Il corpo del cristiano tempio dello Spirito(1 Cor 6,12-20)
di Michele Ciccarelli
In questo passo Paolo proclama quella libertà cristiana che Cristo ci ha ottenuto: una libertà che non è indiscriminata né senza orientamenti e non conduce di nuovo ad alcuna schiavitù. Con queste premesse l' Apostolo affronta la problematica della dissolutezza morale diffusa nella città di Corinto. La comunità cristiana, che egli stesso ha fondato, deve fare i conti con una società multietnica e multireligiosa, complessa e corrotta dal punto di vista morale: di fronte a queste sfide Paolo non si scoraggia, ma con decisione e chiarezza verbale tratta le diverse questioni che essa presenta.
Il fulcro teologico e la chiave di lettura del suo discorso è la risurrezione di Cristo. In quanto associato a Cristo risorto, il cristiano viene abilitato a una comunione particolare con il suo Signore, mediante la quale viene informata ogni sua azione. A partire dalla risurrezione, Paolo elabora una teologia del corpo che costituisce la novità provocatoria per la società di Corinto e del mondo pagano in generale, e impegna, in modo esigente, la comunità cristiana ivi residente.
Il rapporto corpo-Signore (vv.12-14)
Dopo le premesse espresse al v. 12, nei vv. 13-14 Paolo affronta lo stretto rapporto tra corpo e Signore. Paolo, in effetti, con frasi brevi e pregnanti, aggredisce, per così dire, in modo diretto e violento, la problematica dei disordini sessuali praticati a Corinto. Dalla veemenza del linguaggio dovremmo forse dedurre che la comunità cristiana di Corinto fosse già incorsa in tali pratiche.
AI v. 12 il termine panta ( «tutto» ) introduce la legge di libertà tanto cara a Paolo e viene ripetuto altre due volte nello stesso versetto. La legge della libertà è lo statuto del cristiano liberato da Cristo con il suo sacrificio. Non c'è, quindi, nessuna schiavitù. «Tutto mi è lecito» viene ripetuto due volte e ogni volta viene accompagnata da una frase avversativa introdotta da «ma». La prima volta si precisa che «non tutto mi giova»; la seconda si dice che «non sarò dominato da niente». Paolo mette in campo il criterio di utilità, ben noto all'etica stoica, che, di fatto, limita la facoltà di azione del cristiano. In seguito, a proposito delle carni, Paolo utilizzerà lo stesso criterio per il bene di chi è ancora debole nella fede (cf. 1 Cor 8, 9-13). Il secondo criterio è un po' più sottile: la libertà non deve generare schiavitù. Sembrerebbe, infatti, che una completa libertà por- ti a una schiavitù. Paolo si prepara a spiegare la caratteristica di questa schiavitù, ma per fare questo ha bisogno di un'altra categoria: quella di «corpo».
Il v. 13 presenta il rapporto tra cibi e ventre, un rapporto stretto (i cibi per il ventre e il ventre per i cibi), tanto che subiranno l'identica sorte: la distruzione da parte di Dio. In questo rapporto non viene evidenziato alcun apprezzamento morale e la distruzione non è certamente vista come una punizione, ma, piuttosto, come un esito predeterminato a motivo della caducità dei due elementi. Nella seconda parte del versetto Paolo pone il termine «corpo» in antitesi agli elementi sopra indicati. Il fatto suscita un po' di perplessità, considerando che il ventre è una parte del corpo. Ma forse questo è un dettaglio trascurabile rispetto alla valenza che Paolo vuole dare al termine «corpo». Egli intende «corpo» in quanto organismo vivente e, per di più, come vedremo in seguito, è santuario dello Spirito. Viene, quindi, distinto il corpo come organismo vivente e il corpo come insieme di organi. In questa visione, Paolo non ha difficoltà a considerare il ventre come destinato alla distruzione, mentre dice che il corpo è per il Signore.
A differenza del rapporto naturale che c'è tra il ventre e i cibi, Paolo nega
qualsiasi rapporto tra il corpo e la porneia. Per porneia è da intendersi qui l'unione sessuale considerata illegittima dalla tradizione ebraica e, almeno in parte, condannata anche dalla società greco-romana. Il riferimento alla pornê (prostituta) ai vv. 15-16 farebbe intendere che Paolo si concentra sull'unione con la prostituta, tenendo presente, soprattutto, la diffusione della prostituzione sacra, già così duramente condannata dalla Bibbia. Il termine porneia ha, comunque, un significato più ampio ed è generalmente tradotto con il termine «impudicizia» e sta a indicare un disordine sessuale. Infatti, se prescindiamo dal libro dell' Apocalisse, dove il termine porneia ha il significato di «apostasia dalla fede», gli altri testi del Nuovo Testamento si riferiscono sempre a un disordine sessuale.
