Formazione Religiosa

Mercoledì, 01 Giugno 2011 10:58

Il canto della Figlia di Sion (Alberto Valentini)

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Il Magnificat è ritenuto un testo fondamentale, ponte o cerniera tra l'Antico e il Nuovo Testamento, tra Israele e la Chiesa, che si incontrano nel resto salvato del popolo della promessa, di cui Maria è espressione privilegiata.

 

1. Canto di ogni tempo

(…) Il Magnificat costituisce «la preghiera per eccellenza di Maria, il cantico d i tempi messianici nel quale confluiscono l'esultanza dell'antico e del nuovo Israele... In esso confluì il tripudio di Abramo che presentiva il Messia (cf Gv 8,56) e risuonò, profeticamente anticipata, la voce della Chiesa... Il cantico della Vergine, dilatandosi, è divenuto preghiera di tutta la Chiesa in tutti i tempi» [i]. Queste parole di Paolo VI indicano bene il valore e l'attualità di questo canto ed anticipano le linee della riflessione che intendiamo sviluppare.

Il Magnificat è ritenuto un testo fondamentale, ponte o cerniera tra l'Antico e il Nuovo Testamento, tra Israele e la Chiesa, che si incontrano nel resto salvato del popolo della promessa, negli 'ãnãwim, di cui Maria è espressione privilegiata.

Fin dalle origini, le comunità cristiane hanno recepito l'importanza di questo canto, facendolo proprio o meglio riappropriandosene. Si tratta infatti di un brano ecclesiale messo sulle labbra di Maria e che la comunità, unendo la sua voce a quella della Madre del Signore, ripete incessantemente.

Nella tradizione bizantina, dai tempi più antichi, il Magnificat è entrato a far parte dell'ufficio del Mattutino, ove - a parte qualche rara eccezione - è celebrato solennemente ogni giorno. In tale contesto si sono sviluppate particolari composizioni inniche dette appunto Megalinaria - dalla prima parola megalunei del brano - tra cui vanno segnalati il Tin timiotéran e l'Axion estin, particolarmente cari alla pietà bizantina. A sottolinearne la solennità, il Magnificat viene eseguito in piedi, al momento della grande incensazione che precede i salmi delle Lodi.

Anche nelle liturgie armena e maronita il cantico è inserito nella preghiera giornaliera del Mattutino.

In ambiente latino, a partire dal V o VI secolo - prescindendo dall'antica liturgia gallicana che lo poneva nell'ufficiatura del mattino[ii] -, il Magnificat viene cantato ogni giorno a conclusione del Vespro. Di tale prassi la Regola di S. Benedetto, redatta a Montecassino verso il 530, offre la testimonianza più antica.

Dalle origini cristiane, dunque, fino ai giorni nostri - nei quali suscita uno straordinario interesse, anche in ambito non ecclesiale - il Magnificat ha goduto di una posizione di privilegio nella pietà del popolo di Dio. La musica[iii] in particolare, ha celebrato questo canto con eccezionale frequenza, ricchezza e intensità. È impressionante constatare il numero e la qualità delle composizioni ad esso dedicate, dai primi motivi gregoriani alla grande polifonia rinascimentale, fino alle composizioni di autori moderni e contemporanei. Si ricordi per tutti Orlando di Lasso (sec. XVI) che compose ben 101 Magnificat da quattro a sei voci! L'arte musicale ha conferito un impulso straordinario a questo canto, facendone l'espressione solenne e gioiosa della fede del popolo di Dio.

Se per lunghi secoli l'approccio al cantico della Vergine è stato quello della liturgia, della musica e della spiritualità, a partire dalla fine del secolo scorso il Magnificat è diventato prima oggetto di ricerca critico-esegetica, e poi - in tempi recenti - terreno privilegiato di letteratura non solo teologica, ma anche socio-politica[iv]. Con la vigorosa riscoperta degli studi biblici e la contemporanea presa di coscienza della dignità della persona umana e dei diritti conculcati, per il cantico si è aperto un vasto campo d'indagine e di feconde attualizzazioni. Anche la pietà del popolo di Dio, conseguentemente, ha accostato il Magnificat con sensibilità nuova, maturata attraverso le profonde trasformazioni del nostro tempo.

