Teologia femminista in Nordamerica
di Susan A. Ross
Negli ultimi 35 anni il femminismo ha avuto un profondo impatto sulla teologia, e la teologia cristiana in Nordamerica non fa eccezione al riguardo. Alcune delle teologhe femministe più eminenti sono cattoliche (ad esempio, Elisabeth Schussler Fiorenza, Elizabeth A. Johnson, Rosemary Radford Ruether), nonostante che la tradizione cattolica proibisca l'ordinazione delle donne. In verità, secondo un commento di Catherine M. LaCugna se le donne hanno riversato tutte le loro energie nella teologia, fu proprio perché, secondo la tradizione, non potevano assumere la guida della comunità come ministri ordinati. Benché l'ordinazione e la leadership nella chiesa continuino a essere argomenti contestati tra le teologhe femministe cattoliche e la gerarchia vaticana, tuttavia queste teologhe hanno trovato nella loro tradizione sia molte risorse per lo sviluppo di una propria teologia, sia molti punti di critica.
Le teologhe femministe protestanti, come farò notare in seguito, sono diverse a seconda delle loro tradizioni e anch'esse hanno svolto un ruolo significativo come leader nella teologia femminista. Letty M. Russell, da poco scomparsa (1929-2007), lavorò con le teologie della liberazione, particolarmente in rapporto alla chiesa. Beverly Wildung Harrison è stata una delle voci guida nell'etica femminista protestante, sia nelle aree della sessualità sia in quelle dell'etica sociale. Rebecca Chopp è stata in dialogo con le teorie femministe europee ed Emilie Townes ha dedicato molto della suo impegno accademico a temi morali relativi alla vita delle donne, in particolare alle donne nere. Sono appena pochi nomi delle molte e importanti teologhe protestanti che hanno scritto ampiamente sulla teologia femminista.
In questo articolo voglio mettere in risalto anzitutto il femminismo come ideologia che attraversa le varie discipline scientifiche e il suo impatto sulla teologia. In un secondo punto affronterò qualche area particolare della teologia che è stata fortemente influenzata dalla riflessione femminista. Infine valuterò la situazione della teologia femminista in Nordamerica durante la prima decade del XXI sec. e suggerirò alcune direzioni che l'area della teologia femminista potrebbe prendere negli anni futuri. Una delle cose più importanti da tenere a mente quando si esamina la teologia femminista nordamericana è la sua diversità sia per la sua ricchezza come per le sue tensioni.
1. Femminismo e teologia
In quanto critica della conoscenza umana, il femminismo muove l'accusa che le donne siano state sistematicamente denigrate, travisate e talvolta eliminate dalla storia umana e dalla costruzione della conoscenza. Le più forti critiche femministe, etichettate talvolta come «radicali», sostengono che c'è un odio profondo contro le donne, che ha inquinato le società umane su scala mondiale. Nessuna «ricostruzione» sarà mai adeguata per «includere» le donne in ciò che sono le istituzioni ormai disperatamente distruttive. Perciò la religione istituzionale - insieme con altre istituzioni - è irrecuperabile e irreformabile. La più eminente sostenitrice di questa prospettiva è Mary Daly, il cui retroterra e preparazione teologica si fondavano nella tradizione cattolica. Dopo un primo tentativo di mostrare gli effetti del sessismo sulle donne e sulla religione e dopo aver delineato alcune possibilità di riforma, in cui attingeva alle teorie di Simone de Beauvoir, Daly ben presto rifiutò come dannosi sia il cattolicesimo che la religione istituzionale.
Benché molte teologhe femministe respingano le conseguenze pratiche del programma di Mary Daly - cioè il rifiuto completo della religione istituzionale -, molte la vedono come una figura profetica per la teologia femminista: cioè come colei che vuole denunciare le malefatte del patriarcato e del sessismo nelle loro forme più radicali. Ma la corrente principale delle teologhe femministe ha stretto una duplice alleanza: sia con i principi del femminismo, sia con i principi della religione che si pensa non siano antitetici e anzi potenzialmente utili al pieno sviluppo delle donne e degli uomini. La teologia femminista cristiana considera se stessa come una teologia della liberazione, all'unisono con altre teologie della liberazione che hanno sfidato e nello stesso tempo ricostruito la teologia partendo dalla prospettiva dei poveri, degli oppressi e degli emarginati di ogni parte del mondo.
