Il buon uso di Giuda
di Frédéric Lenoir
Il Vangelo di Giuda è stato il best-seller internazionale di questa estate. (1) Destino straordinario per questo papiro copto strappato alle sabbie dopo diciassette secoli di oblio e di cui non si conosceva finora l’esistenza se non dall’opera di sant’Ireneo Contra hereticos (180). Si tratta dunque di una scoperta archeologica importante. (2) Tuttavia esso non apporta nessuna rivelazione sugli ultimi momenti della vita di Gesù e non è assolutamente possibile che questo libricino possa “agitare fortemente la Chiesa”, come proclama l’editore in quarta pagina di copertina.
Anzitutto perché l’autore di questo testo scritto alla metà del II secolo non è Giuda, ma un gruppo di gnostici che ha attribuito la paternità del racconto all’apostolo di Cristo per dargli più senso e autorità (procedimento frequente nell’Antichità). E poi perché, dopo la scoperta di Nag Hammadi (1945), che ha permesso di portare alla luce una vera biblioteca gnostica che comprende molti vangeli apocrifi, si conosce meglio la gnosi cristiana, e infine perché Il Vangelo di Giuda non porta alcuna luce nuova sul pensiero di quel movimento esoterico.
Il suo successo fulmineo, perfettamente orchestrato dal National Geografic che ha acquistato i diritti per tutto il mondo, non dipende soltanto dal suo titolo straordinario: “Il Vangelo di Giuda”. Associazione di parole stupefacente, impensabile, sovversiva. L’idea che colui che i quattro Vangeli canonici e la tradizione cristiana presentano da duemila anni come “il traditore”, “il cattivo”, “l’adepto di satana” che ha venduto Gesù per una manciata di soldi, abbia potuto scrivere un vangelo è intrigante. Che abbia voluto dire la sua versione degli avvenimenti per tentare di allontanare l’obbrobrio che pesa su di lui è anche formidabilmente romanzesca, quanto il fatto che questo vangelo perduto sia ritrovato dopo tanti secoli di dimenticanza.
In breve, anche quando non si conosce nulla del contenuto di questo libretto, non si può che essere affascinati da un simile titolo. Tanto più che, come ha ben rivelato il successo del Codice da Vinci, la nostra epoca dubita dei discorsi ufficiali delle istituzioni religiose sulle origini del cristianesimo e che la figura di Giuda, come quella della lunga lista delle vittime o degli avversari vinti dalla Chiesa cattolica, è riabilitata dall’arte e dalla letteratura contemporanea. Infatti come avrebbe potuto il Cristo compiere la sua opera di salvezza universale se non fosse stato consegnato da quel disgraziato? Il vangelo attribuito a Giuda cerca d’altronde di risolvere il paradosso facendo dire esplicitamente a Gesù che Giuda è il più grande degli apostoli, perché è lui che permetterà la sua morte: “Ma tu li superi tutti! Perché sacrificherai l’uomo che mi serve da involucro carnale” (56). Questa parola riassume bene il pensiero gnostico: il mondo, la materia, il corpo sono l’opera di un dio perverso (quello degli Ebrei e dell’Antico Testamento); lo scopo della vita spirituale consiste, mediante l’iniziazione segreta, in questo: che i rari eletti, che possiedono un’anima divina immortale, dono del Dio buono e inconoscibile, possano liberarla dalla prigione del loro corpo. È piuttosto divertente constatare che i nostri contemporanei, infatuati della tolleranza piuttosto materialisti, e che rimproverano al cristianesimo il disprezzo della carne, si appassionino per un testo nato da una corrente che a suo tempo fu condannata dalle autorità della Chiesa per il suo settarismo e perché considerava che l’universo materiale e il corpo fisico fossero un’abominazione.
1) L’Évangile de Judas, traduction et commentaire de R. Kaiser, M. Meyer et G. Wurst, Flammarion, 2006, 221 p., 15 €. Rodolphe Kasser, Marvin Meyer, Gregor Wurst, Bart D. Ehrman (a cura di), Il Vangelo di Giuda, Vercelli, National Geographic Society - White Star, 2006. È la versione italiana della traduzione "ufficiale" del testo, accompagnata da alcuni saggi.2) Vedere Le monde des Religions, n° 18.
(da Le monde des religions 19, p. 5)