L'inno della Vergine presenta oggi la concretezza e la coralità coinvolgente degli antichi canti di liberazione del popolo di Dio che hanno accompagnato le tappe più significative della storia della salvezza. A intonare tali inizi sono state non di rado donne eccezionali, della tempra di Miriam, Debora, Giuditta..., collaboratrici di Dio in eventi decisivi per il futuro del popolo dell'alleanza. Un futuro atteso e ardentemente sperato, nel quale un'altra donna - Maria di Nazaret - avrebbe cantato, con tutta la comunità dei redenti, la salvezza definitiva.

La riscoperta della valenza antropologica e socio-politica del Magnificat ovviamente quale componente e non in alternativa al suo significato teologico-salvifico - ha conferito notevole impulso anche alla rivalutazione della donna, di cui Maria, dopo lunghi periodi di incomprensione culturale, si rivela sempre più archetipo credibile ed espressione privilegiata. Alla luce del Magnificat appare con evidenza come la Vergine di Nazaret non deluda le attese di donne e uomini del nostro tempo «ed offra ad essi il modello compiuto del discepolo del Signore»[v].

2. Canto singolare

Ci si potrebbe interrogare sul perché della grande attenzione al Magnificat, mentre per il Benedictus, il Nunc dimittis ed altri cantici lucani non si dà altrettanto interesse. Eppure anche il Benedictus fa parte - come il Magnificat - dell'Ufficiatura canonica fin dai primi secoli, e il Nunc dimittis costituisce un'importante introduzione alla teologia lucana dell'universalità della salvezza.

Indubbiamente, alla base della posizione privilegiata del Magnificat, ci sono alcuni elementi, come la sottolineatura particolare del volto di Dio e della sua misericordia verso i poveri, non disgiunta da una visione di grande forza, di energico intervento nei confronti degli oppressori, elementi presenti anche nel Benedictus, ma in maniera meno icastica e strutturata. È pure importante il fatto che il Magnificat presenti Maria come la serva e la povera del Signore, con la quale ogni pio orante e lo stesso popolo di Dio si possono identificare (cf Lc 1,54). Non bisogna poi dimenticare che la Vergine, nel vangelo dell'infanzia di Luca, è posta in particolare rilievo come portavoce della comunità; quale serva del Signore, donna di fede e di obbedienza alla Parola; madre del Figlio di Dio e immagine privilegiata del credente; oggetto, infine, di venerazione da parte della comunità (cf Lc 1,42-45.48; 11 ,27-28)[vi]. Il Magnificat, infatti, insieme con la glorificazione di Dio, presenta anche la lode di colei che ha creduto, elemento che invano si cercherebbe negli altri cantici. Celebrando Dio-Salvatore, la comunità esalta anche l'umile serva del Signore per la sua maternità prodigiosa, e la proclama beata per la sua fede.

Maria dunque appare in una luce ben diversa nei confronti di Zaccaria e delle occasionali, anche se significative, figure di Simeone ed Anna. Per quanto illuminati siano le parole del Benedictus, la comunità non si è mai identificata con Zaccaria, del quale il testo aveva precedentemente sottolineato la mancanza di fede, la comunità si riconobbe piuttosto in Elisabetta, la quale tuttavia è in atteggiamento di commosso stupore nei confronti della Vergine stessa e del mistero in lei operato. Sia Zaccaria che Elisabetta, del resto - come lo stesso Giovanni (cf Lc 16,16)- fanno parte del popolo della promessa, di cui sono gli ultimi privilegiati rappresentanti, e non della comunità della Nuova Alleanza che si qualifica in riferimento a Cristo Signore e al mistero della sua Pasqua.

Quanto detto per il cantico di Zaccaria vale anche per la breve, ma densa euloghia di Simeone e per le lodi di Anna: si tratta di testimonianze preziose e di personaggi emblematici, con i quali, tuttavia, la comunità neotestamentaria non si può identificare. Essi, che lungamente hanno atteso e invocato la vista del Signore, contemplano finalmente con intima gioia la sua salvezza e si accomiatano nella pace.

In breve, la figura di Maria occupa una posizione unica tra i personaggi del Nuovo Testamento, in particolare in Magnificat - attribuito intenzionalmente a lei - gode di evidente privilegio tra i canti lucani.

