Formazione Religiosa

Martedì, 29 Giugno 2010 19:06

Una comunità senza tempio (Jacques Briend)

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L’esame particolareggiato dei testi biblici che risalgono all'epoca dell'Esilio permette di cogliere gli importanti cambiamenti che si sono prodotti nella vita religiosa degli Ebrei di Babilonia, privati del Tempio.

Una comunità senza tempio

di Jacques Briend *

L’esame particolareggiato dei testi biblici che risalgono all'epoca dell'Esilio permette di cogliere gli importanti cambiamenti che si sono prodotti nella vita religiosa degli Ebrei di Babilonia, privati del Tempio. Durante l'Esilio è esistita una vita religiosa ritmata ogni settimana dal sabato, ogni anno dalla celebrazione pasquale che permetteva alle comunità ebraiche di mantenere una fedeltà al Dio di Israele nonostante l'imprevedibile della storia. Quando l'Esilio finirà, circoncisione, sabato e Pasqua troveranno il loro spazio nel giudaismo postesilico.

Come conseguenza di una politica disastrosa, Gerusalemme fu assediata dall'esercito di Nabucodonosor, re di Babilonia, nel 597, e numerosi Giudei furono costretti a prendere la via dell'esilio; in occasione del secondo assedio della città nel 587 un secondo gruppo prese la stessa via, e un po' più tardi un terzo fu pure costretto a partire per Babilonia. Il numero di questi esiliati è difficile da stabilire, ma disponiamo di alcuni dati al proposito. Secondo Geremia 52,28-30, tre gruppi di Giudei dovettero lasciare il loro paese per recarsi in Babilonia: nel 597, 3023 Giudei, nel 587, 832 abitanti di Gerusalemme, e infine, ne1582, 745 Giudei; in tutto 4600 persone. Questi dati, che solo il libro di Geremia ci fornisce, possono provenire da un documento babilonese che si limita ad indicare il numero degli adulti. Per l'amministrazione babilonese doveva bastare il censimento dei capi famiglia. Per l'esilio del 597 il libro dei Re offre dati molto meno precisi. In 2 Re 24,14, si parla di 10.000 esiliati, ma questa cifra si riduce a 8.000 al v. 16, 7.000 notabili e 1.000 artigiani che sapevano lavorare il metallo. Si tratta di un'approssimazione. I dati forniti dal libro di Geremia permettono di stimare a 20.000 il numero degli esiliati costretti a partire per Babilonia.

Al di là dei numeri, merita un esame la composizione sociale del gruppo degli esiliati. Nel 597, partono per l'esilio secondo 2 Re 24,15 il re Yoyakîn, la madre del re, le sue donne, i suoi funzionari e la nobiltà del paese, senza dimenticare gli artigiani capaci di lavorare il metallo allo scopo di prevenire una futura rivolta. Poco tempo dopo, forse nel 595, il profeta Geremia scrive una lettera agli esiliati (Ger 29,1-2) e si rivolge agli anziani, ai sacerdoti e ai profeti. VuoI dire che una parte dell'elite religiosa e civile è stata mandata in esilio. Il futuro profeta Ezechiele, che appartiene ad una famiglia sacerdotale, fa parte di questo gruppo. Nel 593, Dio lo sceglie come profeta e questa scelta è datata al quinto anno del regno di Yoyakîn (Ez 1,2).

La lettura del libro di Ezechiele mostra che il profeta si rivolge regolarmente agli anziani di Giuda che si riuniscono nella sua casa (Ez 8,1), chiamati anche anziani di Israele (14,1; 20,1). L'auditorio del profeta non si limita agli anziani e la sua parola suscita reazioni diverse: «I figli del tuo popolo - dice Dio a Ezechiele - parlano di te lungo le mura e sulle porte delle case e si dicono l'un l'altro [...] In folla vengono date, si mettono a sedere davanti a te e ascoltano le tue parole, ma poi non le mettono in pratica» (Ez 33,30-31). Da queste annotazioni è possibile concludere che il profeta e i suoi uditori abitano delle case e circolano liberamente.