Il femminismo sostiene che agli albori della storia umana le strutture patriarcali - cioè quelle strutture che presuppongono la superiorità e la leadership degli uomini, in particolare dei capifamiglia divennero dominanti, relegando le donne in una posizione di inferiorità. Le donne vennero identificate con la natura, che si pensava fosse inferiore alla cultura, e nelle religioni occidentali fu identificata con il corpo materiale, inferiore, mentre la terra in quanto divina fu maggiormente associata allo spirito e alla trascendenza rispetto al corpo. E importane notare che il patriarcato è compreso dalle teoriche femministe come una costruzione sociale e non come un'istituzione «naturale» che corrisponde alle strutture permanenti nell'ambito della vita umana. Le conseguenze inevitabili del patriarcato sono l'esclusione delle donne dalla vita pubblica, relegandole nella sfera privata e associandole con i bambini, la materia e gli animali; si riteneva che fossero dotate di minori capacità intellettuali e, per quanto riguarda la religione, si era convinti che le donne fossero più lontane dal divino che non gli uomini.
Nei primi anni in cui il femminismo esercitò il suo influsso sulle discipline accademiche in Nordamerica, le pensatrici femministe catalogarono l'esclusione delle donne in base ai canoni e ai metodi delle varie discipline accademiche e cercarono di configurali in modo nuovo, ridando alle donne la storia che avevano perduta. Alcune pensavano che un'aumentata consapevolezza dell'esclusione delle donne sarebbe presto sfociata nella loro inclusione, e nel corso di una o due generazioni l'approccio femminista sarebbe risultato non più necessario, una speranza che M. Daly espresse nel suo primo libro. Ma ciò non si è verificato. La presa dei vecchi modelli di pensiero e le strutture della società si sono dimostrate più tenaci e durature di quanto non si fosse pensato in precedenza. Non solo il genere, ma anche la razza e la classe sociale svolsero ruoli significativi nel mantenere le strutture sociali del momento. Ma in aggiunta, le pensatrici femministe svilupparono nuovi modi di approccio alle loro discipline che mettevano in discussione metodi più tradizionali. Attingendo ad aree come la biologia, la sociologia della conoscenza, la teoria politica e psicoanalitica, le pensatrici femministe scavarono più in profondità nella psiche umana e nelle strutture della società per dare maggior senso alle complessità degli adattamenti di genere nella vita umana.
Il femminismo stesso è cresciuto diventando più complesso e sono emersi approcci diversificati al problema del genere, spesso in conflitto con altre teorie femministe. Parlando molto sommariamente, il pensiero femminista può essere diviso in due grandi correnti:
- ci sono le teorie che pongono una maggiore importanza alla costruzione sociale, come il femminismo socialista o marxista, e che vedono ogni organizzazione umana come storica e quindi soggetta al cambiamento;
- ci sono invece le teorie che vedono il genere come una realtà intessuta più profondamente nella psiche umana e negli organismi sociali.
In particolare quando si tratta di discutere temi riguardanti famiglia, sessualità e riproduzione, queste teorie si presentano con soluzioni diverse e talvolta contrastanti. Negli Stati Uniti, le teologhe afroamericane e ispaniche hanno contestato la focalizzazione del femminismo sul genere e hanno sostenuto che le molteplici oppressioni sofferte dalle donne di colore sono fattori necessari da considerare. Il fatto che il terreno della teologia femminista sia occupato in larga misura dalle donne bianche e della media borghesia non è puramente accidentale, affermano queste teologhe, ma è il risultato di un pregiudizio sistematico che esclude le donne non bianche dall'esercizio della loro influenza socio-culturale.
- La teologia womanist, attingendo dalla concezione della scrittrice e poetessa Alice Walker circa il «femminile», inteso come qualcosa di orgoglioso, esplicito e impavido, si è presentata per le donne afroamericane come un mezzo per parlare simultaneamente come donne e come nere. Il senso e il genere non possono essere scollegati dai problemi relativi alla razza e alla classe sociale. Ispirandosi alle tradizioni della religione degli schiavi e della teologia nera della liberazione, le teologhe womanist si sono concentrate sul ruolo della croce e sulla sofferenza nella vita delle donne, volgendo la propria attenzione a figure bibliche come Agar, la madre sostituta che Sara offrì ad Abramo, per cercare una soluzione nel «costruire una strada dove non c'è strada».
