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Martedì, 29 Giugno 2010 19:12

La vita dei deportati di Giuda (Francis Joannes)

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La condizione dei deportati fu modificata in modo spettacolare dalla presa di Babilonia da parte di Ciro, nel 539. Con essa egli aggiunse alle sue conquiste tutto l'Impero neobabilonese e le comunità dei deportati ebbero la possibilità di ritornare nella loro patria. Una parte degli esiliati di Giuda rientrò così dopo una deportazione di quasi cinquant'anni, ma un numero significativo rimase là, a Babilonia.

La vita dei deportati di Giuda

di Francis Joannes *

Le difficoltà incontrate dal re di Babilonia, Nabucodonosor II, nell’imporre la sua sovranità sul regno di Giuda lo inducono a imporre tre deportazioni rispettivamente nel 597, 587 e 582 a.C. queste non hanno tutte la stessa ampiezza, ma conducono nel giro di pochi anni allo stabilirsi, forzato, di una forte comunità ebraica in Mesopotamia, «sulle rive dei fiumi di Babilonia». Questo Esilio si conclude ufficialmente alla fine del 539, quando il re persiano Ciro, recentissimo conquistatore di Babilonia, autorizza il rientro degli esiliati nella loro patria. Ma non tutti rientrano, e la comunità ebraica di Mesopotamia, ormai arbitra del suo destino, continua a vivere, ed anche a prosperare, in Babilonia.

Nel 597 Nabucodonosor II (re dal 604 al 562) si impadronisce di persona di Gerusalemme e porta prigionieri nella sua lontana capitale mesopotamica il giovane re, la famiglia reale, gli ufficiali e i dignitari della sua corte e i suoi eunuchi. Il giovane Yoyakìn, salito al trono proprio nel 598, è colui che aveva dovuto affrontare la collera del re babilonese, dopo che suo padre Yoyakim si era rifiutato di versare il tributo e si era messo nella condizione di un vassallo ribelle. Queste deportazioni selettive erano state progettate nei secoli precedenti dagli Assiri e avevano lo scopo di privare un paese ribelle delle sue classi dirigenti politiche, spirituali ed anche socio-economiche. Il resto della popolazione è solo leggermente toccato e le nuove autorità messe al posto di quelle precedenti - nel caso Sedecia (Sidqiyahu), zio di Yoyakîn e nuovo re di Giuda - si impegnano a rispettare il giuramento di fedeltà e a versare un tributo.

Giunto a Babilonia, Yoyakîn fu alloggiato nel palazzo reale, come testimoniano liste scritte in caratteri cuneiformi su tavolette d’argilla trovate durante gli scavi tedeschi all'inizio del secolo XX. Si tratta di quattro distribuzioni di razioni d'olio, di cui una porta la data dell'anno 592. Yoyakîn vi appare come uno dei beneficiari: «Ya'ukin, re del paese di Ya'udu». Accanto al re si trovano i suoi cinque figli, non nominati, che devono avere raggiunto un' età sufficiente per lasciare la parte del palazzo riservata alla popolazione femminile e vivere con il padre. La Bibbia attribuisce a Yoyakìn sette figli, tra cui Salti-EI (o Pedaya?), il padre di Zorobabele. Questo nipote di Yoyakîn, nato a Babilonia e che porta un nome assolutamente babilonese (Zer-Babili, «seme di Babilonia» ), riaccompagnò dopo il 538 una parte degli esiliati verso Gerusalemme, ma non poté salire sul trono di Giuda. Analogamente, il nome biblico di uno dei figli di Yoyakîn: «Šenatzar» , è stato interpretato come la traduzio ne del babilonese Sîn-(ab)-usur o Sîn-nâsir, formato sul nome del dio babilonese Sin. Altri tredici personaggi originari del regno di Giuda sono citati in questi «testi di razioni», ma di solito in modo anonimo, come in questa citazione:

[x litri (d'olio)] per 3 soldati a 2 litri ciascuno, dipendenti di Ur-Milki, il Ya'udeo;
[x] litri per 8 Ya'udei
[x] litri ad Ardiya, il [...]
[x] litri a Samaku-Yama
[x] litri a Ya'ukin, re del paese di Ya'udu
[x] litri per l’edificio amministrativo di […]
[x] litri a Šalam-Yâma, l’arboricultore
[x] litri a 126 Tiri

Il resto del testo mostra che le popolazioni del «paese di Ya'udu» non erano che uno dei popoli rappresentati nel palazzo. Erano loro accostati degli Ioni, dei Lidi, dei Carii, dei Cilici, degli Urartei, dei Tiri, degli Elamiti,dei Persiani, degli Egizi, a conferma della reputazione cosmopolita di Babilonia. Yoyakîn dovette attendere la morte di Nabucodonosor II e l'avvento sul trono di Babilonia di Amêl-Marduk nel 562 per poter vedere significativamente migliorata la propria posizione. Ma rimase prigioniero nel palazzo e morì a Babilonia.

