Lo Spirito Santo nella vita della Chiesa
di P. Pelagio Visentin osb
Non è tanto facile parlare dello Spirito Santo: tutti conoscono la definizione del «grande Dimenticato», come si è detto, e da vari anni si sta cercando di rimediare a questa carenza della teologia e della spiritualità occidentale. Tutti sanno infatti che i nostri fratelli separati d’Oriente, in particolare, sono molto sensibili a questo tema e trovano che la nostra teologia e, per conseguenza, anche la nostra spiritualità sono piuttosto povere a questo riguardo.
Già Leone XIII con alcune classiche encicliche sullo Spirito Santo ha tentato di rimediare a questa insufficienza teologica; anche il concilio Vaticano II ha dato preziosi elementi per un approfondimento ed un arricchimento della riflessione cristiana sullo Spirito Santo. Dobbiamo però essere sinceri e dire che c’è ancora molto da indagare e da meditare perché la teologia dello Spirito Santo sia veramente una realtà viva e presente.
1. La «Chiesa di pentecoste» e lo Spinto Santo
Per nostra fortuna lo Spirito Santo è presente anche quando noi non ci pensiamo, ma è ovvio che una presa di coscienza più immediata potrebbe essere un grande aiuto anche per la Chiesa di oggi. Penso che il rinnovamento della Chiesa, oggi come domani e sempre, non potrà essere ottenuto soltanto aggiornandosi alle esigenze ed ai segni dei tempi, ma tornando ad uno studio, ad una riflessione, ad una meditazione profonda su quello che vuol dire il dono dello Spirito Santo da parte di Gesù, l’ultimo dono che egli ci ha la sciato prima di salire al cielo.
E per questo credo che la Chiesa, di oggi e di sempre, abbia bisogno di pensare al suo primo modello inarrivabile: quella che potremmo definire la «Chiesa di pentecoste», la comunità di pentecoste, dove il dono dello Spirito era ancora un elemento freschissimo, nuovo.
I Vangeli ci hanno narrato prima di tutto la discesa dello Spirito Santo sul Signore Gesù. Già nell’incarnazione l’arcangelo Gabriele diceva alla Madonna: «lo Spirito Santo scenderà su di te e ti riempirà della sua forza divina»; poi lo Spirito Santo scende su Gesù al Giordano.
Dopo i Vangeli, il libro classico, fondamentale a questo riguardo è, come tutti sanno, il libro degli Atti degli Apostoli, dove si narrano le varie discese dello Spirito Santo sopra la Chiesa, sopra la comunità dei discepoli di Gesù. Siamo quindi in continuità con i Vangeli, anzi gli stessi Atti degli Apostoli sono stati definiti «il Vangelo dello Spirito Santo».
Questo libro, scritto da Luca, nel capitolo 2 narra prima di tutto la discesa spettacolare nel mattino di pentecoste; poi, successivamente, ripetute volte, ricorda ua venuta, un dono, una missione dello Spirito Santo: sopra Pietro e Giovanni con la comunità dopo la persecuzione (4, 31); nel caso di Filippo, che aveva battezzato in Samaria, quando gli Apostoli vanno poi a dare lo Spirito Santo (8,17); importantissima è la discesa dello Spirito Santo nella casa di Cornelio, dopo la predicazione di Pietro (10,44); infine su un gruppo di discepoli a Efeso (19,6).
Parecchie volte Luca ritorna su questo dono che è conferito a tutti. E’ stato notato anche che tutte queste discese dello Spirito Santo hanno alcune tematiche fondamentali in comune: per esempio lo Spirito discende là dove una comunità di fratelli è unita, e per accrescere questa unione. La mattina di pentecoste i discepoli erano tutti «congregati in unum», in unità di spirito: lo Spirito discende ed aumenta, intensifica questa unità. Lo Spirito scende volentieri dove trova la Chiesa in preghiera come nel Cenacolo dove è in attesa del dono dello Spirito.