È da ricordare che le immoralità sessuali nell' Antico Testamento riguardavano oltre l' adulterio, anche l' incesto per diversi gradi di parentela, l'omosessualità, l'unione con animali e il vedere le nudità di colo.: ro che sono legati con particolari vincoli di parentela (Lv 20,9-21).
Paolo si ricollega a questa tradizione biblica e arricchisce le sue argomentazioni con la riflessione sul kerigma cristiano che vede il corpo dei cristiani, e quindi l'esercizio della sessualità ad esso legata, in stretta relazione con il corpo di Cristo risuscitato.
Nella 1 Cor Paolo tratta l'argomento della sessualità umana soprattutto ai cc. 5-7. In 1 Cor 5,1-5.9-11 egli affronta un problema di convivenza con la propria matrigna, dunque di incesto, situazione condannata, tra l'altro, dagli stessi greci. Paolo non solo dice che questo è duramente condannato (v. 5: «questo individuo sia abbandonato a satana»), ma fa riferimento anche a un'altra lettera precedentemente scritta ai corinzi, e a noi non pervenuta, dove dice già che essi non devono «mescolarsi con gli impudichi» (vv. 9-11), per quanto questi si trovassero all'interno della comunità dei fratelli e che bisognava persino sottrarsi alla comunione di mensa con loro (v. 11). Il fatto che il problema dell'impudicizia era già stato trattato in un altro scritto a noi sconosciuto, ci spinge a pensare che la problematica era tutt' altro che marginale nella società di Corinto e che Paolo attribuiva un'importanza notevole alla sua soluzione. In 1 Cor 7,1-6, poi, egli parla del matrimonio cristiano visto come remedium concupiscentiae, vale adire come mezzo per non cadere nei lacci dell' «impudicizia», tracciando le linee della morale matrimoniale.
In 1 Cor 6,9, dopo aver detto che alcune categorie di persone - vi compaiono anche impudichi (pornoi), adulteri, effeminati e sodomiti - non erediteranno il regno di Dio, ai vv. 12-20 Paolo dà le motivazioni teologiche per la condanna di tali abusi sessuali. Anche in 2 Cor 12,20-21, Paolo, dettata una lista di peccati di diverso genere, ritorna sul tema dell'impudicizia, segno che le avvertenze fatte in 1 Cor non erano state del tutto seguite, e che la situazione era veramente grave.
In 1 Cor 6,12-20, allora, Paolo sviluppa le ragioni di questa vocazione del corpo alla santità, evidenziando un rapporto stretto con il Signore. Dicendo, infatti, al v. 13b che «il corpo non è per l'impudicizia, ma per il Signore e il Signore è per il corpo», egli si contrappone a ogni spiritualismo che discredita il corpo. È qui uno dei cardini della teologia paolina. Non si può essere uniti al Signore se non lo si è anche con la dimensione corporale. La particella «per» (espressa in greco con il dativo del termine di riferimento), non proietta la vita del cristiano in un tempo da venire o in una dimensione ancora da acquisire, ma la contempla nel presente nella sua imprescindibile unità con il Signore. Le espressioni prive di predicato verbale risultano ancora più perentorie e i termini in questione più saldati tra loro. Infatti, viene espressa la negazione del rapporto «corpo-impudicizia», affermando, per due volte l'unità del corpo con il Signore ( «corpo-Signore» e «Signore-corpo» ).
L'unità corpo-Signore sembra una premessa indispensabile affinché «Dio che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza» (6,14). Ma la risurrezione futura del cristiano non è l'unica ragione per la quale il corpo non deve abbandonarsi all'impudicizia. In realtà, ciò che segue fa capire bene che la situazione del corpo obbedisce a uno statuto di comunione già presente tra la persona del cristiano e la persona del Signore Gesù.
I corpi dei cristiani sono la «la memoria di Cristo» (vv. 15-18)
Questa comunione è espressa mediante la metafora delle membra e del corpo. Si passa così dalla realtà del corpo fisico del cristiano alla realtà «sacramentale» del corpo di Cristo, cioè la Chiesa. Paolo afferma in 1 Cor 6,15: «Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo». Cronologicamente è la prima volta che Paolo ne parla nelle sue lettere.