- La teologia mujerista - così chiamata dalla teologa cubano -americana Ada Maria Isasi-Diaz - parla similmente di esperienze femminili in un contesto che non può mettere da parte razza, classe o etnicità.
Tutta la teologia è contestuale, sostengono le teologhe womnist, mujeristas e femministe, e quindi si contesta moltissimo anche il termine «femminista» come inadeguato per definire la teologia della liberazione della donna. Non tutte le teologhe latino-americane si chiamano mujeristas, e neppure tutte le teologhe nere si definiscono womanist. Tuttavia la complessità dell'oppressione condivisa e basata sul genere, pur con differenti esperienze di oppressione fondata su razza, etnicità e classe, rimane la componente centrale per la teologia «femminista» in Nordamerica.
La risposta della gerarchia cattolica al femminismo è stata largamente negativa, sebbene papa Giovanni Paolo II si sia dichiarato femminista in un'occasione e i vescovi degli Stati Uniti, negli anni '80 e '90 del XX sec., abbiano elaborato una lettera pastorale sulla questione femminile. Fintantoché chiede un maggiore apprezzamento del contributo che le donne danno alla chiesa e invita a indagare ulteriormente «il ruolo delle donne», il femminismo è visto dalla gerarchia con favore. Ma forme più «radicali» di femminismo, che contestano la struttura «eterna» della femminilità e invocano una ristrutturazione della chiesa stessa, sono state invece condannate dalla gerarchia. Non può sorprendere che poche teologhe, dichiarandosi cattoliche e femministe, siano soddisfatte della prima posizione.
Le tradizioni protestanti, nella risposta al femminismo sono eterogenee come lo sono in se stesse. Alcune tradizioni (ad esempio, quelle episcopaliane, luterane, metodiste, presbiteriane, battiste) hanno ordinato donne da decenni e ora le donne hanno raggiunto il grado dell'episcopato, diventando decani o presidenti di seminari e prendendo la guida delle loro tradizioni. Altre (come il sinodo luterano del Missouri, i battisti del Sud) dipendono dagli ammonimenti biblici contro la predicazione e la leadership delle donne, e pensano che le donne siano più adatte alla famiglia e all'educazione religiosa dei figli.
Nell'ambito di tutte queste tradizioni, le donne stesse non sono unite nel modo di pensare il proprio ruolo nella religione e non sono d'accordo se le donne debbano o non debbano svolgere ruoli di guida nella chiesa. Quindi, benché le teologhe femministe insistano sul cambiamento, alcune donne, fedeli alle loro tradizioni religiose, respingono tale richiesta.
Ma ora è tempo di sottolineare i contributi sostanziosi che le teologhe femministe cattoliche hanno dato in questi ultimi 30 anni.
2. I contributi della teologia femminista
Uno dei primi temi che attirò l'attenzione delle teologhe femministe fu quello dell'ordinazione delle donne. Agli inizi degli anni '70 un certo numero di tradizioni protestanti avevano incominciato a ordinare donne, e anche in campo cattolico c'erano donne che chiedevano eguaglianza nell'ambito della guida della chiesa. Data la rilevanza che nei sec. XIX e XX aveva avuto la ricerca storico-critica sulla Bibbia, i teologi della corrente principale e liberale non potevano più argomentare contro l'ordinazione delle donne sulla base della Bibbia. Fino a quel momento, l'insegnamento della chiesa cattolica sull'ordinazione delle donne non era stato molto discusso e così, fu istituita una Pontificia commissione per studiare il problema e il suo fondamento biblico. Il responso della commissione fu che la Bibbia non poteva essere la fonte per stabilire definitivamente in un modo o nell'altro se le donne potessero essere ordinate. Nell'autunno del 1976, papa Paolo VI emanò una dichiarazione secondo cui era impossibile per la chiesa l'ordinazione delle donne. L'argomentazione di tale documento fu che, sebbene la Bibbia sia fonte significativa e necessaria per l'insegnamento della chiesa, tuttavia erano necessari ulteriori motivazioni, essendo dimostrato che Gesù trattava le donne alla pari degli uomini, diversamente dalle usanze del tempo, eppure non le chiamò a far parte del gruppo dei dodici apostoli. Per tali motivazioni la dichiarazione si affidava alla concezione simbolica della sessualità umana.