La venuta dello Spirito Santo è messa in connessione col battesimo come un suo completamento, cioè quello che chiamiamo oggi la cresima o la confermazione. Altro nesso con la parola di Dio, che ha una forza irresistibile, un’espansione missionaria proprio per il dono dello Spirito. Infine coi carismi: dove c’è lo Spirito c’è abbondanza di carismi.
Ecco dunque che la Chiesa di pentecoste è tutta permeata, vivificata da questa presenza, da questo dono dello Spirito ed è proprio la sua venuta che inaugura e porta a maturità la nuova comunità messianica. Si può dire che la Chiesa è nata già quando Gesù ha chiamato i discepoli; oppure che la Chiesa è nata, secondo la teologia dei Padri, da Cristo che si offre sulla croce, dal suo costato aperto dalla lancia. Tutto questo rimane vero, però la Chiesa appare come un fatto pubblico e solenne, si presenta davanti al mondo precisamente la mattina di pentecoste.
E avviene veramente qualche cosa di grandioso. questa Chiesa, che era nata prima nel cuore di Gesù ed era limitata ad un piccolo gruppo, diventa la vera comunità della nuova economia ed il discorso di Pietro la mattina di pentecoste spiega precisamente perché essa è la nuova comunità messianica: quel dono dello Spirito Santo che i profeti avevano predetto e promesso tante volte, adesso è disceso con abbondanza su tutti i presenti e questo, Pietro spiega, vuol dire che sono arrivati i tempi messianici, definitivi.
Lo Spirito è la garanzia, ormai, della presenza e dell’azione di Dio, azione permanente. Ireneo riassumerà meravigliosamente questa fede della Chiesa: « Ubi Spiritus, ibi Ecclesia» una bellissima, sintetica definizione della Chiesa. Egli in lotta con gli gnostici, voleva dire che lo Spirito non si comunica per via esoterica, segreta, di certi discepoli che pretendevano di avere rivelazioni attraverso canali particolari, ma piuttosto attraverso la trasmissione ufficiale della Chiesa, quella apostolica, attraverso i successori degli Apostoli in particolare. La Chiesa diventerà d’ora innanzi una dimora stabile dello Spirito Santo, il segno permanente di questa azione divina in mezzo agli uomini.
Del resto questa connessione dello Spirito Santo con la Chiesa la ricordiamo continuamente anche negli articoli del Credo. Purtroppo parecchi fedeli, quando recitano il Credo pensano forse che esso sia una lista, un elenco di verità indipendenti una dall’altra o pensano anche che non vi sia un nesso logico tra i vari articoli del Credo. Lo studio storico più approfondito dimostra invece che il Credo non è un elenco di verità ordinate secondo un principio sistematico, ma piuttosto presenta la storia salvifica, l’opera creatrice del Padre; segue l’opera del Figlio, incarnato, morto e risorto; e finalmente si arriva all’ultima parte del Credo, allo Spirito Santo.
Ora subito dopo il «Credo nello Spirito Santo» si aggiunge «Credo la santa Chiesa cattolica»: non vi è un accostamento soltanto casuale, una giustapposizione, ma un nesso profondo perché per lo Spirito Santo esiste la Chiesa, e la Chiesa è santa proprio per l’azione dello Spirito Santo. Segue la «remissione dei peccati» perché è precisamente lo Spirito Santo, come vedremo più avanti, che santifica e rimette i peccati, purifica la Chiesa.
Si passa poi a «risurrezione della carne», la vita escatologica di cui lo Spirito Santo è la primizia, la caparra. Tutto dunque è articolato secondo la storia salvifica.
Si vuol esprimere una connessione in radice, fondamentale tra la Chiesa e il dono dello Spirito Santo. Proprio allora vediamo che quel piccolo gruppo, quel manipolo di discepoli di Gesù poteva sembrare, ad un osservatore esterno, una piccola setta separatista dal giudaismo ufficiale: diventa invece la Chiesa «cattolica», cioè universale, portatrice di una salvezza universale che abbraccia il mondo intero.