Il poeta abita presso il fiume Kebar (Ez 1,3), una derivazione dell'Eufrate, in un villaggio chiamato Tel-Aviv (Ez 3,15). La parola «tell» desina di solito un luogo abbandonato e in rovina. È istruttivo trovare questo termine nel nome di località abitate da Ebrei esiliati, ad esempio Tel-Melah e Tel-Harša (Esd 2,59; Ne 7,61), accanto a località pure situate in Babilonia come Kerub-Addân e Immer. Così gli Ebrei in esilio sono stanziati in villaggi abbandonati e dunque è possibile una certa coesione sociale, che conservi il ricordo della loro origine. Queste comunità giudaiche, che potevano non essere troppo lontane le une dalle altre, avevano dunque una struttura sociale, ma anche una struttura religiosa grazie alla presenza di sacerdoti, custodi dell'eredità liturgica del Tempio di Gerusalemme, e tra questi Ezechiele è il più famoso.

I segni di un'identità religiosa

Nel contesto dell'esilio babilonese, quale poteva essere la vita religiosa degli esiliati? Il Tempio di Gerusalemme è distrutto, l'altare dei sacrifici pure e non si può nemmeno pensare di costruire un santuario o innalzare un altare per i sacrifici, perché gli esiliati hanno una viva coscienza di vivere su una terra straniera. Quelli che sono rimasti nel paese di Giuda inoltre lo ricordano agli esiliati dicendo: «Rimanete lontani dal Signore; è a noi che questa terra è stata data in possesso». Di fronte a una tale arroganza, Dio offre al profeta Ezechiele un'altra visione della situazione degli esiliati: «Se li ho mandati lontano fra le genti, se li ho dispersi in terre straniere, sarò per loro un santuario per poco tempo nelle terre dove hanno emigrato» (Ez 11,16). Affermazione forte: gli esiliati non sono abbandonati da Dio. Allo stesso modo Dio condanna quest'altra affermazione degli abitanti di Israele che «vanno dicendo: Abramo era uno solo ed ebbe in possesso il paese e noi siamo molti: a noi dunque è stato dato in possesso il paese!» (Ez 33,24). Di fronte a questa appropriazione del ruolo simbolico di Abramo, i sacerdoti in esilio fanno risalire ad Abramo il senso della circoncisione, un rito antico, praticato da molto tempo. In Genesi 17, un testo sacerdotale, la circoncisione diventa segno dell'alleanza tra Dio e il popolo nato dal patriarca Abramo (vv. 9-14). Durante l'Esilio, la circoncisione segna l'appartenenza al popolo dell'Alleanza. Al ritorno dall'Esilio, la circoncisione sarà pretesa per tutti gli uomini e si estenderà a tutti coloro che abitano la casa, ivi compresi gli schiavi; sarà imposta a tutti coloro che vogliono celebrare la Pasqua (Es 12,48).

Altro segno religioso instaurato in esilio: il sabato. In realtà, l'ambiente sacerdotale esilico sembra proprio l'autore dell'identificazione del settimo giorno con il sabato, che in origine era una festa mensile legata al plenilunio. Durante il periodo dell'Esilio, il sabato non è più legato al mese, ma alla settimana, più precisamente al settimo giorno, giorno in cui l'Israelita consacra un tempo a Dio per benedirlo e glorificarlo per la sua azione nella storia (uscita dall'Egitto, dono della manna) e nella creazione. L'osservanza dei sabati è citata nei testi dell'epoca esilica. Quest'uso del plurale, mai attestato in un testo preesilico, è legato all'istituzione del sabato come celebrazione settimanale. Da allora, non sorprende di trovare il plurale nel libro di Ezechiele, in particolare in Ez 20 dove Dio non esita a dire che, nel deserto, egli aveva dato a Israele «i miei sabati come un segno tra me e loro» (v.12). I sabati devono essere ritenuti sacri, perché «siano un segno fra me e voi, perché si sappia che sono io, il Signore vostro Dio» (v. 20). Probabilmente è in seguito all'Esilio che la prescrizione del sabato entra nel Decalogo (D t 5,12-15), mentre nel Deuteronomio non si parla mai di sabato.

Nell'altra versione del Decalogo (Es 20,8-11) si trova un esplicito riferimento a Gn 2,1-3 e al riposo di Dio il settimo giorno. In questa prospettiva bisogna domandarsi se il racconto della creazione, che apre il libro della Genesi (1,1-2,3), non sia nato dal desiderio di replicare alla recita del racconto babilonese della creazione, l'Enuma eliš, in occasione della festa dell'Anno Nuovo, perché molti Ebrei hanno potuto assistere alla grandiosa processione delle statue divine nella città di Babilonia. Al ritorno dall'Esilio la pratica di un sabato settimanale si imporrà a Gerusalemme sotto l'influenza dei sacerdoti, ma questa pratica si scontrerà con numerose difficoltà, secondo la testimonianza del libro di Neemia (13,15-22).

