevette la prima iniziazione al Vangelo di Gesù Cristo (At 9,10-19; 22,12-16).
Come colleghi di missione Paolo avrà Barnaba, poi Sila, che lo accompagnerà nell'attività missionaria in Europa (At 15,40-18,17; 2 Cor 1,19; 1 Ts 1,1). Apollo, considerato da Paolo con affetto come «fratello» (1Cor 16,17), uomo colto, eloquente ed esperto nelle Sacre Scritture, svolge un'attività fervida a Efeso e poi a Corinto dopo la partenza di Paolo da quella città. Egli suscita molti ammiratori ed è «molto utile a quelli che per opera della grazia sono divenuti credenti; confuta infatti vigorosamente i Giudei, dimostrando pubblicamente attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo» (At 18,27-28).
C'è poi una coppia, Aquila e Priscilla, molto attiva nell'ambiente ecclesiale paolino. Paolo li considera suoi «collaboratori in Cristo Gesù» (Rm 16,3). Ad Efeso essi aiuteranno Apollo ad approfondire la sua formazione dottrinale (At 18,26). Li ritroviamo poi a Roma, impegnati nella comunità che fa capo alla loro casa. Paolo è legato a loro con affetto e riconoscenza anche per un motivo menzionato esplicitamente: «per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa» (Rm 16,3-4).
Tra i collaboratori stretti, coloro che fungono da longa manus di Paolo, emergono soprattutto Timoteo e Tito, ai quali Paolo affida missioni importanti e delicate e verso cui egli nutre molta stima ed affetto paterno. Di Timoteo Paolo dichiara espressamente di non aver nessuno che eguagli la sua grandezza d'animo e la sua dedizione generosa alla Chiesa: «ha servito il Vangelo con me, come un figlio serve il padre» (Fil 2,22).
In tutte le comunità locali legate a Paolo constatiamo la presenza di uomini e donne impegnati al servizio del Vangelo e dei fratelli: a Corinto Stefano e la sua famiglia (1 Cor 16,15-18), a Filippi Epafrodito (Fil 2,25-30), Evòdia, Sintiche, Clemente e altri che «hanno combattuto per il Vangelo» (Fil 4,2-3), a Colossi Epafra (Col 1,7-8). Nella lettera a Filemone Paolo menziona Marco, Aristarco, Dema, Luca (Fm 23), Appia, Archippo (Fm 2), e lo stesso Filemone.
Di particolare rilievo è a questo proposito la lunga lista di persone a cui Paolo rivolge i suoi saluti a conclusione della lettera ai Romani (Rm 16,1-I 5). Appaiono in questa lista 27 nomi. Sono tutti cristiani impegnati nel servizio ecclesiale divario genere. Paolo li presenta con una breve descrizione elogiativa: Prisca e Aquila, «miei collaboratori in Cristo», Maria, «che ha faticato molto per voi», Andronico e Giunia, «apostoli insigni», Urbano, «nostro collaboratore in Cristo», Trifena, Trifòsa, Pèrside «che hanno lavorato per il Signore».
La prima nella lista è Febe, chiamata da Paolo «nostra sorella, diaconessa della Chiesa di Cencre». Il titolo diakonos attribuito a Febe è stato variamente interpretato (3). Qualunque sia il contenuto specifico del titolo, esso doveva riferirsi a una funzione ecclesiale autorevole e riconosciuta. È comunque interessante notare che alla donna viene riconosciuto un ruolo effettivo di partecipazione attiva della comunità.
Oltre a Febe altre sette persone menzionate in questa lista sono donne. Rm 16 non è poi l'unica testimonianza a questo riguardo. Di donne attive nel servizio del Vangelo ne troviamo un po' ovunque, in particolare nell'ambito delle Chiese domestiche: Maria a Gerusalemme (At 12,12), Tabità a Giaffa (At 9,36-41), Lidia a Filippi (At 16,14-15), Ninfa a Laodicea (Col 4,15), Damaris ad Atene (At 17,34) sono alcuni esempi.
