Formazione Religiosa

Domenica, 24 Luglio 2011 18:21

La vita in Cristo di Nicola Cabasilas (Éric De Clermont-Tonnerre, o.p.)

Vota questo articolo
(8 Voti)

Prendete La Vita in Cristo di Nicola Cabasilas e leggetela pagina per pagina. Volete vivere in Cristo? Mettetevi alla scuola di questo Maestro.

Presentazione

L'autore.

Per il suo titolo, La vita in Cristo, per la sua struttura che mette in opera i sacramenti dell'iniziazione cristiana (battesimo, cresima, eucaristia), per la chiarezza dell'esposizione e per i passi luminosi che ci vengono offerti, l'opera di Nicola Cabasilas non può che rallegrare e sedurre il cristiano e aiutarlo ad approfondire la sua esistenza cristiana come discepolo del Cristo.
Nato a Tessalonica intorno all'anno 1320, Nicola Cabasilas è il nipote di Nil Cabasilas, il futuro metropolita di Tessalonica, di cui però non seguirà le orme abbracciando la vita monastica o la «carriera» ecclesiastica: il nostro Nicola è e rimarrà un laico. (1)
Dopo aver studiato a Tessalonica sotto la guida dello zio, poi a Costantinopoli (1335-1340) in quel periodo agitato da rivoluzioni e guerra civile, Nicola si lega di amicizia con Giovanni VI Cantacuzeno. Nel 1347 - anno di nascita di Caterina da Siena -  accompagna Gregorio Palamas che è stato eletto metropolita di Tessalonica, ma che è impedito dagli zeloti anti-esicasti da assidersi sul suo seggio episcopale. Mescolato in tal modo ai conflitti che dividono gli ambienti cristiani e la società dell'epoca, rimarrà fino alla fine fedele a Gregorio Palamas e a Giovanni VI, opponendosi al suo amico di infanzia Demetrio Kydones , ostile a Palamas e fautore, dal 1352 in poi, di un riavvicinamento con Giovanni V paleologo.
Dopo la vittoria di Giovanni V che, nel 1354, entra a Costantinopoli e si fa proclamare inperatore, e l'abdicazione di Giovanni VI, che si fa monaco al convento di san Giorgio dei Mangani, Nicola si ritira dalla vita pubblica e passa gli ultimi anni della sua vita a Costantinopoli, fino alla morte avvenuta probabilmente nel 1397 o 1398.
Di Nicola Cabasilas, oltre a opere profane, a brevi testi liturgici, omelie, elogi e lettere, si conosce soprattutto la Spiegazione della divina liturgia, la Spiegazione del paramenti sacri e la Spiegazione dei riti della divina liturgia (Coll. «Sources chrétiennes», n° 4bis) come anche La Vìta in Cristo (Coll. «Sources chrétiennes», n° 355 e 361).

La struttura dell'opera.

La vita in Cristo é l'opera principale di Nicola Cabasilas, il riassunto della sua esperienza spirituale. Si tratta di una delle ultime grandi opere di Bisanzio: è stata qualificata come «compimento» o come «canto del cigno» della tradizione bizantina.
Diamo qui di seguito la struttura dell'opera, che già di per sé è un invito alla riflessione e alla preghiera:

Libro I: La vita in Cristo è comunicata dai santi misteri (battesimo, cresima ed eucaristia).
Che cosa è la vita in Cristo? Come acquistarla? Perché Dio si è fatto uomo? I misteri attualizzano la redenzione.
Libro II: In che cosa il battesimo contribuisce alla vita in Cristo?
Come i misteri ci uniscono al Cristo? Nomi e riti del battesimo lo definiscono come una nascita. Il battesimo ci fa morire al peccato. In che cosa consiste la vita eterna?
Libro III: Quale compimento porta la cresima alla vita in Cristo?
Fondamento teologico: l'Incarnazione. Gli effetti della cresima. Grazia dei misteri e libertà umana.
Libro IV: Quale compimento dà l'eucaristia alla vita in Cristo?
L'eucaristia dà compimento agli altri misteri. L'eucaristia ci unisce perfettamente al Cristo. Controversie intorno alla perfezione dell'eucaristia. L'eucaristia ci dà la sola  santità, la santità del Cristo. Assimilati al Cristo possiamo incontrarlo nel suo regno.
Libro V: Quale compimento porta alla vita in Cristo la consacrazione dell'altare?
Descrizione dei riti. Significato dei riti.
Libro VI: Come conservare la vita in Cristo che abbiamo ricevuto dai misteri?
Conformare la nostra volontà alla volontà di Cristo. La meditazione, chiave dell'amore. Le Beatitudini, frutto della meditazione. Gesù solo modello. Invocare il Cristo in ogni tempo.
Libro VII: Che cosa diventa l'uomo che è stato iniziato e che conserva con il fervore la grazia ricevuta?
La perfezione risiede nella volontà. Vera e falsa tristezza. Veri e falsi piaceri. La vita in Cristo è la carità.

Prendete La Vita in Cristo di Nicola Cabasilas e leggetela pagina per pagina durante quest'anno. Volete vivere in Cristo? Mettetevi alla scuola di questo Maestro.

Éric De Clermont-Tonnerre, o.p.

