Formazione Religiosa

Mercoledì, 30 Giugno 2010 22:10

Tra "già" e "non ancora" (Filippo Manini)

Vota questo articolo
(5 Voti)

Il discorso sulla fine della storia s’innesta su quello del regno di Dio: il mondo nuovo è già iniziato ma il vecchio (col peccato) non è ancora cancellato. L’attesa non sminuisce l’impegno della chiamata di Dio.

L’escatologia

Tra "già" e "non ancora"

di Filippo Manini

Senza dubbio per Paolo, e per tutto il Nuovo Testamento, l'escatologia è essenziale. Partiamo con due definizioni, abbastanza aperte, ma sufficienti per questa breve presentazione: per "escatologia" intendiamo un discorso sulla fine della storia, a volte esposto nel linguaggio dell'apocalittica; per "apocalittica" intendiamo una serie di testi che parlano del presente e della fine con linguaggio oscuro e allusivo, per incoraggiare i credenti a perseverare nella speranza in Dio salvatore (oltre a singoli brani, ci sono due libri biblici "apocalittici", uno per Testamento: Daniele e Apocalisse di Giovanni).

Ci occuperemo dell'escatologia paolina abbracciando sia Paolo sia i testi che a lui si richiamano, considerando sia le lettere indiscutibilmente autentiche (Rm, 1 Cor, 2Cor, Gal, Fil, 1Ts, Fm), sia le altre. Ai tempi di Paolo tra gli ebrei diversi gruppi s'occupavano della fine della storia; c'è un presupposto comune a tutti, anche ai seguaci di Gesù: la storia è nelle mani di Dio, che la conduce a un fine stabilito.

Il quadro di riferimento

Oltre a distinzioni più particolareggiate, ci sono due ere principali o mondi che si succedono: il mondo presente, in cui i malvagi sembrano prevalere, e il mondo avvenire, in cui Dio stabilirà il suo dominio benefico senza più ombra di male. Nel Nuovo Testamento però c'è una novità: l'intervento finale di Dio fa passare da un mondo all'altro in un modo che non è evidente a tutto il genere umano; infatti il mondo avvenire è inaugurato da Gesù, che è il Cristo atteso, ma il regno di Dio non s'afferma ancora del tutto, fino al suo ritorno (in greco parusia: questo termine indica la venuta, e spesso è usato per la seconda venuta del Cristo). C'è una sovrapposizione: il mondo nuovo è già iniziato, ma non ancora compiuto; il mondo passato è già sconfitto, ma non ancora cancellato. In questo tempo in cui le due ere o mondi si sovrappongono, il credente in Cristo è già rinnovato, ma ancora esposto al rischio di ricadere nel peccato; è il tempo dell' annuncio del Vangelo e della crescita nell' amore (come appare per esempio in 1Ts).

Alla luce di questo quadro possiamo comprendere alcune espressioni di Paolo. Leggiamo nella Lettera ai Galati: «Gesù Cristo che ha dato sé stesso per i peccati, per riscattarci dal mondo presente malvagio secondo la volontà di Dio e padre nostro» (1,3-4); questo vuol dire che Dio attraverso il Cristo pone fine all'epoca presente dominata dal peccato e dalla malvagità; non si tratta tanto d'un giudizio morale sul tempo di Paolo, ma d'un giudizio escatologico: il mondo presente si contrappone al mondo avvenire inaugurato da Dio. I credenti sono messi dalla parte di questo mondo nuovo; certo permane la possibilità, prima del ritorno del Signore, che anche chi crede ricada nel peccato: la Lettera ai Galati mette in guardia proprio dalla possibilità che chi ha accolto il Vangelo se ne allontani.

Nella stessa linea possiamo leggere i testi che parlano della nuova creazione, come rinnovamento radicale legato al passaggio di era (2Cor 5,17; Gal 6,15), e l'esortazione a non conformarsi a questo mondo, ma a rinnovarsi (Rm 12,1-2). La Lettera a Tito (nello stesso quadro, ma con qualche variazione di termini) usa l'espressione "mondo di ora" per il tempo in cui viviamo, tra le due manifestazioni: della grazia e della gloria (2,11-14), in altri termini tra le due venute del Cristo. Anche la posizione di Paolo sulla funzione della Legge in rapporto alla giustificazione per fede si comprende meglio tenendo conto del quadro escatologico: l'intervento definitivo di Dio spinge a rivalutare ogni cosa (Fil3), perfino la Legge, inquadrata (sia in Gal sia in Rm, non senza difficoltà) nella storia salvifica che culmina in Cristo.

