"Scienza e religione devono convergere"
Charles Townes
Il successo sempre crescente della scienza è fonte per la religione di molte sfide e conflitti che si sono risolti e si risolvono in maniere differenti nella vita di ciascuno. Alcuni, considerando la scienza e la religione come due ambiti fondamentalmente diversi a causa delle tecniche che implicano e che utilizzano, rendono impossibile ogni confronto diretto fra le due cose. Altri trovano rifugio in uno dei due campi e considerano l'altro come contingente o addirittura nocivo. Per me, la scienza e la religione sono universali e, in fin dei conti, molto somiglianti. Infatti per decifrare le cose adotterò la posizione relativamente estrema che afferma che le differenze esistenti fra di loro sono su larga scala superficiali e che, se si osserva la loro vera natura, ci si rende conto che i due campi possiedono caratteristiche quasi identiche. Forse è la vera natura della scienza quella che, a causa dei suoi lampanti successi superficiali, quella che risulta meno evidente.
La fine dell'era delle superstizioni
Il compito essenziale della fede in religione è talmente conosciuto che spesso è considerato come la caratteristica che distingue la religione dalla scienza. Ora la fede è egualmente essenziale alla scienza, anche se noi non ne riconosciamo, nel quadro della scienza, la sua natura e la sua utilità primordiale. Lo scienziato ha bisogno della fede quando si mette al lavoro, e di una fede ancora più grande per portare a termine i suoi lavori più difficili. Perché? Perché deve impegnarsi personalmente a credere che esiste un ordine nell'universo e che lo spirito umano - di fatto il suo proprio spirito - è capace di comprendere questo ordine. Senza questa fede , non avrebbe nessun interesse a cercare di comprendere un mondo presumibilmente disordinato e incomprensibile. Un tale mondo ci riporterebbe all'epoca della superstizione, quando l'uomo pensava che delle forze capricciose manipolassero il suo universo. Effettivamente, proprio grazie a questa credenza in un mondo comprensibile da parte dell'uomo che è potuto avvenire il passaggio dall'età della superstizione all'età della scienza, e che hanno potuto aver luogo tutti i progressi scientifici. Einstein offre un esempio molto probante di questa fede, e molti dei suoi contributi provengono da una devozione intuitiva a un tipo di ordine particolarmente seducente. Una delle sue famose osservazioni è iscritta in tedesco nella hall dell'università di Princeton: «Dio è sottile, ma non è malizioso». Cioè il mondo che Dio ha creato è forse difficile a comprendersi per noi, ma non è arbitrario e illogico.
Scoperte e rivelazioni
Un'altra idea molto diffusa sulla differenza fra scienza e religione riguarda i loro rispettivi metodi di scoperta. Le scoperte religiose provengono spesso da grandi rivelazioni. Ma è comunemente ammesso che la conoscenza scientifica deriva dalla deduzione logica o dall'accumulo di dati, analizzati secondo metodi stabiliti per trarne una generalizzazione che si chiamerà legge. Ora una simile descrizione della scoperta scientifica non ritrascrive la verità. La maggior parte delle grandi scoperte scientifiche si producono in modo molto diverso e sono più vicine alla rivelazione. In generale questo termine non è usato in campo scientifico perché abbiamo l'abitudine di utilizzarlo nel contesto religioso. Nella maggior parte dei circoli scientifici si parla di intuizione, di scoperte accidentali o anche di una idea brillante che qualcuno ha avuto. Se si osserva la maniera in cui le grandi idee scientifiche emergono, ci si accorge che essa assomiglia notevolmente alle rivelazioni religiose considerate da un punto di vista non mistico.
Scienza e religione rappresentano tutte e due gli sforzi dell'uomo che cerca di comprendere il suo universo e devono in fin dei conti trattare la medesima sostanza. Mentre progrediamo nei due campi, questi devono evolvere insieme. Da ora a quando tale confluenza si realizzi, la scienza sarà passata attraverso numerose rivoluzione tanto straordinarie quanto quelle che si sono prodotte durante il secolo XX, e avrà senza dubbio rivestito un abito che gli scienziati di oggi farebbero fatica a identificare. Ma esse devono convergere, e da questa convergenza nascerà una nuova forza per ambedue.
