Lode e lamento:
i generi letterari dei Salmi
di Gianni Cappelletto
Noi nasciamo con questo libro nelle viscere. Un librettino: centocinquanta poesie, centocinquanta gradini eretti tra la morte e la vita; centocinquanta specchi delle nostre rivolte e delle nostre fedeltà, delle nostre agonie e delle nostre risurrezioni. Più che un libro, un essere vivente che parla - che ti parla - che soffre, che geme e che muore, che risorge e canta, sul limitare dell' eternità -e ti prende e trascina te e i secoli dei secoli, dall'inizio alla fine ...Nasconde un mistero, perchè le età non cessino di ritornare a questo canto, di purificarsi a questa sorgente, di interrogare ogni versetto, ogni parola dell' antica preghiera, come se i suoi ritmi scandissero la pulsazione dei mondi. Sì, il mondo vi è riconosciuto. Giacché narra la storia di tutti, è diventato il libro di tutti, indefesso e penetrante ambasciatore della parola di Dio presso i popoli della terra.
Da queste ormai note espressioni dell'ebreo francese A. Chouraqui possiamo prendere la suggestiva definizione del libro dei Salmi come «un essere vivente» che parla sulla soglia dell' eternità, facendosi «ambasciatore della parola di Dio presso i popoli della terra». Non si tratta dunque di una semplice raccolta di poesie religiose da sezionare solo con gli strumenti della scienza letteraria, quanto piuttosto di un condensato di vita che ancor oggi trasmette vita, la vita stessa di Dio che incontra la vita dei suoi figli e figlie.
Pertanto, la verità che viene enunciata e che va ricercata non è di tipo «intellettuale/razionale», quanto piuttosto di valenza esistenziale: è la verità che conduce ogni essere umano a mettersi a contatto con la radice stessa della propria esistenza. Il riconoscimento di tale verità avviene attraverso quell' occhio interiore che i Padri definiscono «occhio del cuore», perchè solo chi ha il cuore puro e unificato può vedere il volto del Signore e può pregarlo in verità, essendo la preghiera «un sospiro del cuore verso Dio» (Teofane il Recluso).
Per questo, afferma Chouraqui, «noi nasciamo con questo libro nelle viscere»: ce lo portiamo dentro perchè parla «di noi», raccontando a Dio la nostra esistenza; è come un utero in cui viviamo e per questo parla «a noi» dicendoci parole di vita a nome del Signore. Infatti, parla a noi «dalle» soglie dell'eternità, come a dire che si tratta contemporaneamente di una parola che, partendo dalla nostra esperienza collocata in un tempo e luogo ben determinato, giunge alle soglie della casa di Dio per presentargli le nostre fatiche e le nostre gioie sotto forma di lamento, di supplica, di ringraziamento, di lode gratuita; e di una parola che proviene dall' eternità, da Dio stesso, parola che supera il limite del tempo e della situazione esistenziale di quando è stata proclamata per la prima volta ed entra nel nostro vissuto come offerta di vita, come fedeltà del Signore, come garanzia che è possibile sperare ancora.
Il libro dei Salmi dunque è parola che l 'uomo rivolge a Dio e parola che Dio indirizza all'uomo: l'incontro tra le due «parole» sembra avvenire, stando all'affermazione di Chouraqui, in un terreno neutro verso il quale Dio e l'uomo sono incamminati: le soglie dell'eternità. Nel presente contributo ci chiederemo prima di tutto quali sono gli aspetti linguistici che rendono viva la preghiera dei salmi e che permettono di sentirci accompagnati fino «alle» soglie dell'eternità; successivamente prenderemo in considerazione attraverso quali modalità il Salterio è «un essere vivente» che ci parla «dalle» soglie dell' eternità; infine ci soffermeremo ad ascoltare «cosa» possiamo dire e udire una volta giunti «sulla» soglia dell' eternità.
Il Salterio: «specchio delle nostre rivolte e delle nostre fedeltà»
I «centocinquanta specchi» che compongono il Salterio utilizzano un linguaggio particolare per narrare «le nostre rivolte e le nostre fedeltà, le nostre agonie e le nostre risurrezioni», il linguaggio poetico.
