Una foresta, tanto oscura quanto affascinante. Questo è ciò che si scopre quando si affronta il corpus immenso dei testi “apocrifi” cristiani, parola presa dal greco e che significa alla lettera nascosti, segreti. Invocando figure bibliche – Salomone, Isaia, Gesù, Maria, gli Apostoli – come autori o come eroi, questi scritti misteriosi sono infatti assenti dal “canone”, cioè dalla lista ufficiale delle opere riconosciute come “divinamente ispirate” e “degne di fede” dalle Chiese. Esclusi così dalla Rivelazione, non attirano per questo meno, da molto tempo, esegeti e storici del cristianesimo. Riservati a lungo agli specialisti, questi libri complessi e lacunosi suscitano anche il crescente interesse del pubblico, sempre più appassionato per questa avventura bimillenaria. Soprattutto quando essa implica direttamente Gesù e i suoi, come fanno i molti racconti raggruppati sotto il nome di Vangeli apocrifi. Lo testimoniano per esempio le polemiche sui famosi manoscritti gnostici scoperti a Nag Hammadi (Alto Egitto) nel 1945, lo stupefacente successo dei documentari di G. Mordillat e J. Prieur o anche la recente uscita presso la prestigiosa Pléiade del secondo tomo degli Écrits apocryphes chrétiens; lo testimonia soprattutto – in un modo più fantasioso – il trionfo planetario del Codice Da Vinci, il cui intreccio riposa sullo sfruttamento della vena apocrifa a proposito delle relazioni di Gesù e Maria Maddalena. Vangelo di Tommaso, di Giacomo, di Pietro, di Maria… Ignorati a lungo o sottovalutati dai cristiani a causa della loro cattiva reputazione da parte degli ecclesiastici, i Vangeli apocrifi sembrano infine uscire dall’ombra… Ma come vi erano caduti?
Una storia problematica
“Per i lettori contemporanei, spiegano i responsabili dell’edizione della Pléiade, vorremmo poter descrivere come è stato ricevuto a suo tempo ognuno degli scritti apocrifi; ma è generalmente impossibile, visto che è già delicato il fissare una data di redazione o un luogo di origine…”. Difficile è dunque seguire da vicino questi testi dal percorso caotico e più disagevole ancora generalizzare a loro riguardo. “Per le sue origini, le sue condizioni di scrittura e di trasmissione, le sue trasformazioni su lunga durata e in regioni diverse, continuano E. Bovon e P. Geoltrain, la letteratura apocrifa è ben lungi dal costituire un insieme omogeneo”. Senza dubbio il continente apocrifo occupa territori di frontiera e oscuri sull’oceano delle scritture cristiane antiche e medioevali. Per convincersene basta osservare le lingue che raccolsero – dal I° al XVII° secolo! – questi scritti sotterranei: greco, latino, siriaco, copto, naturalmente, ma anche irlandese, provenzale, tedesco, slavo, bulgaro, armeno, arabo, etiopico… Allora come orientarsi? Forse considerando la storia molto complessa di questi scritti come il rovescio di un “tessuto” del quale la storia dei libri canonici sarebbe il dritto. Definiti negativamente come “non canonici”, gli apocrifi non sono forse inseparabili da quei “fratelli legittimi”, poiché tutti questi testi formavano una stessa “famiglia” nella quale l’autorità ecclesiale in formazione operò una scelta durante vari secoli?