Secondo queste motivazioni, la sessualità non è semplicemente una «specializzazione del ruolo riproduttivo». La sessualità umana è invece «essenziale», in quanto appartiene all'«essenza» della persona e quindi influisce non solo sulla fisiologia riproduttiva, ma anche sulla psicologia e sul destino di ciascuno nella vita. Gli uomini sono destinati all'attività e all'iniziativa, mentre le donne alla responsabilità e al nutrimento della vita. Questo approccio alla sessualità umana è stato sviluppato in lungo e in largo da papa Giovanni Paolo II ed è divenuto insegnamento normativo per la chiesa sia sulla sessualità come pure sul ministero. Benché ci siano delle implicazioni del tutto pratiche di questo insegnamento (come l'ordinazione), ci sono anche implicazioni teologiche molto serie, come il significato del genere in relazione alla natura di Dio.
Le teologhe femministe hanno respinto questa posizione, sebbene le loro valutazioni circa il significato della sessualità non siano identiche. Le teologhe femministe ritengono che gli esseri umani sono creati eguali; inoltre il messaggio di Cristo, per usare le parole di Sallie McFague, una delle più importanti teologhe protestanti, è «destabilizzante, inclusivo e non gerarchico». E. Schussler Fiorenza ha messo in luce il potere della «kyriarchia» (il governo del Signore) in quanto espressione che maschera il patriarcato e tutte le strutture di dominio, e ha sostenuto con forza che le strutture kyriarchiche sono peccaminose e contrarie al messaggio di Gesù. Nel suo libro del 1982, In Memory of Her, Schussler Fiorenza propose che la Bibbia fosse usata come «prototipo» invece che come «archetipo», per comprendere il ruolo delle prime comunità cristiane e la storia soggiacente ai testi canonici, e negli anni successivi ha ulteriormente precisato e sviluppato questa sua posizione.
Questo riferimento alla vita e al messaggio di Gesù è caratteristico di tutto il pensiero femminista cristiano, ed è nella valutazione di ciò che è posta la base per un femminismo cristiano. Eppure le teologhe femministe non sono totalmente d'accordo sul significato delle fonti canoniche per la teologia. Schussler Fiorenza e Ruether si domandano entrambe se il canone biblico sia sufficiente e suggeriscono che i teologi debbano andare fuori dal canone, per attingere dalle fonti apocrife e da altre fonti non canoniche argomenti per la loro teologia, in particolare attingendo a testi non canonici derivanti da gruppi più radicali del cristianesimo primitivo. Ma altre teologhe ancora, specificamente Sandra Schneiders, mettono in discussine questo appello e sostengono che le teologhe cristiane devono confrontarsi con il carattere rivelatorio della Bibbia. Che queste teologhe siano o no d'accordo sullo status metodologico della Bibbia, le teologhe femministe concordano che il passato come passato semplicemente non può servire come modello per il presente senza una sua valutazione critica partendo dalla prospettiva del genere, come pure da quella della razza e della classe sociale. Gesù rimane il modello per una leadership inclusiva per una «sequela di eguali».
R. Ruether, nella sua opera del 1982 Sexism and God-Talk: Toward a Feminist Theology, fu una delle prime a compiere una trattazione «sistematica» della teologia, indagando la dottrina su Dio, la natura umana, la chiesa e altri temi da una prospettiva femminista. Ruether contestò la maschilità di Dio, suggerendo che il termine God/ess dovesse essere usato al posto di God. Similmente Schussler Fiorenza propose di usare G*d, per simboleggiare il carattere indicibile del nome di Dio. Nel 1992 E.A. Johnson pubblicò la sua opera, vincitrice di un premio letterario, She Who Is: The Mystery of God in Feminist Theological Discourse, e attinse sia alle fonti della sapienza antica della Bibbia e del periodo patristico, sia agli scritti delle teologhe womanist e mujeristas sulle sofferenze delle donne e la risposta di Dio. Per le teologhe femministe, la presunta maschilità di Dio, come viene vista nei linguaggi biblici e liturgici e nell'uso ordinario, è uno degli impedimenti più rilevanti per lo sviluppo di una teologia più adeguata su Dio, che presti sufficiente attenzione al mistero radicale di Dio.