Le membra sono viste come suscettibili di essere utilizzate per il peccato o per Dio. In Rm 6,13.19, infatti, Paolo dice che le membra del corpo non devono servire al peccato, ma alla «giustizia per la santificazione» (v. 19). Anche in Col 3,5 il termine «membra» è unito all'aggettivo «terrene» e dice che devono essere fatte morire, elencando, poi, una serie di peccati: «fornicazione, impurità, libidine, desideri sfrenati e l' avidità di guadagno, che è poi idolatria» !
Se i corpi costituiscono le membra di Cristo, allora tutti i corpi dei cristiani formano il corpo di Cristo, che non può entrare in contatto con il corpo di una meretrice: «Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di meretrice? Non sia mai!» (v. 15). L'unione con la prostituta da parte di coloro che sono già membra di Cristo compromette il rapporto di intima unione delle stesse membra con il corpo di Cristo. Come si può vedere, Paolo fa capire che un rapporto sessuale implica un livello di comunione e di unità profondo. I cristiani, quindi, non possono rinunciare a essere membra di Cristo per diventare membra di una prostituta. Il messaggio è chiaro e forte. Ma Paolo sviluppa ulteriormente il suo pensiero. Al v. 15 aveva incominciato ad argomentare mediante domande retoriche: «Non sapete...», «Prenderò dunque le membra...». Come risposta a queste due domande c'era stato un secco: «Non sia mai!». All'inizio del v. 16 e del v. 19 egli pone un' altra domanda retorica alla quale dà delle risposte più articolate. Al v. 16a continuando il discorso precedente dice: «O non sapete che chi si unisce a una meretrice forma un corpo solo». Paolo, a questo punto, pensa di rafforzare il suo pensiero con una citazione da Gn 2.
L' autore biblico, ragionando sulle parole di Adamo che, dopo la creazione della donna, afferma: «Questa volta è osso delle mie ossa e carne della mia carne! Costei si chiamerà donna perchè dall'uomo fu tratta» (Gn 2,23), aggiunge come commento: «Per questo l'uomo abbandona suo padre e sua madre e si unisce alla sua donna e i due saranno una sola carne» (Gn 2,24). Paolo al v. 16b cita il testo di Genesi solo nell'ultima parte: «I due saranno una sola carne», interpretandolo nel senso di unione sessuale. L'espressione «una sola carne» e «un solo corpo» è interscambiabile; ma Paolo parla di un «solo corpo» con la meretrice perchè, con la menzione delle «membra», è questa l'immagine sottesa che emerge più naturale.
Si deve rilevare, a questo punto, che nel ragionamento di Paolo c'è uno slittamento di contesto: dal contesto di un'unione sessuale già di per se illegittima come l'unione con una prostituta, si passa a parlare dell'unione sessuale dell'uomo e della donna così come previsto dal piano di Dio stesso. Per un momento Paolo abbandona il punto di vista morale e si concentra sull'unione sessuale in quanto tale e sul suo profondo significato relazionale.
Proprio perchè l'unione sessuale è così intima e profonda, e tende a fare dei due «una sola carne» o «un solo corpo», essa non può avvenire con una prostituta, rischiando di trasformare, come prima si era detto, le membra di cristo in membra di prostituta. In seguito, in 1 Cor 7, Paolo tratterà del matrimonio cristiano, che non è messo in contrapposizione all'unione con Cristo; ma, al contrario, l'attività sessuale all'interno del matrimonio è vista come un modo per evitare proprio il pericolo di porneia.
Dopo aver parlato dell'unione dei cristiani con il Signore in quanto sue membra, adesso Paolo sottrae questa unione a una visione materialistica, non per privarla di realismo, ma per riconoscerle uno statuto più alto: quello spirituale. Al v. 17, infatti, Paolo dice: «Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito».
È degno di nota che non compaia nel nostro testo l'espressione «corpo di Cristo», anche se, indubbiamente, se ne sottintende il concetto. Forse Paolo evita il termine proprio perchè vuole sottolineare questo livello di unità particolare: l'unità in un solo spirito.
Al v. 18, infine, dopo un'esortazione a «fuggire l'impudicizia» aggiunge: «Qualsiasi peccato l'uomo commetta, sta fuori del corpo; ma chi commette impudicizia pecca contro il proprio corpo!». Sembra che Paolo ammetta come peccato contro il proprio corpo solo il peccato di impudicizia o di immoralità sessuale. Forse è per ragioni oratorie che egli si concentra solo su questo tipo di peccato o forse perchè riconosce al corpo, proprio a partire dal testo della Genesi che egli cita, quella speciale capacità di creare comunione profonda, fondendo due persone in un unico essere.