Se leggiamo attentamente i primi capitoli degli Atti degli Apostoli, troviamo narrata una vicenda meravigliosa: nessun giudeo avrebbe avuto il coraggio allora di aprire la Chiesa al torrente impetuoso dei gentili, se non fosse avvenuto quello che è avvenuto la mattina di pentecoste, col dono delle lingue, in cui lo Spirito Santo prendeva possesso di tutte le razze, di tutte le culture.
Ancora più significativo su questo tema specifico, il fatto riferito nei capitoli 10-11 degli Atti degli Apostoli, dove si narra la piccola ma importante pentecoste nella casa di Cornelio, quando Pietro parla e poi «cadde» lo Spirito Santo sui presenti approvando la sua apertura ai gentili, il suo coraggio di ammettere anche i gentili alla pari, nella Chiesa, con tutti i fratelli giudaizzanti.
Osservano molto bene gli specialisti degli Atti che quei capitoli, in cui è narrata in tutti i particolari la vicenda di Pietro che - dopo la visione del lenzuolo a loppe e dopo il battesimo di Cornelio - deve giustificarsi a Gerusalemme davanti ai giudeo-cristiani di quello che aveva fatto, proprio quei capitoli sono estremamente importanti: sono la cerniera tra la prima parte degli Atti in cui il perno è Pietro e la seconda parte, in cui entra in scena Paolo.
Luca, abilissimo, da discepolo di Paolo, indirettamente polemizza contro i giudaizzanti e vuol far capire che non è stato Paolo a portare questa novità, ma è stato Pietro, nella casa di Cornelio, che ha avuto questa rivelazione: lo Spirito Santo stesso ha preso possesso ormai definitivo di tutti i popoli: allora la Chiesa è nata universale, per questo dono dello Spirito Santo.
Nell’economia dell’incarnazione anche Gesù si chiama Paraclito. «Vi manderò un altro Paraclito», egli dice: Gesù era l’assistente a fianco degli Apostoli e quindi interveniva personalmente per tutti i loro bisogni. Egli promette però «un altro Paraclito», un altro assistente: all’economia dell’incarnazione succede ora l’economia dello Spirito Santo, non per antitesi ma per un compimento, da quando Cristo, ormai, è partito per il cielo.
Senza dubbio Gesù non ha abbandonato la Chiesa, è sempre vivo e presente in essa, ma agisce in un altro modo, su un altro piano, in parte servendosi di mezzi visibili, sacramentali, che prolungano la sua umanità, concreta, appartenente al nostro mondo e in parte attraverso il flusso misterioso, segreto dello Spirito Santo: la sua presenza e la sua azione, quindi, sono diverse, ma non meno reali ed efficaci.
ad agire in un altro modo Tertulliano ha scritto una frase mirabile, sempre sintetica e forte come è nel suo stile, ossia che Gesù, partendo, ha lasciato vicariam vim Spiritus sui, ha lasciato la vis vicaria, la forza che doveva agire al posto suo, svolgendo la missione stessa che egli aveva svolto fino allora in mezzo ai fratelli, nella sua Chiesa.Questa Chiesa di pentecoste, con la sua fisionomia autentica, dovrà essere sempre il punto di riferimento, il paradigma a cui la Chiesa dovrà rifarsi continuamente, ogni volta che vuole rinnovarsi in profondità oggi e sempre.
2. La Chiesa e lo spirito di unità
Vediamo ora più specificatamente che cosa fa lo Spirito Santo nella Chiesa. Sempre in modo molto sintetico, globale, panoramico.
soltanto conquista da parte nostra ma dono, al quale poi dobbiamo adeguarci anche con le nostre virtù e con il nostro sforzo, la nostra collaborazione personale.Lo stesso identico Spirito che era presente nel Cristo Capo (ricordiamo che la sua umanità era piena di Spirito Santo), si diffonde d’ora innanzi come dono pasquale in tutto il corpo della Chiesa: lo Spirito Santo diventa così precisamente l’anima della Chiesa, come dice la tradizione cristiana, il motore segreto, la molla che muove la Chiesa. Oppure sarà l’Io fondamentale, quello che sant’Agostino ha chiamato una mystica persona: un tema ricco e profondo.
