Dopo aver parlato dei cattolici, «pienamente incorporati» alla Chiesa (LG 14), dei cristiani non cattolici, ai quali la Chiesa «è per più ragioni congiunta» (LG 15), la Lumen gentium affronta anche la relazione della Chiesa con i non-cristiani, che «in vari modi sono ordinati al popolo di Dio» (LG 16). A differenza dei due paragrafi precedenti, LG 16 non compariva nello schema De Ecclesia; né avrebbe potuto, perché la teologia pre-conciliare aveva una considerazione negativa delle religioni, come intrinsecamente fallaci - quindi non salvifiche - perché espressioni di una religiosità solo umana.
D'altronde, il tema compare nello schema Philips, presentato ai Padri a inizio della seconda sessione conciliare, non come un riconoscimento positivo delle religioni non cristiane, ma per illustrare in modo più completo la missione universale della Chiesa, come dimostra il titolo del paragrafo - De non-christianis ad Ecclesiam adducendis - e il contenuto del testo: «La Chiesa è inviata a tutti gli uomini, per i quali il Signore ha effuso il suo sangue, affinché essi fossero chiamati e condotti al regno di Dio. Per la qual cosa la Chiesa non può smettere di pregare e predicare, finché siano associati ad essa in un solo corpo tutti coloro che non pervennero ancora alla fede cristiana, come pure coloro che già gli furono vicini come appartenenti al suo popolo, suoi fratelli secondo la carne, ai quali furono date le alleanze e le promesse».
Il testo definitivo, invece, sposta l'attenzione sui non-cristiani in quanto tali, asserendo che «quanti non hanno ancora ricevuto il Vangelo, in vari modi sono ordinati al popolo di Dio». Il paragrafo prosegue poi, elencando in sequenza anzitutto «quel popolo a cui furono date le alleanze e le promesse e dal quale è nato Cristo secondo il carne»;poi «quelli che riconoscono il creatore, e tra questi in primo luogo i mussulmani, i quali... adorano con noi un unico Dio»; infine «gli altri che cercano un Dio ignoto nelle ombre e nelle immagini», dai quali - dice espressamente il testo - «Dio non è lontano», in quanto è lui stesso a volere che tutti gli uomini siano salvi (cf 1 Tm 2,4). Due aspetti balzano subito all'occhio: 1/ che non si parla di religioni e di una loro capacità salvifica, ma di uomini: in questione non è un sistema religioso, ma l'uomo - ogni uomo che, per il fatto di essere tale, nel disegno creatore di bio è destinatario della salvezza.
Lo dimostra la citazione di san Tommaso, il quale, applicando le categorie aristoteliche di potenza e atto, diceva che «gli infedeli, benché in atto non appartengano alla Chiesa, lo sono però in potenza. La quale potenza si fonda su due punti: anzitutto sulla potenza di Cristo, che è sufficiente per la salvezza di tutto il genere umano; poi sul libero arbitrio dell'uomo [in arbitrii libertate]» (S.Th. III, q. 8, art. 3); 2/ che si parla di «quanti ancora non hanno ricevuto il Vangelo» con un verbo - accipio- che non esprime solo il fatto oggettivo che il Vangelo non sia stato annunziato, ma anche la decisione soggettiva di non accoglierlo. Come a dire che criterio di discrimine per la salvezza dei non cristiani non è unicamente l'annuncio del Vangelo, ma anche la disposizione interiore di chi lo ascolta, la sua coscienza. La quale può avere ragioni soggettive per non accogliere il Vangelo, prima tra tutte la contro-testimonianza dei cristiani. Basta ricordare Gandhi, il quale affermò di ammirare il messaggio evangelico, non i cristiani che mancavano di praticarlo.