Nonostante gli sforzi di queste e di altre teologhe, la gerarchia vaticana ha resistito tenacemente all'approvazione di traduzioni «inclusive» della Bibbia (cioè l'uso di termini come «umanità» e «fratelli e sorelle» al posto di «uomini» e «figli» o «fratelli») ed è stata ancora più contraria a ogni iniziativa di usare termini diversi da quelli maschili per indicare Dio, specialmente quando si tratta di traduzioni per la liturgia. Ciò ha fatto sorgere problemi non solo con le teologhe femministe e con i biblisti interessati al linguaggio, ma anche con i teologi preoccupati di salvaguardare la competenza delle chiese nel preparare le proprie traduzioni. Nel 1993 si tenne una conferenza sul tema «re-immaginare Dio», e durante il suo svolgimento ci furono varie esperienze di celebrazioni in cui Dio veniva chiamato «Sofia». Come risultato della pubblicità negativa che circondava la conferenza, un certo numero di donne protestanti fu rimosso dagli incarichi che rivestivano nelle loro chiese. Chiaramente, chiamare Dio con nomi femminili ha serie ripercussioni sulla politica ecclesiastica e sulla teologia.
Una delle più significative aree della riflessione teologica femminista è quella della teologia morale, specialmente nell'ambito della sessualità. A causa della posizione della chiesa cattolica sul controllo delle nascite e sull'aborto, le teologhe femministe cattoliche del Nordamerica si sono preoccupate di indicare come in altri temi significativi sia stata tollerata una diversità di opinioni, ad esempio nella giustizia economica, nell'etica della guerra e della pena capitale, ma ciò non è avvenuto in temi che toccano profondamente le donne. Come le loro controparti protestanti, le teologhe femministe cattoliche mettono in rilievo l'importanza dell'agenzia morale delle donne e il mancato riconoscimento da parte della chiesa di considerare le donne come agenti morali, adulti e pienamente umani. Benché le teologhe femministe cattoliche non siano completamente d'accordo sullo statuto morale della «scelta procreativa», sono però critiche sul fallimento della chiesa nell'affrontare le esperienze femminili della sessualità, gravidanza e crescita dei figli. Questo è uno degli ambiti in cui si è manifestata negli anni recenti la peculiarità della teologia femminista cattolica.
Come tutte le altre discipline accademiche, anche la teologia femminista è stata influenzata dai movimenti postmoderni e dalla critica del «fondazionalismo». Inoltre, le voci delle donne di colore hanno contestato l'adeguatezza del cosiddetto carattere universale o normativo delle affermazioni teologiche. Il risultato di queste discussioni è stato di mettere in dubbio la vitalità di una teologia morale che attinge i suoi principi dalla legge naturale, come fa tradizionalmente la teologia cattolica. Tuttavia, un certo numero di teologhe femministe cattoliche ha tentato un «recupero» circa la tradizione della legge naturale, attingendo specialmente agli studi della filosofa Martha Nussbaum e dando un tono distintivo alla ricerca femminista cattolica nel campo della teologia morale.
Così come viene generalmente compresa, la «legge naturale» si riferisce alle strutture permanenti nell'ambito della vita umana e del mondo naturale, create da Dio e distinguibili mediante le forze dell'intelletto umano. Tommaso d'Aquino viene spesso accreditato come colui che ha sviluppato le basi per la teologia morale cattolica, che fa appello alla ragione umana come pure alle fonti bibliche ed ecclesiali, come i concili e le opere teologiche. Teologhe morali femministe, quali Lisa Sowle Cahill, Jean Porter e Christina L.H. Traina, si sono rivolte all'Aquinate (e indirettamente ad Aristotele), non tanto per il contenuto del suo insegnamento - che riflette gli atteggiamenti verso le donne comuni ai suoi tempi (le donne mancano di quella «eminenza di grado», che è essenziale per l'ordinazione, e hanno generalmente capacità morali e intellettuali inferiori) - ma piuttosto per la fiducia che pone nella ragione umana e per il riconoscimento di più o meno permanenti necessità e capacità interculturali che sono presenti negli esseri umani. Una tale prospettiva è precipuamente «cattolica» nel suo «realismo» e nel rispetto per la realtà materiale (incarnazione, mondo naturale) e quindi anche femminista nel suo impegno per il bene-essere delle donne.