La grande deportazione del 587

Nel frattempo la situazione del regno di Giuda si era aggravata in modo catastrofico. Il re Sedecia aveva finito per ribellarsi anche lui contro il suo sovrano, contando sul sostegno del faraone d'Efinita e, nel dicembre 589, venne a porre per la seconda volta l'assedio a Gerusalemme. Questo assedio durò diciotto mesi. Nel luglio 587 Sedecia tentò di fuggire attraverso una breccia aperta nelle mura della città. Ma, catturato presso Gerico e condotto, con il suo seguito, presso Nabucodonosor, fu accecato, mentre i suoi figli furono messi a morte. L'ultimo re di Giuda fu poi condotto a Babilonia in catene, e lì finì i suoi giorni. Gerusalemme cadde definitivamente nell'estate 587 e il capo della guardia del re, Nabu-zêr-iddin, vi faceva il suo ingresso. Egli organizzò immediatamente la deportazione della popolazione in modo da sopprimere qualsiasi ulteriore resistenza. Il controllo del Vicino Oriente occidentale da parte del re di Babilonia era ormai completato. Nabucodonosor poteva così continuare i grandi lavori di restauro e di costruzione che suo padre aveva iniziato a Babilonia e nella maggior parte delle città importanti del paese. La popolazione di Gerusalemme doveva servire a questa impresa reale che metteva insieme desiderio di prestigio e volontà di sviluppo economico della Bassa Mesopotamia.

Se la presa di Gerusalemme è registrata in una cronaca babilonese, la grande deportazione del 587 non ha lasciato traccia in sé e per sé nella documentazione cuneiforme. Forse è da mettere in relazione con il soggiorno effettuato nella città di Sippar, nel nord della Babilonia, dal governatore della città di Arpad, nella Siria del nord, che offrì un giovane bue al dio Šamaš, il 29 maggio 586, cioè nove mesi dopo la presa di Gerusalemme. È possibile che il governatore di Arpad abbia dovuto prendere in carico e accompagnare la popolazione deportata del regno di Giuda: in epoca neo-assira, questo incarico spettava alle autorità nella cui circoscrizione passavano dei convogli di deportati. Ora, Arpad si trova sulla strada che il convoglio dei deportati ha dovuto seguire, perché era impossibile il percorso diretto, attraverso il deserto tra Gerusalemme e Babilonia, per una popolazione civile così numerosa, e che comprendeva donne e bambini. Vista la lunghezza del tragitto sino a Babilonia, e il numero delle persone coinvolte (parecchie migliaia di uomini con le loro famiglie, secondo le stime tradizionali), questa deportazione ha dovuto richiedere parecchio tempo. Non è dunque escluso che sia questa la ragione della presenza del governatore di Arpad a Sippar , e che egli abbia approfittato del suo passaggio (all'andata o al ritorno) per «compiere le sue devozioni» in un santuario particolarmente prestigioso.

I deportati di Gerusalemme furono condotti nel cuore dell'Impero, sulle rive dei fiumi di Babilonia, nelle vicinanze del canale Kebar, ai bordi del quale Ezechiele ebbe la sua celebre visione. Il nome stesso di questa via d'acqua (kabaru ha il senso di «spesso», «profondo») lo designa come un asse importante, ma la sua esatta collocazione è ancora problematica. Nel senso nord-sud, parallelo all’Eufrate e al Tigri, il canale Kebar scorreva nella Babilonia settentrionale e centrale. Sembra essere servito, in epoca achemenide, come regolare via di comunicazione per il trasporto dei prodotti agricoli tra Babilonia e la regione di Susa e serviva, probabilmente già dall'epoca neo-babilonese, vasti domini della corona.

Servi al servizio della corona

Non esistono informazioni dirette sulla situazione dei Giudei sotto i regni di Nabucodonosor II e dei suoi successori neo-babilonesi. Il parallelo fornito da altri gruppi di deportati dall'ovest semitico, in particolare quelli originari della città di Neirab, presso Aleppo, permettono di dedurre che essi erano collocati soprattutto sui terreni agricoli appartenenti all'amministrazione del re, e rimanevano in genere organizzati dalle loro autorità di origine, che fungevano da intermediari con gli amministratori babilonesi. La prima condizione degli esiliati da Giuda non era dunque per nulla favorevole ed essi non erano nient'altro che una sorta di servi sulle terre della corona.