La celebrazione della Pasqua

Una terza pratica religiosa ha luogo durante l'esilio: la celebrazione della Pasqua. In un certo modo non è una novità, perché il Deuteronomio aveva collocato la Pasqua in cima al calendario liturgico (Dt 16,1-8) modificando un po' il rituale antico. Il testo che ci rivela questa liturgia non è altro che quello di Esodo 12,1-14, un testo sacerdotale, perché presuppone un calendario che inizia in primavera. In realtà la Pasqua è celebrata al quattordicesimo giorno del primo mese (Es 12,6) , data che tradisce l'influenza del calendario babilonese che inizia con la primavera. A partire da questo, tutti gli altri testi sacerdotali testimoniano questa stessa data. Detto questo, il testo di Es 12 offre la descrizione più precisa del rituale di Pasqua. Per certi aspetti vi si trovano indicazioni più arcaiche di quelle di Dt 16 in cui la Pasqua è collocata in cima al calendario, ma deve coincidere con la celebrazione degli Azzimi, prima festa del calendario liturgico preesilico. Nel cuore del testo si scopre la presenza di un rituale della Pasqua in cui i verbi si trovano alla terza persona plurale. Il luogo della celebrazione non è il Tempio, ma la casa, il che va molto bene per dei Giudei in esilio. Ecco questo rituale estratto dai versetti 3-8: «Ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per consumare un agnello, si assocerà al suo vicino, al più prossimo della casa, secondo il numero delle persone. L'assemblea della comunità d'Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po' del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull'architrave delle case, in cui lo dovranno mangiare. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare» .

Con questo testo l' essenziale è già detto: i due riti principali della Pasqua, il rito del sangue e quello del pasto, sono presenti. Questo rituale è arcaico, soprattutto se lo si confronta con quello di Dt 16,1-8. Così l'animale è immolato e non sacrificato. La vittima è un agnello o un capretto, il bestiame di grossa taglia è escluso (Dt 16,2); ancora, esso è arrostito sul fuoco, e non cotto (Dt 16,7) .Infine il luogo della celebrazione del rito è la casa e non si parla del santuario centrale come in Dt 16,2.6.7; non c'è né altare, né ministro.

Questo rituale si distingue dalle altre prescrizioni redatte alla seconda persona plurale che non fanno che aggiungere precisazioni al rituale antico. Eccone alcune: «Calcolerete come dovrà essere l'agnello, secondo quanto ciascuno può mangiarne»; «Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell'anno»; «Non lo mangerete crudo, né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere» .Solo il v. 11 offre una prescrizione positiva: «Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano». Questa precisione sulla tenuta conveniente mostra che ci si rivolge a persone per le quali queste indicazioni sono necessarie. Quello che era ovvio nel passato, per dei pastori che stavano per partire con il gregge in primavera, richiede ora di essere precisato per persone che si trovano in una situazione diversa.

Il testo di Es 12,1-14 presenta dunque caratteristiche singolari, perché è trasmesso come se il Tempio non esistesse, come se la legge sull'unicità dell'altare per i sacrifici non fosse stata promulgata. Per comprendere questo testo, bisogna leggerlo come un testo adattato al periodo dell'Esilio, in particolare per coloro che vivono in Babilonia. Là si comprende che la casa possa essere il centro della celebrazione pasquale. La precisione relativa alla scelta dell'animale il 10 del mese (12,3) si comprende sia per ragioni di purità, sia per ritirare l'animale dal gregge; la prescrizione è sorprendente e non si trova in alcun altro passo della Bibbia. Per concludere sottolineiamo il luogo che occupa il testo di Es 12 nell'insieme del libro dell'Esodo: si trova prima del Sinai, e dunque prima dell'organizzazione del culto collocato sotto l' autorità di Mosè. Questo permette di capire l'aspetto familiare della Pasqua e la sua ripresa durante il periodo dell'Esilio sotto l'autorità dei sacerdoti.

* Biblista, Institut catholique di Parigi

(Da Il mondo della bibbia, n. 5, 2005)

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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