L'area emergente della teologia ecologica è stata anche un centro d'interesse per le teologhe femministe, tanto che si è coniato il termine «ecofemminismo» per descrivere le connessioni tra la mancanza di rispetto verso la natura e verso le donne.
Un altro settore di interesse per le teologhe femministe è la liturgia e il culto. In parte a causa del veto all'ordinazione delle donne, ma anche a causa della mancanza di attenzione verso le donne nello svolgimento dei riti, c'è stato molto impegno da parte delle teologhe femministe su temi riguardanti il culto, come la predicazione, i sacramenti, i ruoli ministeriali femminili. Non solo le teologhe, ma le donne comuni, coinvolte nella vita ecclesiale, sono giunte a mettere in discussione la netta divisione tra i sacramenti «ufficiali» della chiesa e le pratiche rituali femminili. Le donne, che possono essere non soddisfatte della vita liturgica della loro parrocchia, dato anche il numero crescente di donne inserite nei vari ministeri pastorali come l'assistenza spirituale negli ospedali, l'amministrazione parrocchiale o la catechesi, hanno cercato di superare questi limiti sviluppando dei rituali propri. Questi possono includere sia letture tratte dalla Bibbia e da altre fonti, sia la danza, gli alimenti e la condivisione delle esperienze femminili. Come hanno fatto osservare alcune studiose femministe di liturgia, queste pratiche hanno in comune alcune caratteristiche, come la mancanza di una leadership centralizzata, un'accentuazione del racconto e l'uso di oggetti materiali tratti dalla natura e dalla vita quotidiana delle donne. Le donne impegnate in queste pratiche non si considerano come persone che hanno «lasciato» la chiesa (benché alcune lo facciano); vedono queste pratiche piuttosto come mezzi per nutrire una vita religiosa che metta al posto d'onore le esperienze femminili in un modo che la tradizione ufficiale della chiesa non compie. Le teologhe femministe hanno incominciato anche a sviluppare una teologia dei sacramenti che attinge dalla teoria femminista, ma anche da alcune opere più recenti dei teologi francesi sui sacramenti, come ad esempio gli studi di Louis-Marie Chauvet.
I contributi delle femministe cattoliche in campo teologico sono stati ampiamente riconosciuti in Nordamerica, pur rimanendo in qualche modo marginali. Da un lato, teologhe come E.A. Johnson, L.S. Cahill, Margaret A. Farley e Shawn M. Copeland sono state elette nel consiglio di presidenza della Catholic Theological Society of America, la più importante organizzazione accademica che raduna i teologi, uomini e donne, degli USA e del Canada. Alcune di esse ricoprono cattedre professorali e i loro scritti sono ben conosciuti tra gli addetti del settore. Eppure, d'altro lato, la teologia femminista è ancora percepita diffusamente come una sorta di teologia «aggettivale», il che significa che per la maggior parte delle persone, la «vera» teologia (prevalentemente tradizionale, bianca, occidentale, maschile) è quella insegnata nei corsi istituzionali e nei corsi si laurea e che, viene considerata come il nucleo essenziale della conoscenza teologica; invece le teologie «aggettivali» (femminista, nera, womanist, ispanica, della liberazione, ecc.) sono insegnate come una sorta di conoscenza «extra», a parte, che può essere utile (per esempio, se si insegna o si esercita un ministero in popolazioni multietniche), ma che non è realmente necessaria.
Eppure la teologia femminista ha sollevato un buon numero di questioni significative che sono centrali per la teologia:
- questioni di metodo, che comprendono l'uso e l'importanza sia delle fonti tradizionali (Bibbia, magistero della chiesa), sia di quelle non tradizionali (l'esperienza, l'uso di teorie filosofiche e politiche);
- il tema della rivendicazione, per cui la chiesa afferma di essere «nel» mondo ma non «del» mondo: una rivendicazione che viene usata per giustificare il trattamento differenziale delle donne nella chiesa, mentre allo stesso tempo si sostiene l'eguaglianza tra donne e uomini «nel» mondo;
- il ruolo dell'autorità gerarchica come il modo migliore per esercitare la guida (governance) della chiesa nel mondo contemporaneo;
- il ruolo della sessualità umana;
- il rapporto della dottrina sociale della chiesa con le sue questioni interne;
- il ruolo della immaginazione e del linguaggio nella vita umana.