Il corpo, infatti, non è inteso come un involucro dell'anima; viceversa, l'uomo stesso è compreso nella sua inscindibile unità psicofisica e spirituale; e in tale unità egli entra in un'intima relazione con il Signore. Potremmo affermare, allora, che l'immoralità sessuale è considerata come un peccato contro il proprio corpo in quanto tende a distruggere l'unità psicofisica della persona. Il corpo, infatti, nelle sue relazioni non può non coinvolgere anche la psiche e la dimensione spirituale. La libertà di azione dell'uomo, in definitiva, non deve mai portare alla dissociazione tra vita fisica evita psico-spirituale.
Il corpo dei cristiani è tempio dello Spirito (vv. 19-20)
Ai vv. 19-20, una frase interrogativa e un'altra affermativa sono accostate tra loro in modo chiastico:
A Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo presente in voi,
B che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi?
B’ Infatti, siete stati comprati con un prezzo.
A’ Glorificate quindi Dio nel vostro corpo
Come si può vedere, gli elementi interni (B e B’) parlano dei cristiani che non appartengono a loro stessi, perchè comprati con il prezzo della redenzione di Cristo. Gli elementi esterni della struttura (A e A'), invece, si riferiscono all' importanza del corpo, inteso come tempio dello Spirito Santo e strumento di glorificazione di Dio.
Già in 1 Cor 3, Paolo aveva parlato dei cristiani come «tempio di Dio»: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi ?» ( 1 Cor 3,16). Il testo di 1 Cor 6,19, allora, sviluppa questo concetto di sacralità del corpo. Il corpo è sacro e intoccabile perchè è il tempio di Dio e chi lo danneggia o lo distrugge, si attirerà da Dio stesso la distruzione (cf. 1 Cor 3,17: «Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui, perchè santo è proprio il tempio di Dio che siete voi» ). Questa affermazione del c. 3 getta una luce per la comprensione del nostro testo: il corpo del cristiano è il tempio di Dio e partecipa della sua santità. Di conseguenza, se viene meno la santità con pratiche sessuali immorali è come se si distruggesse lo stesso tempio.
È forse in questa prospettiva che Paolo parla di peccato contro il proprio corpo. Facciamo notare, a riguardo, che la versione della Traduzione Interconfessionale in lingua corrente, scostandosi da una traduzione letterale, interpreta il nostro testo forse proprio alla luce di 1 Cor 3,17, traducendo in questo modo: «Chi si dà all'immoralità distrugge fondamentalmente se stesso». L'ultimo versetto serve, infine, a Paolo per esortare i suoi cristiani a glorificare Dio con il proprio corpo. Il motivo di questa glorificazione è I' opera redentrice di Cristo espressa in termini di acquisto. Cristo possiede il cristiano. All' interno di questo possesso bisogna intendere la libertà cristiana. Una libertà che porta fuori da questo dominio di Cristo è una libertà che non porta al bene integrale della persona e, spesso, porta alla schiavitù.
È I' esercizio di una libertà senza criteri che si trasforma in dominio, blocca la potenzialità umana di fare il bene e porta l'uomo a far perdere il bene di quella comunione di amore che egli ha con il Signore.
Conclusioni
Il grido finale di glorificare Dio con il proprio corpo è basato su quel debito di riconoscenza che il cristiano sente di avere verso colui che ha immolato il suo corpo per amore e, con la sua risurrezione, ha dato la possibilità di essere sue membra mediante la comunione in lui di un solo spirito (cf. 1 Cor 6,15-16).
Vediamo che già dai primi scritti paolini, all'inizio degli anni 50, Paolo delinea chiaramente il fulcro della sua riflessione teologica: comunione intima e imprescindibile di Cristo con il
cristiano in virtù del ruolo fondamentale giocato dalla risurrezione dei corpi.
È proprio la risurrezione di Cristo nel suo corpo e la futura risurrezione dei corpi dei cristiani che offre a Paolo l' occasione di una riflessione profonda sul senso del vivere nel corpo.
Il corpo che è possesso di Dio e nel quale abita il suo Spirito come in un tempio richiede rispetto al fine di salvaguardare la sua funzione relazionale improntata alla santità. Conservare, infatti, questa santità, ottenuta dall' opera di Cristo (cf. 1 Cor 6,11), serve a rimanere in quella fondamentale unione con il Signore risorto.
(da Parole di vita , 2, 2002 )