La Chiesa è una “mistica persona” grazie a quest’unica presenza, invisibile e misteriosa ma reale, che unifica tutta la Chiesa: lo Spirito Santo. Un tema che un teologo recente, in un libro edito adesso anche in italiano, ha sviluppato ampiamente.
Del resto la Mystici corporis ha riassunto splendidamente la teologia tradizionale patristica quando ha detto che lo Spirito Santo è «totus in Capite, totus in Corpore, totus in singulis membris». Lo Spirito nella sua pienezza era in Cristo, adesso «totus» è presente nella Chiesa, «tutto» è presente anche in ogni singolo membro. E’ questo che fa «una la Chiesa, perché la sua anima profonda è questa presenza attiva dello Spirito Santo.
Dunque lo Spirito, adesso, dovrà animare e vivificare tutto all’interno della Chiesa. Unifica il singolo uomo sul piano personale e morale, in quanto in noi c’è una componente fisica e una spirituale e ci sentiamo attirati da tante passioni, da tanti interessi. Soltanto lo Spirito riesce a purificarci e a unificarci per farci vivere «secondo lo Spirito», direbbe Paolo, secondo cioè la vita nuova che viene da Dio.
E’ lo Spirito che purifica e ci unifica col dono dell’amore, ma lo Spirito opera anche l’unità sul piano sociale, ecclesiale unifica tutte le membra, col capo che è Cristo e le unifica nei corpo l’una all’altra, sulla linea orizzontale, per dire così. Lo Spirito che nella vita trinitaria è il «nexus amoris» o il «vinculum amoris» tra il Padre e il Figlio, crea anche nella Chiesa un vincolo profondo di ciascuno con il Capo-Cristo e anche tra noi. Ecco l’unità creata in profondità dallo Spirito Santo.
Nel dono di pentecoste vediamo come questo Spirito diventa efficacemente un dono di tutti, un bene di tutti, senza più distinzioni di razza, di sesso, di età, di condizione sociale.
Basta ricordare la profezia di Gioele, che Pietro cita nel giorno di pentecoste: «Sopra i miei servi e le mie serve, sopra i giovani e i vecchi...»: tutti profeteranno, tutti avranno questo dono della profezia dallo Spirito Santo presente. E’ interessante sottolineare che non c’è alcun riguardo al sesso e all’età (due volte si dice: «ancillas meais»: in riferimento alle donne). Quello che prima nell’A. Testamento, era un dono saltuario, di tanto in tanto, di alcuni privilegiati, diventa un bene comune permanente.
Questa verità, però, naturalmente, non toglie che lo Spirito Santo abbia anche un particolare dono, un carisma per i pastori della Chiesa, proprio con la funzione di servire all’unità. Tutti collaborano, tutti devono convergere verso questa unità profonda.
E questa unità, naturalmente, non è soltanto estrinseca, o poggiante su qualche elemento (potrebbe essere il diritto canonico, o la lingua latina come tanti pensavano ritenendo questi elementi quasi essenziali). Non sono i mezzi esterni soltanto a produrre l’unità, ma è questa anima interiore, questa carità questo vincolo di amore, frutto della presenza attiva dello Spirito.
E questa l’unità della Chiesa, in una profondità tale che diventa per noi misteriosa.
Il giorno di pentecoste lo Spirito Santo è sceso su tutti, prima sugli Apostoli, poi su tutto il corpo della Chiesa. Noi cattolici però affermiamo che lo Spirito Santo agisce anche mediante le istituzioni da lui volute: i pastori hanno ricevuto un triplice deposito - della fede, dei sacramenti, dell’autorità - proprio per un dono divino. Gli Atti degli Apostoli ricordano precisamente che accanto al dono comune, di tutta la Chiesa, c’è anche qualche dono e ruolo particolare: per esempio per l’elezione di Mattia, oppure in Atti 1,2 dove si dice che Gesù ha scelto gli Apostoli «per Spiritum Sanctum».