William Phillips
Essere uno scienziato ordinario e insieme un cristiano ordinario mi sembra cosa naturale. E ciò sembra altrettanto naturale a molti scienziati che conosco, che sono parimenti dei veri credenti. Tuttavia agli occhi di certe persone sembra strano, o addirittura sorprendente, che qualcuno possa avere un approccio serio contemporaneamente di fronte alla scienza e di fronte alla fede. Cercherò ora di mostrare in qual modo i due aspetti della mia vita funzionano e come si influenzano reciprocamente e come rispettivamente si informano. Non si tratterà, essenzialmente, che della testimonianza di una persona comune che può essere seria sia in quel che riguarda la scienza, sia in quel che riguarda la fede.
La bellezza dell'universo
Mi è stata posta di recente questa domanda: «Può immaginare che una qualsiasi prova possa un giorno farla smettere di credere in Dio?» La domanda è molto importante perché qualsiasi ipotesi scientifica deve essere falsificabile; cioè si deve essere in grado di specificare ciò che proverebbe che l'ipotesi è falsa. Gli enunciati che non sono falsificabili non sono enunciati scientifici. La mia risposta alla domanda su Dio è: «No, nulla potrebbe farmi smettere di credere in Dio.» Secondo la mia definizione la fede non è di ordine scientifico.
Detto ciò, tengo a sottolineare il fatto che la mia conoscenza scientifica sostiene la mia fede. Anche se quest'ultima è non-scientifica (non dico anti-scientifica), non per questo è irrazionale! Quando osservo l'ordine, la comprensibilità, e la bellezza dell'universo, giungo alla conclusione che quel che vedo è stato creato con uno scopo da una intelligenza superiore. Il mio apprezzamento scientifico della coerenza e della meravigliosa semplicità della fisica rafforza la mia fede in Dio. La struttura dell'universo sembra essere misteriosamente adatta allo sviluppo della vita. Il minimo cambiamento di una delle costanti fondamentali della natura (per esempio, di quelle cifre che descrivono il valore della forza esistente fra due elettroni) o delle condizioni iniziali dell'universo (come la quantità totale di materia e di energia) sarebbe stato un ostacolo allo sviluppo della vita - quale noi la conosciamo. Perché l'universo è così incredibilmente adattato all'emergere della vita? E ancor più, perché l'universo è così scrupolosamente adattato alla nostra esistenza propria? Alcuni rispondono semplicemente che se non fosse stato il caso , noi non saremmo là per porci la domanda (è il principio antropico debole). Tuttavia questo non risponde alla domanda di perché, fra l'infinità di universi che sarebbero stati possibili, il nostro sostiene e mantiene la vita intelligente. La cosa sembra talmente improbabile che molti ne concludono che l'universo tale quale è non può essere che concepito da un creatore accorto.
Delle «impronte» di Dio?
Questo costituisce una evidenza scientifica legittima che possa provare l'esistenza di un creatore intelligente? Potrebbe essere. Ma rimane vero che tale punto di vista non è condiviso universalmente. D'altronde alcuni scienziati più qualificati e spesso più intelligenti di me, persone che conoscono di più l'ordine e la bellezza del cosmo, sono arrivati a una conclusione opposta (come anche migliori scienziati sono arrivati alla mia stessa conclusione). Per spiegare la probabilità infima di ottenere un universo adatto alla vita, si può postulare l'esistenza di un numero immenso di universi paralleli che abbiano tutti della caratteristiche differenti. Ma questa ipotesi , almeno per il momento, non è dimostrata di più che la fede nell'esistenza di un Dio.
Ho il sentimento, un sentimento senza molto fondamento scientifico o teologico, che non troveremo mai delle prove scientifiche in grado di giustificare l'esistenza di Dio in maniera convincente. Sospetto che Dio non voglia lasciare le sue «impronte» sulla sua opera. Un sapiente diceva: «se esistessero prove perfettamente convincenti dell'esistenza di Dio, allora che utilità avrebbe la fede?»
(da Le Monde des religions, Janvier-fevrier 2010, n. 3.)