Suscitato dallo Spirito, il cantico della Vergine «è divenuto preghiera di tutta la Chiesa in tutti i tempi»[vii].

3. Canto dalle molteplici risonanze

(…) È necessario anzitutto leggere il Magnificat nell'attuale contesto, rappresentato dalla pericope della visitazione, che agisce da importante cerniera tra le annunciazioni e le nascite, in continuità con le prime e quale anticipazione delle seconde[viii]. In tale contesto il cantico viene attribuito a Maria, la quale - dal punto di vista umano[ix] - è la protagonista della scena. E’ lei infatti l'oggetto immediato della benedizione e del macarismo proferiti da Elisabetta, e il soggetto narrante del cantico che immediatamente segue. È Maria la serva alla quale il Signore-Salvatore ha rivolto lo sguardo di benevolenza, liberandola dalla sua condizione di povertà, ben diversa dall'oneios di Elisabetta e molto più simile alla situazione dei figli di Abramo in Egitto e all’attesa degli ‘ãnãwïm alle soglie del Nuovo Testamento.

Il vocabolario, i temi, la struttura del Magnificat impongono, pertanto, di collocare il cantico - al di là dell'attuale contesto - su uno sfondo di storia di salvezza di cui l'Esodo, la Pasqua di Cristo e la liberazione escatologica sono le tappe fondamentali. Il linguaggio del Magnificat richiama effettivamente, in maniera non occasionale, quello dell'Esodo, e ripropone i motivi del celebre canto del mare (Es 15,1 - 18), background più o meno esplicito di non pochi salmi e canti di liberazione. Tale prospettiva è confermata anche dal passaggio, nel nostro cantico, dalla situazione di povertà della serva a quella del servo Israele: non solo dell'antico popolo di Dio, ma anche di quello attuale in attesa della salvezza definitiva.

Per quanto i termini e i motivi siano antichi, lo spirito del cantico è neotestamentario: con la venuta di Cristo si sono inaugurati i tempi nuovi. Il Magnificat canta una liberazione già avvenuta e assolutamente irreversibile[x], benché non se ne vedano ancora tutti gli effetti sulla scena del mondo. Per conseguenza, la voce di Maria, pur riprendendo gli accenti dell'antico Israele, anticipa ed inaugura il canto della Chiesa di Cristo, che celebra con gioia - clima raro e quasi assente negli inni giudaici intertestamentari, in particolare a Qumran -[xi] una salvezza che ha trasformato in radice la storia del mondo.

Inno di liberazione, il Magnificat si presenta come canto della Vergine Maria, alla quale l'evangelista l'ha attribuito e nella cui particolare situazione - tra l'annunciazione e la nascita del Messia - lo ha incastonato, ma anche canto d'Israele, finalmente visitato dal suo Salvatore, come ripetono concordemente Zaccaria ed Elisabetta, Simeone ed Anna. E canto della Chiesa, la cui gioia si manifesta anzitutto nella madre del Signore, e poi in «tutto il popolo» (cf Lc 2,11), nelle genti illuminate da Cristo (cf Lc 2,30) e chiamate a far parte della comunità dell'alleanza. In Maria, l'antico e il nuovo popolo di Dio trovano il punto di incontro: in lei, Israele - insieme con le genti - si fa Chiesa[xii].

Il Magnificat è dunque un canto personale e comunitario: della serva del Signore e di tutto il popolo di Dio. Questa duplice caratteristica del cantico non dipende solo dal fatto che la prima parte (vv. 46-50) inizia al singolare pur con una progressiva dilatazione di prospettiva fino ad includere tutti quelli che lo temono (v. 50)-, mentre la seconda (vv. 51-55) si presenta al plurale[xiii] ma deriva da un dato più significativo: Maria incarna il destino della comunità e ne esprime la voce; in lei il popolo dell'alleanza, in qualche modo, si concentra davanti a Dio e alla sua salvezza. La Vergine di Nazaret appare pertanto come «personalità corporativa»[xiv], le cui decisioni ed opzioni coinvolgono l'intero gruppo, la comunità cui ella appartiene.