L’azione speciale diventa chiarissima al capo 13, quando lo Spirito Santo dice alla comunità cristiana: «Separatemi, mettetemi da parte Paolo e Barnaba per la missione che io darò loro»; oppure con Giacomo, al capo 6: un’altra volta lo Spirito Santo interviene per illuminare e dirimere una questione particolare. Chi non ricorda poi il discorso di Paolo agli anziani di Efeso, quando dice loro: «Lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a reggere la Chiesa di Dio» (20, 28)? C’è, dunque, un’azione, una presenza, un dono dello Spirito Santo a tutta la Chiesa, senza nessuna distinzione, ma c’è anche una presenza, un dono particolare per alcuni che hanno una funzione, un ministero da svolgere dentro la Chiesa. Toccherà precisamente all’azione segreta ma delicatissima dello Spirito Santo unificare, far servire all’unità tanto il principio dell’autorità quanto i carismi.
E’ vero che nel passato, nella teologia occidentale, i carismi sono stati un po’ dimenticati; tutta l’attenzione era rivolta all’aspetto istituzione, all’aspetto gerarchico: la storia invece dimostra che molti rinnovamenti spirituali della Chiesa sono avvenuti non per una iniziativa dall’alto, ma da un dono suscitato dal basso. Chi non ricorda san Francesco d’Assisi? Anche il movimento monastico è venuto dallo Spirito Santo che spira in tutto il corpo della Chiesa e la rinnova, quando crede opportuno. E’ avvenuto diverse volte questo fenomeno nella storia.
Paolo, però, che è il grande teologo dei carismi, sa anche relativizzarli: di fronte alla carità, per esempio, che è il dono supremo, dice: «Cercate il dono più alto che è la carità» fra le virtù teologali o altre manifestazioni straordinarie (1 Cor 12,31). E sa anche subordinarli al principio dell’autorità apostolica: difatti proprio nella Chiesa di Corinto interviene per regolare il buon uso di questi carismi.
Non è vero, dunque, che la Chiesa, come sembra da un recente libro di Hans Küng, nella comunità di Corinto appaia soltanto carismatica, in quanto Paolo, proprio in quella Chiesa interviene per regolare lo svolgimento della vita carismatica e perciò fa appello alla sua autorità apostolica. La Chiesa ha dunque il compito di vigilare, di esaminare.
Naturalmente Paolo dice anche che non bisogna estinguere il dono dello Spirito, ma saper discernere, accettare tutto quello che di buono spira nel corpo della Chiesa... E proprio perché tanto l’autorità della Chiesa quanto i carismi derivano da uno stesso Spirito, è impossibile, per sé, sul piano obiettivo, un conflitto tra loro; quindi una ribellione, una rottura, la nascita di una setta non sono carismi autentici, non si può dire che ne abbiano la vera fisionomia.
Unità, però, non vuol sempre dire uniformità ed alle volte - anche questo appartiene alla storia della Chiesa - ci sono delle tensioni feconde che aiutano il cammino, l’approfondimento di certe verità nella Chiesa, naturalmente sempre nella carità e nel dialogo. Così possiamo trovare il punto di equilibrio, ma è lo Spirito Santo con la sua presenza che deve salvaguardare l’unità e la più ricca varietà nella vita della Chiesa.
Aggiungiamo tuttavia che la Chiesa non ha mai il monopolio dello Spirito Santo in modo da usarne come vuole, né si identifica totalmente con lo Spirito Santo, perché la Chiesa è fatta anche di uomini e peccatori. Lo Spirito spira sempre dove vuole e sappiamo - anche per una affermazione esplicita del Vaticano II nel decreto sull’ecumenismo, n. 3 - che agisce anche al di là dei confini istituzionali e quindi è presente un’azione, un dono dello Spirito Santo anche presso i nostri fratelli non cattolici, perché lo Spirito Santo conserva sempre la sua libertà sovrana di agire dove vuole. Naturalmente se lo Spirito Santo agisce anche nelle comunità separate, è proprio per stimolarle e stimolarci tutti verso l’unità.