1) Sembra proprio che Nicola Cabasila sia rimasto laico fin alla fine della vita. Il suo celibato e la sua elevata pietà hanno potuto far pensare che potesse essere diventato monaco o prete. Per questo problema ci si può riferire all'introduzione di Marie-Hélène Congourdeau all'edizione de La Vie du Christ, Paris, Èd. du Cerf, coll. «Sources chrètiennes» 355, 1989, p. 17-22.

 



Veri e falsi piaceri

Presentiamo qui un passo di La vita in Cristo sui veri e falsi piaceri (Libro VII, n° 50-54). Nicola Cabasilas dice in maniera luminosa che «la forma più generosa del piacere» è di «ritenersi incoronato quando altri sono vincitori».


50. Si può godere per la presenza di ciò che amiamo o anche per la speranza. Godiamo per la speranza, dice Paolo, come se l'amore e la gioia avessero lo stesso oggetto. Infatti, nella misura in cui amiamo, di questo siamo felici, sia per noi stessi che a motivo degli altri.
Vi sono alcuni che sono contenti da sé perché hanno un'indole buona e incontrano amici benevoli.

Rallegrarsi del bene sia in sé che negli altri

Tuttavia l'uomo virtuoso, il quale sa che solo il bene è amabile, si rallegra solo del bene, sia in sé che negli altri: o perché gli somigliano nei costumi, o perché lo aiutano nel bene. Inoltre l'uomo buono si rallegra del bene altrui, e se uno compie il bene realizza l'apice dei suoi voti e dei suoi desideri.

51. Questa è la forma più generosa del piacere, quando si mette in comune il piacere dell' anima: allora non si desidera soltanto se stessi o le proprie cose, non si cerca esclusivamente il proprio onore, non si ama il guadagno, ma, quando gli altri vincono, ci si ritiene incoronati .Così l'uomo trascende la sua natura e si fa simile a Dio che è il bene universale. In altre parole, quando uno si rallegra del bene che vede negli altri non meno di quello che vede in sé, vuol dire che ama il bene per il bene e non per la propria utilità. Ogni pianta dà il suo frutto: volere il bene di tutti e rallegrarsi della loro buona fama è proprio degli uomini buoni; e questo è il segno che si può proporre per riconoscere la bontà perfetta, come il frutto rende manifesto il vigore della pianta che l'ha prodotto.

52. La natura non può far dare frutti maturi ad un albero che prima non sia giunto a maturità. Così nessun uomo può essere buono per gli altri, se prima non lo è per sé; poiché sussiste per sé prima che per gli altri, prima di tutto è amico di se stesso, è utile a se stesso e desidera e prega per il suo proprio bene. Che cosa impedisce dunque che sia utile prima a sé, se davvero gode del bene e se la natura lo inclina, come ogni altro essere, a guardare prima di tutto a sé e ad aver cura di sé? Infatti esiste interamente in sé e in primo luogo è un bene per sé, come pure il primo desiderio, comune a tutti, è per ognuno di essere se stesso.

53. Dunque è evidente che, se uno ama la buona fama degli altri e si rallegra quando ne godono, non è perché ne sia privo lui o perché la possieda imperfettamente: nessuno, trascurando se stesso e la propria utilità, si preoccupa per g1i altri di ciò che manca a lui stesso.
Come potrebbe desiderare di vedere in mano altrui ciò di cui sa vuota la propria casa?

54. Se poi qualcuno, che si sia sviato dal bene e dalla virtù, simula la virtù, indossando la maschera dei più virtuosi, e pretende di guidare gli altri per vie che assolutamente ignora, questo certo non è per amore della virtù e del bene, ma per desiderio di fama e di gloria menzognera. Ora, secondo retta ragione, è impossibile che sia perfettamente buono chi cerca un tale risultato. Poiché la bontà perfetta è propria degli uomini liberi da ogni invidia e gelosia, i quali sanno offrire ai loro simili un amore sincero e perfetto; e ciò equivale a raggiungere il vertice della sapienza.
Dunque coloro che godono la gioia di questo amore, necessariamente devono essere migliori e più sapienti di tutti gli altri uomini, e per contro gli uomini migliori e più sapienti devono goderne. È logico infatti che i buoni, essendo partecipi del bene, mostrino nell'anima la natura del bene, ma la natura di quel bene consiste appunto nel riversarsi e comunicarsi. Come tutte le cose aspirano al bene, così pure il bene si diffonde per natura a tutte le cose; se il bene non si donasse a tutte le cose, tutte le cose non desidererebbero di raggiungerlo: è forse logico che sia vano un desiderio così universale?
Perciò l'essenza della bontà richiede che l'uomo buono si doni a tutti come a se stesso; e quindi soffra e goda ed abbia nell'anima gli stessi sentimenti per le cose altrui come per le proprie. D'altronde l'amore di Dio produce in lui questa gioia perché per chi ama è una necessità godere non solo di colui che ama, ma di ciò di cui gode l'amico.

(da La Vie spirituelle, n. 786, janvier 2010, p. 55)

Vedere anche: La vita in Cristo secondo Nicola Cabasilas

 

Letto 7284 volte Ultima modifica il Lunedì, 02 Febbraio 2015 11:30
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search