3.1. Canto antico e nuovo

Il Magnificat si rivela sempre più un testo dai molteplici volti: canto antico, per il materiale arcaico utilizzato, che lo fa apparire a diversi studiosi un brano veterotestamentario; canto nuovo per il compimento gioioso delle promesse di Dio; canto escatologico in duplice senso: anzitutto nei confronti della speranza messianica antica che attendeva il giorno in cui Dio avrebbe visitato il suo popolo; secondo tale prospettiva - rifiutata proprio da Israele il Nuovo Testamento presenta i connotati della speranza ormai compiuta. E canto escatologico anche in riferimento all'evento cristiano, il quale, pur essendo definitivo, attende a sua volta gli ultimi tempi: «i cieli nuovi e la terra nuova», che porranno fine al mondo presente, ancora segnato dalla violenza del peccato. Senza adottare la posizione di alcuni studiosi, per i quali i verbi in aoristo del Magnificat avrebbero un senso futuro[xv], bisogna riconoscere che la venuta di Cristo e il suo mistero pasquale - che hanno effettivamente cambiato il volto della storia - attendono ancora sviluppi e compimenti fino all'ultimo giorno. Viviamo infatti nel «già e non ancora» della salvezza, e bisogna convenire che il «non ancora» persiste con drammatica e tragica evidenza. Per questo deve risuonare continuamente nelle Chiese, nelle coscienze e nel mondo il canto della Vergine che contiene la rivoluzione di Dio: la salvezza dev'essere proclamata ed attuata con forza di fronte alla quotidiana controstoria e ai segni di morte che sfigurano il mondo.

3.2. Canto storico-salvitico

Il Magnificat è canto liturgico o inno di liberazione politico-sociale? Alla luce della salvezza di Dio nella storia i due aspetti non sono affatto alternativi, ma complementari e reciproci.

La liturgia infatti è memoriale efficace e celebrazione pneumatica degli eventi salvifici e contiene sempre un imprescindibile elemento esodico-pasquale. Anzi, celebrare la liturgia è segno che effettivamente la salvezza si è compiuta: «Quando avrai fatto uscire il popolo dall'Egitto, servirete Dio su questo monte!» (Es 3,12). Nulla, pertanto, di più alieno dalla visione biblica che la separazione del culto dall'evento, del gesto liturgico dalla storia di cui è segno e memoriale. Sulla base della concretezza storico-salvifica della liturgia, entrano in crisi sia la lettura intimistica e «privata» del Magnificat, non rara in passato, sia la semplice visione socio-politica, piuttosto frequente in ambienti laici, e presente talora in contesti ecclesiali poco attenti alle radici teologiche della liberazione. Il Magnificat proclama con forza Dio come Signore, salvatore potente, colui che depone i grandi dai troni ed innalza dalla polvere i piccoli e i deboli. Questo protagonismo salvifico di Dio da una parte, e la condizione di povertà - rispettivamente di Maria e di Israele - dall'altra, sono iscritti profondamente nel Magnificat e non devono mai essere oscurati o fraintesi. Le letture sociologica, politica o filosofica risultano inadeguate senza una seria teologia della storia. Maria non è un'eroina, né una creatura superiore, ma una persona liberata dalla sua povertà, che collabora con Dio e ne proclama la salvezza. Per essere «salvatori» si richiede di essere stati salvati, di aver vissuto la Pasqua e di farne memoria, ponendo la propria vita al servizio dei progetti di Dio.

3.3. Canto natalizio o pasquale?

Parlando della Pasqua, sorge spontaneamente il problema circa la natura del Magnificat: è canto natalizio o pasquale? Celebra la venuta di Cristo secondo la carne o la sua nascita con potenza nella risurrezione, secondo l'interpretazione neotestamentaria del Sal 2,7: «Tu sei mio figlio, oggi io ti ho generato»?

Anche qui bisogna distinguere il contesto attuale, in cui il Magnificat - con significative aggiunte - è stato inserito, e quello originario nel quale è sorto.