È tipico di tale linguaggio, non descrittivo quanto allusivo, condensare in poche parole o in immagini a volte ardite tutto un vissuto che si fatica a esprimere con delle definizioni astratte e razionali. La poesia, infatti, riesce non solo a farci entrare in situazioni di vita che a volte sfuggono a uno sguardo superficiale, ma anche a farci sostare in esse per non perdere la profondità e la complessità dell' esperienza umana. La profondità è data dal mettersi a contatto con ciò che abita effettivamente nel cuore umano, come le gioie e le sofferenze, i dubbi e le certezze, le angosce e le speranze. La complessità evidenzia la ricerca del senso della vita e di ragioni per sperare ancora. Ecco perchè in situazioni specifiche le preghiere salmiche da una parte celebrano il dono della vita come proveniente da Dio che con la sua provvidenza la sostiene e la orienta, dall' altra protestano quando emergono evidenti i segni di oppressione e di annientamento dell'esistenza umana, e dall' altra ancora gridano a Dio stesso perchè si ricordi di quanto ha promesso ai suoi fedeli e si assuma la responsabilità di portare a buon compimento la loro vita.
Certo, per entrare nella poesia dei salmi e per poterli pregare in modo efficace è necessario maturare un animo poetico, capace di stare davanti a Dio - «sulle» soglie dell'eternità - con tutto se stesso, senza fare sconti a quanto sta vivendo e senza negarsi o annullarsi di fronte al mistero della propria vita e all'ineffabilità del volto del Signore. L'animo poetico sa stare «in verità» davanti alla propria vita e alla presenza del Signore, almeno quella verità possibile in quel determinato momento storico, in attesa che la risposta di Dio lo aiuti a fare «la verità» tutta intera.
I salmi come poesia sono «la partitura poetica della vita» (E. Zenger): infatti – afferma sant' Agostino -«non c'è sentimento dell'uomo che non sia rappresentato nei salmi come in uno specchio. Lo Spirito Santo ha messo qui, al vivo, tutti i dolori, le tristezze, i timori, i dubbi, le speranze, le preoccupazioni, le perplessità, fino alle più confuse emozioni da cui l'animo degli uomini è agitato». È necessario, pertanto, saper «eseguire» in modo corretto tale «partitura», ponendo attenzione alle sfumature interne al singolo salmo, capaci di operare una trasformazione in chi sta pregando. Se ciò non avviene almeno in forma minimale, si resta esterni alla relazione con Dio e incapaci di gustare il flusso di vita che a lui ci lega. Ci ricorda ancora sant' Agostino:
Se il salmo prega, pregate; se geme, gemete; se invita a battere le mani, battete le mani... Tutto ciò che vi si trova scritto, è uno specchio che ci riflette (En. in Ps. 33,1).
Un esempio di lettura contestuale: il Sal 131
Come esempio concreto possiamo accostare il Sal 131, cercando di farne una lettura nel contesto dei salmi che lo precedono e che lo seguono. Nel salmo precedente, il 130, l'orante – collocato nella profondità del proprio peccato che lo distanzia da Dio - esprime la sua certezza che «presso il Signore» (3 vo te tale espressione) ci sia non solo perdono del proprio peccato, quanto anche misericordia che ricupera alla relazione spezzata, e redenzione che inserisce nella pienezza di vita offerta dal Signore. Queste tre caratteristiche dell' agire di Dio rimandano al contesto dell'alleanza, a quella relazione profonda cioè che il Signore ha stabilito con il suo popolo al Sinai e alla quale ha promesso di mantenersi fedele per sempre. Da qui la fiduciosa speranza espressa dall'orante del Sal 130 di poter sperimentare ancora la liberazione gratuita da ciò che lo confina nell'abisso del nonsenso dell'esistenza (una specie di ritorno alla schiavitù d'Egitto) con la stessa intensità con cui la sentinella attende la luce dell'aurora, che fa svanire la paura di essere attaccato all'improvviso da un nemico codardo che agisce con il favore delle tenebre. Il grido che risuona nel buio della notte giunge fino alle altezze della casa del Signore, «sulle» soglie dell'eternità, e si fa preghiera che commuove Dio stesso, tanto che ancora «si ricorda della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe» (cf. Es 2,23-25). Per questo non solo l' orante, ma tutto Israele, può sperare nel Signore e nel suo desiderio di incontrarsi con le sue creature umane.