I deportati in Babilonia rimasero raggruppati, forse in parte secondo il loro luogo di origine, in agglomerati nuovi o ricostruiti: Tel-Aviv sul canale Kebar, Tel-Melah,Tel-Harša, Kerub-Addâ, Immer, Kâsiphia presso il canale Ahavâh. Nessuno di questi luoghi ha potuto essere individuato sul terreno. Sappiamo inoltre molto poco sulle attività religiose della comunità ebraica esiliata, benché il fenomeno dell'Esilio stesso abbia avuto conseguenze culturali fondamentali. La Bibbia dice che il culto del sacrificio era stato sostituito dalla lettura del testo sacro. Alcuni passi del libro di Geremia citano anche, per condannarli, l'intervento di profeti in esilio e il ricorso a pratiche divinatorie o all'interpretazione dei sogni, che erano praticati nella comunità dei deportati (leggere l'articolo di J. Briend, pp.20-23).

Sino al termine del regno di Nabonide (555-539), ultimo re di Babilonia, la documentazione cuneiforme che li riguarda rimane scarsa, cosa che sembra logica per una popolazione che viveva in un circuito chiuso, senza diritti, e quindi anche poco abilitata a redigere contratti. Gli episodi biblici del libro di Daniele ci forniscono alcuni dati, ma rimangono abbastanza lontani da una reale descrizione della vita degli esiliati. La continua confusione che vi si trova, ad esempio, tra Nabucodonosor II e Nabonide testimonia una carenza di informazioni, dovuta forse alla vita isolata della comunità deportata.

Nonostante questo, a partire da1565, vi è a Opis, città commerciale sul Tigri, un mercante di nome Ahha, figlio di Shani- Yâm, contro il quale il suo socio Nabû-na'id, figlio di Nabû-gamil deposita un reclamo. Un po' più tardi, nel 551 e nel 545, è citato un tale Mînu'ešu, figlio di Yâhu-râm nella regione di Sippar.

Una progressiva integrazione dopo la fine dell'Esilio

La condizione dei deportati fu modificata in modo spettacolare dalla presa di Babilonia da parte di Ciro, nel 539. Con essa egli aggiunse alle sue conquiste tutto l'Impero neobabilonese e le comunità dei deportati ebbero la possibilità di ritornare nella loro patria. Una parte degli esiliati di Giuda rientrò così dopo una deportazione di quasi cinquant'anni, ma un numero significativo rimase là, a Babilonia. Il loro status cambiò: da deportati asserviti, divennero liberi e le terre della corona sulle quali vivevano furono loro concesse in affitto; essi ottennero una capacità giuridica sufficiente per poter acquistare o prendere in prestito a proprio nome dei beni, stipulare contratti, intraprendere una carriera nella nuova amministrazione reale, e comparire così nella documentazione cuneiforme. Una ricevuta ufficiale della fine del regno di Ciro, in data 13 settembre 532, dice così:

Abda Yâhu,figlio di Barak-Yâma, l'esattore,
ha ricevuto cinque sicli d'argento
dalle mani di Bunnanîtu, sposa di Ahîqar,
il governatore, a titolo di tassa-ilku
[gravante] su Ahîqar. Testimoni: Adiri-iaqa
[...] figlio di Harim; Bâniya,figlio di
Nubâ; Nanaya-ereš,figlio di Nabu-êtir. E lo
scriba: Ardi-Gula,figlio di Nabu-šum-ukîn,
discendente di Amêl-Ea.

Poco più tardi, nel luglio 531, una famiglia giudea si appella alle autorità legali per regolarizzare la situazione di una fanciulla ribelle all'autorità patema, seguendo le norme del diritto babilonese:

Il giorno in cui Tabat-Išar,figlia di Yaše'-
Yâma sarà vista ancora con Kulu,figlio di
Kalbaia, oppure che egli l'abbia indotta con
false parole, ma lei non abbia fatto
resistenza, e che non abbia detto al capo
della famiglia: «Scrivi a Kalbaia, il padre di
Kulu», Tabat-Išar sarà marchiata come
schiava. Stipulato in presenza di Halâ, la
madre di Tabat-Išar.

Questo documento è tanto più notevole in quanto testimonia la possibilità - in questo particolare caso, la necessità - di un matrimonio tra una famiglia giudea e una babilonese.

Il caso più interessante ci è fornito da un'altra tavoletta cuneiforme che riporta un contratto di vendita di un bue di due anni a Neri- Yâma, figlio di Ahi-yâqam. Il contratto conta cinque testimoni di cui quattro hanno nomi giudaici (Yâhu-azari, Nadabi- Yâa, Nahum, Abdu- Yâhu). Soprattutto, è stato stipulato in una città chiamata la «città di Giuda» (âl Yâhudu), nel mese di luglio 498, cioè quarant'anni dopo la fine ufficiale dell'Esilio.