Il contesto redazionale, come si è detto, è costituito dal dittico delle annunciazioni da una parte e da quello delle nascite dall'altra. Posto sulle labbra di Maria di Nazaret, in tale ambito, il canto non può che evocare un clima natalizio. Ma appena si oltrepassa la cornice redazionale, ci si rende conto che vi sono molti elementi in comune con salmi e inni di liberazione. Il cantico della Vergine celebra l'evento-Cristo, compreso a partire dalla Pasqua, il cui significato salvifico si prolunga fino alla nascita terrena del Salvatore. I racconti dell'infanzia sono testi pasquali che proiettano sulla nascita e infanzia di Cristo la gloria e la Potenza del Risorto. In tale prospettiva vanno letti i cantici che costellano i brani di Lc 1-2. È infatti sorprendente che Maria, dopo l'annuncio della sua straordinaria maternità e in risposta agli elogi di Elisabetta, che la benedicono per il frutto del suo seno, non nomini mai il bambino - Messia davidico (Lc 1,32s) e Figlio di Dio (Le 1,35) - che sta per nascere, né parli della sua prossima esperienza di maternità. La meraviglia del lettore cresce ulteriormente - soprattutto nella seconda parte del cantico (vv. 51 ss) - di fronte a un vocabolario di chiara intonazione marziale, con poderosi interventi divini a difesa dei deboli liberati dai potenti, che di per sé nulla hanno a che vedere con la nascita di un bambino. Il Magnificat è un canto di liberazione e di vittoria perché, con la Pasqua di Cristo, «il principe di questo mondo» è stato cacciato fuori (cf Gv 12,31) e sono stati redenti coloro che egli teneva prigionieri. Certo, fino all'ultimo giorno, il Popolo di Dio rimane sottoposto a dure prove da parte del maligno, ma non si può mettere in dubbio la vittoria di Cristo Signore. E con il Figlio è vittoriosa anche la donna che lo ha generato[xvi], la quale, secondo Ap 12, rappresenta la Chiesa e indirettamente la madre di Gesù.

Abitualmente il Magnificat viene letto sullo sfondo del cantico di Anna, la madre di Samuele (1Sam 2,1-10): le affinità in realtà non mancano, ma i contatti più diretti vanno cercati altrove, in canti e inni comunitari, in cui donne eccezionali sono protagoniste. Lo sfondo privilegiato sembra costituito, come si è accennato, dall'antichissimo[xvii] canto del mare di Esodo 15, che celebra la grande liberazione pasquale. Intonato da un'altra Maria, la sorella di Mosè, il liberatore, il peana viene ripreso da tutto il popolo. Il motivo del canto del mare ritorna incessantemente nella tradizione posteriore e sta sullo sfondo di molti brani, tra cui quello attribuito ad Anna. Altri canti marziali, intonati da eroine mai dimenticate in Israele, sono da considerare nella prospettiva del Magnificat, in particolare l'inno di Vittoria di Debora e quello di Giuditta - «la giudea» - la cui vicenda informa, parzialmente, la pericope della visitazione. Le lodi rivolte a Maria da Elisabetta echeggiano quelle proferite un tempo per Giuditta, e il cantico di quest'ultima - che conclude la scena ed il libro omonimo - anticipa il Magnificat, che chiude l'episodio della visitazione e il dittico delle annunciazioni.

Il canto della Vergine è memoria di grandiosi interventi passati del Dio d'Israele; è celebrazione attuale della salvezza definitiva di Cristo Signore; è profezia radicale di un futuro in cui la vittoria di Dio trasformerà tutte le cose. Il Magnificat canta l'utopia del Regno, che ha fatto irruzione nella nostra storia, ma che attende ancora il definitivo compimento.

3.4. Canto «teologico» e mariano

Il Magnificat è canto mariano o teologico? Anche qui non si dà contrapposizione tra i due aspetti, ma armonia e convergenza. E’ mariano perché teologico, in quanto la vicenda dell'umile fanciulla di Nazaret è tutta opera di Dio, né potrebbe essere diversamente; viceversa, si può dire che è teologico perché mariano, per il fatto che l'azione di Dio si manifesta in Maria allo stato puro, senza fraintendimenti e commistioni con l’ubris degli uomini e le logiche dei potenti del mondo.

Il cantico è della Vergine perché attribuito a lei che vi parla in prima persona, più ancora perché racconta la sua storia di povera del Signore. Ma si tratta di una storia tipica - quella appunto dei poveri - che non appartiene solo a lei. Nel Magnificat si rispecchia l'esperienza fondamentale del popolo dell'alleanza e della comunità dei discepoli del Signore. In tal senso, Maria quasi scompare all'interno del popolo di Dio e con esso si confonde. Nel cantico ella non viene mai nominata, come non è menzionato esplicitamente il Figlio; non è presentata neppure col pronome di prima persona, col diretto «io», rimanendo celata dietro la formula perifrastica, peraltro più intensa, «la mia psiche, il mio pneuma» (vv. 46-47).