Questi problemi rimangono questioni importanti per la teologia cattolica e la teologia femminista non potrà non essere partecipe della loro discussione.
3. La teologia femminista nei primi anni del XXI secolo
Considerando i risultati raggiunti dalla teologia femminista negli ultimi trent'anni circa, c'è ora in qualcuno la sensazione che la teologia femminista, come le varie teologie della liberazione, sia giunta a un punto morto. Mentre alcune cose sono cambiate - per esempio, non è più un'eccezione che le donne siano docenti di teologia, scrivano opere di teologia o lavorino nelle parrocchie con incarichi pastorali -, altre non lo sono e non sembra probabile che cambieranno nel prossimo futuro. Ci sono numerose sfide che devono essere affrontate negli anni futuri. Ne vorrei identificare qualcuna nei punti seguenti:
- La natura dell'autorità per le teologhe femministe cattoliche. Dato il significato attribuito all'esperienza, tenuto conto della tendenza verso la democratizzazione nella chiesa, includendovi il fatto che le donne stanno occupando ruoli prima esercitati dagli uomini, vista infine la crescente centralizzazione della chiesa cattolica nel Vaticano, quali possibilità ci sono perché le voci delle donne (e di altri gruppi oppressi) abbiano qualche effettiva autorità nella chiesa? Come possono avere influenza le voci delle donne, se virtualmente nel processo decisionale tutte le decisioni sono prese dal clero ordinato? Per quanto tempo le femministe saranno disposte a mantenere le sfide se le risposte sono state finora così negative?
- Il rapporto con il femminismo laico. La teologia femminista ha attinto largamente dal femminismo laico per la sua teoria, e negli ultimi anni ha ingaggiato un confronto con le medesime problematiche sul «fondazionalismo» che hanno interessato la filosofia, la scienza politica e altre discipline. Nel tentativo di trovare un equilibrio tra gli interessi del femminismo laico circa l'eguaglianza e l'autonomia e quelli dei valori della propria tradizione religiosa, quali saranno i criteri con i quali le teologhe femministe cercheranno di formulare il proprio giudizio?
- Il ruolo del trascendente. La teologia femminista ha sottolineato la dimensione «orizzontale» nel suo approccio sia verso le altre persone sia verso Dio. Se si vede Dio che si rivela nell'esperienza personale, se si costruisce una cristologia che accentua la vita e il messaggio di Gesù piuttosto che la sua divinità, qual è il ruolo della trascendenza nella teologia femminista? Benché le teologhe femministe abbiano fatto risaltare l'«incomprensibilità» di Dio (particolarmente E.A. Johnson), la risposta della teologia è stata di bilanciare il mistero con l'eguaglianza. Ma, dato che il cattolicesimo accentua il trascendente fatto carne, come può la teologia femminista evitare l'identificazione della propria esperienza con il divino?
In questo articolo ho indagato appena qualcuna delle aree in cui si è concentrato l'interesse delle teologhe femministe in Nordamerica. La mia speranza è che ciò contribuisca a far conoscere e comprendere a un pubblico più vasto le questioni che stanno a cuore alla teologia femminista.
* docente di Teologia e coordinatrice della sezione di «Christian Ethics» e del «Gannor Center» presso la Facoltà teologica della Loyola University (Chicago)
Sommario
L'articolo sottolinea anzitutto come la riflessione femminista sia un'ideologia che attraversa le varie discipline umanistiche e non solo la teologia. Tuttavia, non si può negare che il suo impatto sulle varie aree della ricerca teologica (biblica, storica, liturgica, ecc.) sia stato marginale negli ultimi trent'anni. Sembra quindi che i risultati pratici non siano esaltanti e che non siano avvenuti i grandi cambiamenti, soprattutto a livello di strutture ecclesiali, che le femministe cristiane si attendevano. Ciò nonostante rimangono molti aspetti positivi e alcune domande importanti, che aspettano una risposta nei prossimi decenni, in particolare sulla natura dell'autorità nella chiesa e sul ruolo del trascendente in rapporto all'esperienza umana.
(da Credere oggi, n. 164)