La cronaca babilonese che racconta l'assedio e la caduta di Gerusalemme nel 587 designa la capitale proprio con il nome di «città di Giuda» invece che con il nome di Urusalimu, usato dagli Assiri. Essa è dunque la designazione babilonese ufficiale che serve a indicare questa «seconda Gerusalemme» in Mesopotamia, certamente uno dei punti di concentrazione della popolazione deportata collocata in un luogo che sembra essere nella Babilonia del nord. Gli archivi del tempio di Šamaš, a Sippar, ci tramandano altrettanto regolarmente dei nomi yahvisti, come Gamar- Yâma, Natan-Yâma, o Šubunu- Yâma. Analogamente gli archivi di Babilonia citano un Neri- Yâma nel 510, e un Aqabi- Yâma sotto il regno di Artaserse. [l sud del paese non ha, per il momento, tramandato alcuna traccia di una popolazione giudaica, sia durante il periodo dell'Esilio, sia sotto gli Achemenidi. In compenso, per la fine del V secolo a.C. gli archivi dei Murašu, a Nippur, nella Babilonia centrale documentano la presenza di un'importante colonia giudaica, che si concorda nel ritenere legata all'Esilio, piuttosto che costituita da coloni immigrati di recente. Questa comunità giudaica della regione di Nippur non avrebbe fornito che in numero ridotto amministratori o coloni militari al Grande Re, perché meno del 5% dei titolari di una carica amministrativa, citati negli archivi dei Murašu, hanno un patronimico giudeo. Analogamente, solo il 4% dei distretti militari sono in mano a Giudei. Un riesame dei dati onomastici degli archivi dei Murašu ha mostrato tuttavia che in una ventina almeno di casi troviamo persone dal nome yahvista il cui padre o la cui madre portano un nome chiaramente babilonese, talora anche con la citazione di una divinità locale (ma non era questo già il caso di uno dei figli dello stesso re Yoyakîn?). È dunque possibile che a Nippur, alla fine del V secolo, la popolazione giudaica sia stata più importante di quanto non si consideri abitualmente. Può trattarsi talora di tribuni militari al servizio del re persiano, che evitano il contratto con l'impresa Murašu per sfruttare delle terre, come in un testo del 429 in cui Yadih-Yâma, figlio di Bana'El, e i suoi figli Yâhu-Natan, Pada-Yâma, Šama'ôn e Ahi-Yâma, con altri associati, prendono n locazione per tre anni un insieme di terre in cambio di una fornitura annuale di 126.000 litri di orzo, due buoi e 20 montoni. Le relazioni con i Murašu sono talora più conflittuali, come mostra un processo intentato nell'aprile 417 davanti al satrapo (governatore di una provincia amministrariva) di Babilonia: quattro fratelli, Hananî, Zabad-Yâma, Bana Yâma, e Zabina, figli di Tôb-Yâma, avevano venduto una terra e delle case a Rimut-Ninurta, il capo dell'impresa Murašu per mezzo talento (7,5 chilogrammi) d'argento. Ma Rimut-Ninurta rifiutò di pagare il raccolto prodotto da questa terra, già seminata al momento della vendita. Alla fine fu condannato a versare dieci mine (5 chilogrammi) d' argento a titolo di risarcimento. Le decine di migliaia di persone deportate da Gerusalemme verso Babilonia vi hanno piantato le radici. Stanziati principalmente, sembra, nel nord e nel centro, su terre della Corona, gli esiliati giudei hanno riacquistato uno status di persone libere nel 539, in occasione della conquista di Ciro. Una parte non trascurabile di questa comunità ha allora deciso di rimanere sul luogo, nelle grandi città babilonesi, ma anche in località che sono loro proprie come la «città di Giuda» citata sotto il regno di Darlo I, o Tel-Aviv presso il canale Kebar, citato già da Ezechiele. Questi Giudei babilonesi compaiono da allora nei contratti cuneiformi, per quanto almeno permette di reperirli il loro nome yahvista. Intrattenendo buoni rapporti con i Persiani, la comunità giudaica della Mesopotamia integrò in parte l'amministrazione locale. Se seppe conservare le proprie tradizioni culturali, non visse però chiusa in se stessa: certi giudei presero nomi babilonesi, e sembra che possano esserci stati matrimoni con non giudei.


* Professore di Storia Antica presso l’Università di Parigi VIII-Saint-Denis

(Da Il mondo della bibbia, n. 5, 2005)

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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