Il Magnificat è un testo eminentemente teologico-salvifico: in risposta agli elogi di Elisabetta, la Vergine celebra il Signore. In questo canto ella appare davvero - secondo la felice espressione del Montfort - «l'eco di Dio... Se tu dici Maria, ella ripete Dio»[xviii].

All'inizio del Magnificat, Dio è "oggetto della lode: l'umile serva lo esalta e gioisce in Lui, suo Salvatore”. Questa è l'intestazione e il leit-motiv del cantico, il ritornello che si potrebbe ripetere ad ogni versetto. La proclamazione successiva di azioni e attributi divini serve a giustificare l'intonazione del canto: l'esaltazione di Dio e la gioia per la sua salvezza. E’ una solenne sequenza litanica, che potrebbe continuare a volontà; un inno da accostare al grandioso e ben più esteso canto del mare e ai salmi di liberazione che ne attualizzano la memoria, come il grande Hallel della liturgia di Pasqua (Sal 136),) e il salmo conclusivo del piccolo Hallel (SaI 118), ripetuto nelle grandi feste, specialmente nel banchetto pasquale.

Lasciando all'esegesi di analizzare in dettaglio il cantico, ci piace riferire quanto afferma J. Dupont a conclusione di un notevole studio sul Magnificat inteso «comme discours sur Dieu»:

«Il Dio del quale il Magnificat celebra la santità, la misericordia e la forza sovrana è colui che servono coloro che lo temono...

Il Dio che celebra il Magnificat è e resta il Dio d'Israele.... ma della salvezza concessa al suo popolo ha voluto che potessero beneficiare tutti gli uomini, quale che sia la loro origine etnica.

La salvezza che Dio vuole assicurare a tutti non fa astrazione dalle situazioni concrete della loro esistenza... Il Dio del Magnificat non plana molto alto al di sopra della realtà socio-politica: egli si colloca risolutamente a fianco dei poveri e dei senza-potere...

Il Magnificat non offre una definizione di Dio. Non ne parla che in funzione dei differenti aspetti dell'intervento salvifico che è iniziato con l'annunciazione e di cui Luca ci presenta Maria come la prima testimone in assoluto. Il Magnificat “situa” il mistero di Dio Salvatore, e ne fornisce le coordinate»[xix].

Questo canto manifesta, non in astratto, i lineamenti del Dio dell'alleanza che in Cristo si è svelato pienamente come Salvatore.

È un testo eminentemente teologico, ma anche mariano. La Vergine del Magnificat è la prima destinataria della salvezza di Dio in Cristo, e per ciò stesso la prima testimone, colei che proclama senza fine[xx] la misericordia e la liberazione di Dio.

Proprio perché destinataria e testimone di doni senza precedenti, ella è oggetto di un macarismo che mai cesserà sulla bocca di quanti - come Elisabetta - sono introdotti nél mistero della sua maternità e della sua fede.

La sua maternità è il segno dell'irruzione escatologica di Dio nella nostra come e nella nostra storia. La sua fede è l'accoglienza incondizionata del mistero. Per l'una e per l'altra la proclameranno beata tutte le generazioni.

Alberto Valentini

Note

[i] Marialis Cultus, 18.

[ii] Cf PH. ROUILLARD, Il Magnificat nella Liturgia romana attuale, in Mater Ecclesiae 13 (1977) 65.

[iii] Cf sotto, in particolare, M.C. VISENTIN, Il Magnificat in musica, 617-642.

[iv] Significative, in merito, le affermazioni di autori come G. Gutierrez e J. Moltmann. Secondo il primo «il Magnificat potrebbe esprimere alla perfezione la spiritualità della liberazione ... ; è uno dei testi di maggior contenuto liberatore e politico del Nuovo Testamento» (G. GUTIERREZ, Teologia della liberazione. Prospettive, Queriniana, Brescia 1972, 207). Secondo Moltmann «Questo inno risuona come la marsigliese del fronte cristiano di liberazione nelle lotte tra le potenze e gli oppressi di questo mondo» (J. MOLTMANN, Il linguaggio della liberazione. Prediche e meditazioni, Queriniana, Brescia 1973, 127.