Per i primi cristiani infatti la questione della scelta fra i testi che facessero fede e i testi dubbi o francamente eretici (i futuri apocrifi) non si poneva in questi termini. Attingendo nei dati rapidamente diversificatisi della tradizione orale sulla vita di Gesù e del suo ambiente, ognuno scriveva allora secondo i suoi bisogni e problemi particolari in seno a una rete di Chiese locali decentralizzate. E se l’idea di disporre questi testi disponibili secondo la loro “affidabilità” si fece strada verso la fine del I° secolo D.C., si dovette attendere la fine del II° e il III° secolo perché essa completasse il suo percorso, parallelamente all’organizzazione crescente dell’istituzione. Due ragioni – una positiva e l’altra negativa – spiegano una tale evoluzione nella fioritura letteraria di quel tempo di aurora. Prima di tutto la necessità di fondare la riflessione cristiana su basi scritturistiche consistenti, che fossero le meno contestabili e più le più ampie possibile. E poi quella di offrire dei punti di riferimento – e anche delle difese – di fronte all’abbondante produzione degli “eretici”, cioè delle correnti minoritarie che davano una visione di Gesù Cristo e dei suoi discepoli non conforme all’ortodossia in costruzione. In base a questo duplice imperativo i Padri della Chiesa – i suoi primi teologi – consacrarono i loro lavori a un piccolo numero di testi, continuamente citati e commentati, cioè messi in evidenza, mentre altri libri, (molto più numerosi) furono trascurati, o criticati, o raggruppati in liste di opere “inutili” o “pericolose” – quale il Decreto del Papa Gelasio (fine del V° secolo). Prefigurando l’Indice, questi cataloghi davano così origine alla categoria “apocrifi” e i manoscritti indicati cessarono progressivamente di essere ricopiati, prima di cadere a poco a poco nell’oblio. Convalidata e precisata dai concili, - da quello di Laodicea nel IV° secolo a quello di Trento nel XVI° secolo – la distinzione fra opere “canoniche” e “apocrifi” si iscriveva nel marmo della Storia. “Libri dei vinti” emarginati da quelli dei vincitori, i “Vangeli nascosti” non avevano pertanto detto la loro ultima parola.
Un’influenza dal lungo percorso
Secondo la loro data e il loro ambiente di produzione, come anche della loro influenza, si possono distinguere tre grandi gruppi di Vangeli apocrifi. Il primo raggruppa gli scritti “giudeo-cristiani” contemporanei grosso modo alla redazione del Nuovo Testamento (I° - II° secolo), come il “Vangelo dei Nazareni”, quello “degli Ebioniti” e quello “degli Ebrei”; testimoni essenziali ma molto frammentari della nascita del cristianesimo, questi testi ebbero poco impatto alla lunga sul suo sviluppo, e il loro interesse è soprattutto storico. Generalmente più recenti, i racconti del secondo gruppo furono al contrario determinanti per l’evoluzione dell’immaginario cristiano in tempi lunghi. Questi testi riuniscono leggende riguardanti l’infanzia di Gesù e di Maria (il Protovangelo di Giacomo, il Vangelo arabo dell’infanzia); la vita e la morte di Maria (Dormizione di Maria dello Peudogiovanni) o di Giuseppe (Storia di Giuseppe il falegname).
Il loro stile meraviglioso, a volte semplicista, ha nutrito le raffigurazioni popolari, ma anche quelle dei dotti e degli artisti. Hanno ispirato dei creatori importanti come Dante, Goethe o Yourcenant e dobbiamo a loro dei motivi familiari, dalla Natività (grotta, asino, bue e re magi) al culto mariano (infanzia miracolosa di Maria, Dormizione e Assunzione…). Il terzo gruppo infine, quello delle opere – di epoche diverse - riscoperte nel XIX° o nel XX° secolo, e più o meno segnate da idee (divenute) eterodosse. Così i famosi Vangeli di Pietro, di Tommaso, di Filippo, di Maria, ma anche della Sofia di Gesù Cristo, dove sono fra l’altro svolti temi gnostici (che fanno della conoscenza la chiave della salvezza) o encratisti (dall’ascetismo radicale). Riesumati secondo le vicende delle scoperte archeologiche, questi libri, che erano scomparsi per più di quindici secoli, sono oggi affascinanti perché rimettono in questione le immagini acquisite dei personaggi del Nuovo Testamento. In altri termini essi alimentano l’attuale ricerca “esoterica” di un ipotetico “cristianesimo originale” che sarebbe stato sfigurato dall’istituzione ecclesiastica. O gli apocrifi riveduti alla maniera del Codice da Vinci.