Certo la situazione di quanti ignorano del tutto il Vangelo e quanti, avendolo ascoltato, non lo hanno accolto, è soggettivamente diversa. Questi dovranno esibire - soprattutto a se stessi e alla propria coscienza - una motivazione plausibile, mentre «quelli che senza colpa ignorano il vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e tuttavia cercano sinceramente Dio, e sotto l'influsso della grazia" si sforzano di compiere con le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna». Ma, al di là di questo aspetto, la novità più rilevante del testo sta nella possibilità della salvezza affermata per quanti «cercano sinceramente Dio» e «si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro, è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione al Vangelo, e come dato da colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita».
Per misurare l'apertura del Concilio sul tema, basterà rammentare che nella teologia pre-conciliare i non-cristiani venivano chiamati "infedeli", Il riconoscimento della possibilità di salvarsi al di fuori della Chiesa segna finalmente anche il superamento di ogni esclusivismo ecclesiologico, di cui la formula "extra Ecclesiam nulla salus" era la cifra e la bandiera. Questo pone la questione di cosa significhi essere «ordina- ti al popolo di Dio». Dire che si è ordinati al popolo di Dio non significa dire che si è salvi. Ha comunque ragione Gérard Philips, quando scrive nel suo commento alla Lumen gentium: «Ogni uomo, anche se non ne è consapevole, è ordinato al popolo di Dio. Nessuna sorpresa: questa dichiarazione significa che coloro i quali non hanno ancora ricevuto il messaggio evangelico appartengono non a una ipotetica umanità non riscattata, ma a questo genere umano destinato e chiamato alla salvezza dal sacrificio della morte di Cristo, e che a questo fine riceve i mezzi necessari in un modo che Dio conosce. Gesù è morto per tutto il genere umano; ma un adulto deve rispondere liberamente a questa chiamata. La libertà della sua adesione non diminuisce la sua libertà; al contrario, la eleva» (La Chiesa e il suo mistero, 187).
Di qui all'affermazione della possibilità della salvezza anche per coloro che non appartengono alla Chiesa il passo è breve. Basta rammentare l'esclusivismo ecclesiologico pre-conciliare, espresso nell'assioma extra Ecclesiam nulla salus, per rendersi conto del cammino fatto dalla Chiesa al Concilio su questo tema. Ecco il testo: l'espressione "praeparatio evangelica" è particolarmente illuminante per capire la mens del Concilio. I padri della Chiesa vedevano nelle epoche che avevano preceduto la manifestazione di Cristo il tempo della "preparazione evangelica" e vedevano sparsi in quelle civiltà i "semi del Verbo". Anche nelle nostre chiese, accanto ai profeti dell' Antico Testamento venivano spesso rappresentate le Sibille, come simbolo della conoscenza umana che può in certo qual modo aprire a Dio. Il Concilio applica questa idea non solo a ciò che è prima, ma anche a ciò che è fuori della Chiesa: come a dire che tutto ciò che riguarda i diritti dell'uomo, la difesa della sua dignità, il rispetto della coscienza è praeparatio evangelica.
D'altronde, tutto questo diventerà ancora più chiaro nel principio enunciato dalla Gaudium et spes: «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (GS 22). Ciò che è preparazione, naturalmente, dovrebbe compiersi in ciò che è pienezza: la salvezza in Cristo, che fonda il diritto-dovere della Chiesa all'annuncio del Vangelo. Non è il Concilio ad avallare l'idea che, siccome gli uomini possono salvarsi vivendo con onestà nella loro religione, è inutile l'annuncio del Vangelo e superflua la missione della Chiesa. Già il solo fatto che la possibilità di salvezza data agli uomini non sia assoluta, e possa essere compromessa dalla mancata scelta, o dalla scelta contraria a Dio, fonda non solo la necessità, ma l'urgenza dell'annuncio cristiano: che sarà tanto più credibile, e quindi capace di aprire alla salvezza, quanto più sarà testimoniato con la vita, oltre che con le parole.
Dario Vitali
(da Vita Pastorale, n. 2, febbraio 2011)