[v] Marialis Cultus.

[vi] GHIBERTI, Lc 1,48b: Anche genere agiografico?, RivBiblIt 39 (1991) 133-143; A. VALENTINI, Primi indizi di venerazione della Madre del Signore, in Marianum 88 (1996) 329-352.

[vii] Ivi, I S.

[viii] Si noti la forma chiastica della narrazione:

annuncio a Zaccaria - annuncio a Maria

canto di Maria - canto di Zaccaria.

Il primo cantico segue l'annunciazione e precede la nascita, quasi a sottolineare la fede della Vergine nella parola di Dio che puntualmente si compirà. Il secondo segue la nascita di Giovanni e sconfigge, con la realizzazione dell'evento, l'incredulità di Zaccaria nei confronti del l'annuncio angelico.

[ix] A parte, dunque, il Bambino che ella porta in grembo e lo Spirito Santo che guida tutta la scena.

[x] Ciò appare con evidenza anche dalla serie notevole di verbi in aoristo, i quali designano, a nostro avviso, un evento decisivo che effettivamente si è compiuto. Cf sotto A. VALENTINI, Il senso degli aoristi in Lc 1,51-53, 725-729.

[xi] Cf A.VALENTINI, Il Magnifica. Genere letterario, struttura, esegesi, EDB, Bologna 1987, 51.104.

[xii] Secondo l'efficace formula medievale di GERHOH VON REICHERSBERG (Liber de gloria et honore Filii hominis, 10,1: PI 194, 1105B), Maria è «Consummatio synagogae.et Ecclesiae sanctae nova inchoatio».

[xiii] La differenza tra la prima e la seconda parte non consiste soltanto nel passaggio dal singolare al plurale, ma anche nel fatto che nei vv. 46-50 si ha un rapporto fondato sulla polarità: Dio - la serva (e quelli che lo temono) mentre nei vv. 51-55 c'è un rapporto triadico, pieno di movimento e di forza, i cui termini sono: Dio - i potenti deposti - gli oppressi liberati.

[xiv] Cf H. WHEELER ROBINSON, The Hebrew Conception of Corporate Personality, ZAW 66 (1936) 49-61; J. DE FRAINE, Adam et son lignage. Sur la notion de «personnalité corporative» dans la Bible, Dcsclèe de Brouwer, Bruges 1959, 224; R. KUGELMAN, The Hebrew Concept of corporate Personality, and Mary, the Type of the Church, PAMI, VI, Romae 1967, 179-184.

[xv] Circa il valore di tali aoristi, cf A. VALENTINI, Il senso degli aoristi, 725-729.

[xvi] Si osservi con quanta forza ed insistenza il testo di Ap 12 sottolinea la cacciata del diavolo, mediante la ripetizione dell'efficacissimo aoristo ebléthé che ricorre ben quattro volte nei vv. 9(bis), 10.13, rafforzato dall'ebléthésan (v.9) degli angeli suoi satelliti. Il tutto preceduto dall'annuncio della sua sconfitta e dall'affermazione che per lui e per i suoi non c'è più posto in cielo (cf v. 8); cui però segue la constatazione del suo furore che esplode sulla terra - dove è stato precipitato -, a motivo del poco tempo che gli rimane (Cf v. 12). Ciò spiega la persecuzione contro la discendenza della donna (cf v. 17).

[xvii] Antichissimo nel suo nucleo originario, senza gli sviluppi posteriori presenti nella composizione di Es 15,1 - 18.

[xviii] LUIGI M. GRIGNION DE MONTFORT, Trattato della Vera Devozione a Maria, Edizioni Monfortane, Roma 1996, n. 225.

[xix] J. DUPONT, Le Magnificat comme discours sur Dieu, NRT 112 (1980) 342.

[xx] Si rilevi l'insistenza del cantico su espressioni come: «tutte le generazioni» (v. 48), «di generazione in generazione» (v. 50), «per sempre» (v. 55). Le ultime due formule concludono rispettivamente la prima e la seconda parte del canto, mentre la prima - retta dall'unico verbo al futuro - si proietta in uno spazio temporale indefinito.

Letto 6318 volte Ultima modifica il Martedì, 26 Marzo 2013 12:23
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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