Allora, i Vangeli apocrifi , “temibili falsi eretici” come per lungo tempo li ha ritenuti il Magistero, “letteratura da bambinaie” credule come pensavano Renan e i positivisti del XIX° secolo, o “chiave nascosta del vero Gesù” come sognano gli attuali appassionati del mistero? Lontani da queste caricature, questi testi infinitamente diversi e complessi offrono di fatto una fonte insostituibile per completare la storia diversificata che merita il cristianesimo. Senza dissipare i molteplici enigmi che ci sottraggono – probabilmente per sempre – l’ultima parola sulle sue origini.
Eric Vinson
(da Le Monde des religions, n. 14 - Dossier: Les Évangiles)
Il Protoevangelo di Giacomo
Data e luogo di redazione:
“Ed ecco un angelo del Signore le si presentò innanzi e le disse: “Anna, Anna, il Signore ha esaudito la tua supplica: concepirai e genererai; della tua prole si parlerà su tutta la terra” (…) e Anna partorì (…) porse il seno alla bimba e la chiamò Maria…”
Riscoperto nel 1552 dal gesuita cabalista Guillaume Postel, questo testo aveva come titolo originario La natività di Maria, Ma fu chiamato “proto (prima in greco)- vangelo” perché riportava avvenimenti anteriori a quelli di Luca e di Matteo, dei quali d’altronde “risolve” alcune difficoltà, contraddizioni e silenzi. Il Protoevangelo di Giacomo, il più antico dei “Vangeli dell’infanzia” occupa un posto a parte nella letteratura apocrifa. Con la sua larghissima diffusione ha esercitato una influenza considerevole sullo sviluppo dalle pietà e dei dogmi mariani, della liturgia e dell’immaginario artistico cristiano d’Oriente e di occidente. Lo attestano le numerose opere consacrate ai genitori di Maria (Anna e Gioacchino), all’infanzia della Vergine e alla natività di Gesù. |
Il Vangelo di Tommaso
Data e luogo di redazione:
“Sono queste le parole segrete che Gesù il Vivente ha proferito e Didimo Giuda Tommaso ha messo in iscritto e ha detto:”Chi troverà la spiegazione di queste parole non gusterà la morte”.
Nonostante il suo titolo, questo testo non racconta la vita, la morte e la resurrezione di Gesù, ma vuole essere una antologia delle “parole segrete”, che sarebbero state raccolte dall’apostolo “Tommaso” (alla lettera gemello in aramaico, Didimo in greco). Nella tradizione gnostica che dà colore a questo scritto, il discepolo sarebbe il “fratello gemello” di Gesù, dunque l’iniziato perfetto in grado di rivelare l’insegnamento nascosto del Cristo. Cioè che l’anima – di origine divine – è imprigionata nella materia fino a che la conoscenza e l’ascesi la liberino per essere reintegrata in Dio. Il Vangelo di Tommaso è l’apocrifo meno lontano dai Vangeli canonici. Già parzialmente scoperto e pubblicato alla fine del XIX° secolo a partire da frammenti greci, suscitò viva discussione fra i dotti; questa si diffuse poi verso il grande pubblico con la comparsa nel 1959 della versione copta integrale del testo, scoperta a Nag Hammadi nel 1945. |
Il Vangelo di Filippo
Data e luogo di redazione:
“La Sapienza creduta sterile è la madre degli angeli. La compagna del Figlio è Miryam di Magdala. Il Maestro amava Miryam più di tutti i discepoli, spesso la baciava sulla bocca”.
Tratta dal Vangelo di Filippo, scoperto a Nag Hammadi in Egitto, questa frase sottolinea l’importanza accordata a Maria Maddalena da alcuni vangeli gnostici, cominciando da quello che porta il nome della “discepola diletta”, il Vangelo di Maria. Trovato ad Akhmin in Alto Egitto alla fine del XIX° secolo, questo vangelo contribuisce alla popolarità attuale de “la compagna” di Gesù, poiché le speculazioni si moltiplicano sull’interpreta- zione esatta di una simile espressione… Per la sensibilità e la forma (una raccolta di sentenze) i due testi in ogni caso si apparentano con il Vangelo di Tommaso. E se sono meno conosciuti di quello, lo raggiungono nel fervore dei lettori in cerca di un problematico “esoterismo cristiano”. |