Possiamo allora ipotizzare che, dopo aver ricevuto risposta positiva da Dio, l'orante del Sal 131 continui la «narrazione poetica dell'esperienza» esprimendo la sua grande gioia di sentirsi finalmente «tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre», perchè ha trovato un equilibrio nel gestire l'insieme delle sue facoltà umane (cuore per desiderare e decidere; occhi per vedere e discernere; piedi emani che cercano di realizzare quanto scelto) e nel canalizzare sulle retta via il desiderio che - come bimbo ormai svezzato - andrebbe in opposte e contraddittorie direzioni. Tutto è fondato su un'autentica esperienza del volto di Dio come «perdono - misericordia - redenzione», termini non astratti come nella nostra riflessione teologica e pastorale, perchè rivelano la concretezza e la bellezza del volto di Dio e l' efficacia della sua azione nella vita dei suoi figli e figlie. Ecco perchè tutto Israele è invitato a sperare e confidare in Dio: non cambia volto e modo di agire!
Se il Signore viene sperimentato «oggi» come colui che è fedele alla parola data, si comprende perchè l'orizzonte della preghiera si allarga nel Sal 132, chiedendo a Dio che porti a compimento - in tempi ormai difficili e in cui si fatica a vedere realizzate le opere del Signore - quanto «ha giurato a Davide» (v. Il). Il passaggio da un salmo all'altro, il succedersi delle immagini e il loro intrecciarsi nello stile poetico, permettono di pregare con entusiasmo e partecipazione, con intensità ed efficacia, esprimendo - da vero cercatore di Dio - il desiderio che l'abisso in cui si trova e dal quale grida incontri l'abisso dell'amore del Signore.
Il Salterio: un essere vivente che parla
A favorire l' accostamento del Salterio come «un essere vivente che parla» sono anche le «forme» letterarie con cui i vari salmisti hanno espresso la loro esperienza a partire da situazioni esistenziali diverse. Quello che abbiano tra le mani come credenti, infatti, è un autentico «microcosmo dell'umanità» (G. Ravasi) in cammino verso il senso pieno dell' esistenza. È un pellegrinaggio a tappe, caratterizzato da molteplici e a volte contraddittorie esperienze, perchè tale è la stessa vita umana.
Così un salmista può sostare «davanti a Dio» manifestando la fiducia che lo fa
stare in piedi di fronte alle difficoltà (cf. Sal 23) o allo stesso dolore (cf. Sal 6; 7) e alla morte (cf. Sal 16), mentre un altro esprime l' amarezza e a volte la disperazione che ne segue perchè vive sofferenza e ingiustizia come autentica negazione del senso della vita (cf. Sal 7; 22; 73). Un altro ancora può esternare tutto il suo smarrimento di fronte alla fragilità e caducità dell' esistenza umana (Sal 39,6c-7; 90,10; 103,15-16), mentre altri scoprono che essa ha comunque una sua grandezza e un suo senso agli occhi di Dio e pertanto la ritengono bella, sensata e vivibile (cf. Sal 8; 104,24). Anche la certezza provata da altri oranti nel percepirsi giusti agli occhi del Signore, perchè fedeli ascoltatori e osservanti della sua Parola (cf. Sal 1; 119), e il dramma di alcuni nel ritrovarsi comunque peccatori e incapaci di vivere con coerenza la propria fede (cf. Sal 50-51; 130), assumono tonalità espressive diverse. Inoltre, non manca chi esprime con coraggio e franchezza la sua vibrante protesta contro l'ingiustizia nelle relazioni umane e l' accorato grido a Dio perchè non resti muto o inattivo di fronte a una vita continuamente minacciata dalla violenza del più forte e più furbo, ma faccia finalmente giustizia (cf. Sal 5; 58-59; 73; 94; 109).