Oltre a questi uomini e donne, i cui nomi restano nella storia, ci sono anonimi collaboratori del Vangelo che operano con o senza titoli ministeriali dedicando la loro vita, i loro averi, i loro carismi all'impegno ecclesiale. Le lettere di Paolo lasciano intravedere nelle diverse comunità locali la presenza di un numero di persone zelanti impegnate nella «cooperazione alla diffusione del Vangelo» (Fil 1,5). È significativa a questo proposito l'esortazione di Paolo rivolta ai Tessalonicesi. Paolo raccomanda alla considerazione di tutti i «fratelli» alcuni membri della comunità meritevoli di rispetto e amore: « Vi preghiamo poi, fratelli, di aver riguardo per quelli che faticano tra di voi, che vi sono preposti nel Signore e vi ammoniscono; trattateli con molto rispetto e carità, a motivo del loro lavoro» (1 Ts 5,12-13). Queste persone vengono qualificate non per l'autorità conferita loro ufficialmente, ma per la loro «fatica», ossia per il loro servizio anche oneroso, ma reso con dedizione e generosità in mezzo alla comunità. Del resto anche Paolo ama presentarsi come «servo di Cristo [...] prescelto per annunciare il Vangelo di Dio» (Rm 1,1). Di fronte ai cristiani egli dice: «noi siamo vostri servi a causa di Gesù» (2 Cor 4,5).
Conclusione
Lo sguardo panoramico ai testi del NT, circa il nostro tema evidenzia quanto segue:
- La Chiesa ha continuato una linea di evangelizzazione tracciata già da Gesù: dal nucleo fondamentale dei Dodici si espande a raggio sempre più vasto coinvolgendo un numero sempre maggiore di discepoli e collaboratori. Nella misura in cui la Chiesa cresce, la sua organizzazione diventa sempre più pluralista e decentrata e il servizio ecclesiale più vario.
- La varietà dei servizi è fondata sulla molteplicità dei carismi che lo Spirito elargisce a tutti i credenti. A tutti, senza distinzione di sesso, di stato sociale, di appartenenza etnico-culturale, è fatto dono di capacità creative per il bene comune della Chiesa. Ai bisogni delle comunità sono chiamati a rispondere tutti attivamente, ciascuno però in maniera propria. Alcuni servizi fondamentali son ben precisati e strutturati, altri invece sono fluidi e contingenti.
- Gli nomini e le donne dediti al molteplice servizio del Vangelo sono mossi dall'unico Spirito e dall'amore verso lo stesso Gesù Cristo. La pluralità dei servizi converge armoniosamente verso l'unità ecclesiale. La collaborazione dei servitori del Vangelo postula una fattiva solidarietà fra i cristiani e un'attenzione vigilante ai bisogni concreti.
Maria Ko Ha Fong
Note
1) Per osservare questo panorama sotto il punto di vista dei ministeri si può vedere AA.vv., Le ministère et les ministères selon le Nouveau Testament, Paris 1974 (tr.it. Roma 1977); A.A.vv., I ministeri nella vita della Chiesa, Bari 1977.
2) È la terza lista di nomi che Luca presenta negli Atti dopo quella dei «dodici» (1.13) e dei «sette» (6.5). Sembra che Luca voglia evidenziare la collegialità all'interno di ogni servizio ministeriale.
3) Per l'interpretazione del titolo diaconessa e per il ruolo della donna nella Chiesa primitiva cf R. FABRIS - V. GOZZINI, La donna nell'esperienza della prima Chiesa, Roma 1982; E. SCHÜSSLER FIORENZA, Il ruolo delle donne nel movimento cristiano primitivo, in: Concilium, 1976, fasc. 12,1,21-36; C. MAZZUCCO, E fui fatta maschio. La donna nel Cristianesimo primitivo, Torino 1989.
(in Parole di vita, n. 1, 1991, pp. 27-34)