Tensione escatologica

Anche a proposito della giustificazione Paolo mantiene una tensione escatologica: giustificati ora, tendiamo alla salvezza futura (per esempio Rm 5,9; 8,18-30). Nel frattempo resta lo spazio per l'esortazione a comportarsi conformemente alla misericordia di Dio. Nelle Lettere ai Colossesi e agli Efesini invece si tende a far coincidere il tempo presente e il tempo del compimento: ora siamo salvati per fede e risorti con Cristo (per esempio Ef 2,1-10; Col 3,1-4), e dobbiamo comportarci di conseguenza, fino alla manifestazione, nostra e di Cristo, nella gloria. E’ chiaro che l'esortazione a comportarsi in maniera degna della chiamata di Dio si fonda non solo su ciò che egli ha già compiuto in Cristo, ma anche sulla speranza della sua seconda venuta (per esempio 1Ts 3,12-13; 5,23-24).

La seconda venuta (o parusia) spinge a una continua vigilanza, perché è sicura e imminente, ma il momento in cui avverrà è sconosciuto (1Ts 5,1-11), e sarà il tempo del giudizio. Il tempo della parusia è detto "giorno del Signore". La morte di alcuni a Tessalonica suscita sconcerto tra i credenti, e Paolo rassicura che i morti non saranno svantaggiati rispetto a chi sarà ancora in vita al momento del ritorno del Signore; infatti i morti risorgeranno e insieme con i viventi saranno condotti a vivere per sempre con il Signore (1Ts 4,13-18). Sul fatto e sul modo della risurrezione dei morti Paolo si sofferma nella 1 Cor 15. Paolo parla soprattutto della fine come evento che riguarda tutti, più che della fine individuale; qualche volta si sofferma sulla possibilità della propria morte (2Cor 5,1-10; Fil1,18-26): il contesto sono le fatiche apostoliche e il criterio di valutazione è l'annuncio del Vangelo.

L'impegno del cristiano

Possiamo riassumere così alcuni punti: dopo la morte e risurrezione di Gesù, i credenti, accolto con fede il Vangelo, lo annunciano e vivono nella speranza del ritorno del Signore; giustificati per fede, attendono la salvezza; quest'attesa non sminuisce, anzi sostiene l'impegno a comportarsi in modo degno della chiamata di Dio, praticando sempre più il comando dell' amore fraterno, per essere trovati irreprensibili alla venuta del Signore; allora ci sarà la risurrezione dei morti e la vita per sempre con il Signore. La 2Ts, con linguaggio apocalittico, avverte che la seconda venuta di Cristo sarà preceduta da segni ben riconoscibili: questo per confutare l'affermazione che «il giorno del Signore è già presente» (2Ts 2,1-2): affermazione che svuoterebbe la speranza cristiana.

Trattando della giustificazione per la fede in Cristo e non per le opere della Legge, Paolo affronta (Rm 9-11) anche un nodo decisivo della storia salvifica: l'annuncio del Vangelo è stato accolto solo da un resto (tra cui Paolo stesso) del popolo d'Israele, mentre la maggioranza lo ha rifiutato. Eppure Israele permane popolo amato, l'alleanza non è revocata: non è possibile che la parola di Dio sia venuta meno; in avvenire tutto Israele sarà salvato (Rm Il,26), e questo fa parte della fine della storia, che Paolo racchiude tutta sotto la misericordia di Dio.

(da Vita Pastorale, n. 6, 2009)

 

Bibliografia

Penna R., Paolo di Tarso, S. Paolo 1992, Cinisello B.; Hubner H., Teologia biblica del Nuovo Testamento, vol. II La teologia di Paolo, Paideia 1999, Brescia (or. ted. 1993). Dunn J. D. G., La teologia dell'apostolo Paolo, Paideia 1999 (or. ingl. 1998).

 

Letto 10255 volte
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search