Appare evidente che da ogni situazione esistenziale ci si può rivolgere a Dio con un'ampia varietà di forme di preghiera: la malattia può generare sconforto, lamento e imprecazione, ma anche attesa fiduciosa e speranza; un momento di benessere fisico e spirituale suscita ringraziamento e lode al Signore, ma può offrire anche una serena riflessione sulla limitatezza della vita umana, inducendo a vivere con sano realismo.
In un recente passato queste «forme» o «generi letterari» trovavano denominazioni diverse e il loro moltiplicarsi, se da una parte rendeva ragione di ogni salmo e di ogni sua singola parte, dall'altra ne rendeva difficile l'individuazione - spesso lasciata agli esperti del settore -e non facilitava la comprensione, perchè il salmo veniva segmentato in piccole parti autonome al punto tale da non far più percepire la bellezza dell'insieme e da rendere arida la preghiera personale e comunitaria. Inoltre, la tendenza a catalogare i salmi sotto «generi» o «famiglie» letterarie staccandoli dal contesto attuale rendeva il Salterio non il libro dei Salmi quanto un loro raccoglitore, senza pretese di linearità e di un progetto teologico - spirituale specifico.
Oggi si assiste alla tendenza contraria: si studia (e si prega) il Salterio come «libro», senza togliere un salmo dal suo contesto letterario - teologico attuale, intendendo i singoli salmi o alcuni «insiemi» come capitoli del «libro dei Salmi». Nel contempo, si cerca di individuare gli elementi che accomunano o diversificano salmi vicini e/o lontani, ponendo attenzione non solo agli elementi letterari (parole o espressioni che si ripetono per sinonimia o si richiamano per opposizione), quanto anche al contenuto e al «clima psicologico» emergente nelle diverse articolazioni del salmo stesso e alle accentuazioni di fede e di spiritualità dell'orante.
È vero che la nuova ricerca può essere accusata di semplificazione, che non rispetta la complessità letteraria delle composizioni salmiche e la loro storia. Eppure risulta evidente che le diverse forme letterarie possono essere ridotte ai due modi antitetici di porsi di fronte alla realtà e alla vita: il «sì» convinto alla vita come dono proveniente da Dio fa scaturire la lode e il rendimento di grazie anche in contesti di malattia e di difficoltà, mentre il «no» di rifiuto della vita sofferente e minacciata dal male e di protesta contro il suo autore si esprime nelle forme della lamentazione, della supplica e della protesta. Lode ( «sì» alla vita) e lamento ( «no» a una determinata forma di esistenza) sono intesi come i due poli del cammino della vita del salmista, del suo pellegrinaggio che lo porta alla ricerca del senso di quanto sta vivendo.
È ovvio che tra questi due poli ci possono essere delle tappe intermedie, del- le fasi di passaggio. Così emergono un po' alla volta dallo steso Salterio quattro stili fondamentali:
- lode a Dio e al suo nome per la bontà che manifesta verso le sue creature;
- lamento di fronte alle difficoltà e alle fatiche dell'esistenza quotidiana personale, familiare e sociale;
- supplica che invoca con accentuazioni diverse l'intervento di Dio;
- ringraziamento come confessione di quanto di buono Dio ha fatto o sta fa- cendo per l' orante, che spesso termina con l' atteggiamento di pura lode al nome santo e potente del Signore.
Si tratta di quattro forme letterarie che a volte si succedono nello stesso salmo nell'ordine sopra citato (cf. Sal 22; 69), mentre in altre occasioni sono combinate tra loro in modo flessibile (cf. Sal 42-43; 66; 91; 102). In altre circostanze si ha un intrecciarsi di stili letterari diversi tra salmi appartenenti al- la stessa unità o sezione del libro dei Salmi. Ne risulta una specie di cerchio nel quale si può entrare in ogni momento: «Si può cominciare dal lamento o dalla supplica, dall' azione di grazie o dalla lode» .Ed entrati da una di queste porte, il cammino della preghiera prosegue per le altre strade, incrociandone una o più di quelle segnalate. La poesia e la preghiera dei salmi diventano così più libere e spontanee, meno legate a uno schema fisso e più pertinenti nell'esprimere «le sfumature psicologiche dei sentimenti dell'uomo nella sua relazione con Dio» e nel suo modo di accostare il proprio vissuto e la realtà a lui esterna, spesso problematica e a volte invece a lui favorevole.
Un esempio di complessità: il Sal 30
Come esempio concreto si può far riferimento al Sal 30: composto di appena tredici versetti, invita dapprima (vv. 2-4) a ringraziare il Signore per aver ottenuto la liberazione dallo sheol, cioè da una situazione a rischio di morte. Il ringraziamento sfocia nella lode per i benefici ricevuti da Dio (vv. 5-6), la cui benevolenza Copre tutta l'esistenza, anche quelle situazioni in cui si può avvertire l'assenza del Suo volto e che provocano generalmente il lamento (vv. 7-8), perchè suscitano insicurezza e instabilità. Normale, pertanto, supplicare il Signore perchè si faccia presente come «Signore della vita» concedendo il Suo aiuto e sostegno (vv. 9-11). Quando questo diventa realtà, è possibile ringraziare di nuovo il Signore (vv. 12-13), non come una sterile ripetizione di quanto detto all'inizio, perchè il salmista è ora consapevole della complessità della vita che si porta dentro. La preghiera diventa così «espressione di una profonda dinamica spirituale» che conduce l'orante a quella maturità spirituale che lo rende realista di fronte alla propria e altrui esperienza di vita.
... sulla soglia dell’eternità
È proprio l'esperienza di affrontare con realismo la vita senza fughe in avanti di ottimismo spiritualistico e senza rallentamenti che bloccano l' esistenza rinchiudendola nell'oggi problematico, che fa giungere l'orante «sulla» soglia dell'eternità, sulla soglia dell'incontro aperto e vero con il Signore. Da questa soglia il salmista eleva il suo grido di sofferenza e di gioia a Dio, passando anche attraverso l'invocazione e il rendimento di grazie.
Lamento e lode sono pertanto le due modalità inseparabili e indispensabili del dialogo dell'uomo con il suo Dio; sono i due ritmi della preghiera; i salmi ne sono lo strumento privilegiato. Se uno dei due è dimenticato, è l'intero equilibrio della preghiera che è messo in discussione. Senza il lamento, l 'uomo sfugge alla sua condizione di uomo, evade dal mondo reale che non può essere senza sofferenza come non è senza peccato. Senza la lode, l'uomo dimentica chi è Dio, il suo Creatore e il suo Signore; dimentica che il Dio dell'alleanza dona la vita.
Egli dona la vita sempre, fin sulla croce: nel cuore di ogni sofferenza umana egli si manifesta come Signore e liberatore dal nemico, per il quale la morte chiude l' accesso definitivo alla vita, accesso che per il credente diventa invece apertura a una vita nuova garantita dalla fedeltà di Dio alle promesse fatte ai suoi figli.
Concludendo, poichè il Salterio per la tradizione ebraica e cristiana è il «libro delle lodi» (sefer thillîm) per eccellenza e dal momento che la lode non è mai disgiunta dal lamento, essendo entrambi uno «nel cuore» dell' altro, il modo migliore per accostarlo è non solo la scienza esegetica che indaga e seziona le singole parti per meglio comprenderle, quanto soprattutto il cuore dell’ uomo da sempre alla ricerca del senso della vita e di una speranza per continuare a vivere.
Attraverso le modalità letterarie del lamento con cui prende coscienza della precarietà della vita, della supplica attraverso cui esprime I' affidamento al Dio Creatore e Signore, del ringraziamento perchè I' aiuto di Dio lo fa passare continuamente dalla morte alla vita e della lode perchè il Signore in cui confida è «il Dio della vita», anche l'uomo di oggi può effettuare il suo cammino esistenziale come ricerca della vera sapienza. Si tratta del «pellegrinaggio del senso, in un'apertura dinamica di conoscenza e di amore, tendente sempre oltre tutte le acquisizioni», fino a giungere alle soglie dell'eternità. Allora la lode sarà piena e totale, come testimonia la parte finale dello stesso Salterio (cf. Sal 146-150), perchè integra il lamento in un'esperienza che apre alla speranza di un mondo che trova il suo equilibrio nel ritenere Dio come fondamento del suo senso e della sua esistenza (cf. Sal 1).
(da Parole di Vita, n. 1, 1995)