3. La Chiesa e lo spirito di verità
Vediamo ora un altro aspetto: la presenza dello Spirito Santo nell’ambito della verità.
Lo stesso Spirito, che scruta le profondità di Dio, come dice Paolo (1 Cor 2,10) quello che «ha parlato per mezzo dei profeti», si è servito di loro come strumenti (non tanto meccanicamente, ma rispettando il loro stile, la loro personalità), quello Spirito che riempiva l’umanità del Verbo incarnato, è presente anche oggi nella Chiesa, che deve proclamare questo messaggio al mondo, deve portare a tutti la parola di Dio, deve illustrarla, interpretarla.
Certo, è il Verbo la parola totale e definitiva inviata al mondo, ma lo Spirito è dato proprio perché questo dono della parola continui ad agire e lo Spirito Santo agisce tanto in chi predica e propone autorevolmente la parola da parte di Dio, col magistero ufficiale della Chiesa, se volete, quanto in chi ascolta. Anzi, sarebbe inutile che la Chiesa predicasse, portasse questo messaggio, se lo Spirito non agisse nel cuore di quelli che devono accogliere questo messaggio di fede: è lo Spirito che genera la fede nel cuore e quindi lo apre ad accogliere la parola di Dio.
La Dei verbum al n. 12 ha detto molto bene, ispirandosi ai Padri: «Bisogna leggere ed ascoltare la Scrittura con lo stesso Spirito, o sotto l’influsso dello stesso Spirito che ha ispirato la prima volta gli autori sacri». Se non è lui che apre il cuore, che tocca l’intimo dell’anima perché penetri la parola, il seme del Verbum Dei, e perché sia fecondo nell’anima, è inutile la predicazione esterna. Ecco quindi l’azione dello Spirito nella Chiesa dalla parte di chi predica e dalla parte di chi ascolta.
E’ compito speciale dello Spirito Santo inoltre attualizzare la parola di Dio, perché non rimanga un passato ma una forza attiva e presente. Tocca allo stesso Spirito personalizzare quella parola e ciò avviene quando il cristiano si trova sotto l’impressione netta e profonda che questa parola è rivolta a lui personalmente, in quel momento. Così pure lo Spirito Santo aiuta a interiorizzarla, cioè a farne alimento della propria vita, qualche cosa che continua a risuonare, a penetrare dentro, altrimenti «invano - direbbe sant’Agostino - risuona fuori il Verbum”.
La Scrittura presenta il nostro atteggiamento di fronte al messaggio con termini assai significativi, che sarebbero da meditare uno per uno: è un invito, un’offerta, una proposta, una attrazione, una rivelazione interiore, un’unzione dello Spirito. Siamo ben lontani da una trasmissione scolastica di nozioni, quando invece si tratta di una azione molto più intima, profonda e segreta.
Lo Spirito Santo con la grazia «preveniente» agisce nel momento in cui il cuore deve aprirsi al senso della fede, egli produce una mozione interiore all’anima perché aderisca alla verità, inevidente per se stessa, e quindi anche nell’oscurità sappia aderire alla parola di Dio, sull’autorità di Dio che parla. Lo Spirito Santo aiuta anche la crescita, la penetrazione, l’assimilazione interiore e così agisce anche perché ci sia una comprensione e applicazione sempre nuova delle verità eterne lungo tutto il cammino della Chiesa. Vedi le applicazioni concrete del Vangelo di oggi per esempio nel campo sociale.
E’ stato definito molto bene e in base agli stessi testi scritturistici: lo Spirito Santo è una memoria vivente che richiama nella Chiesa le verità che Gesù ha portato, la parola di Dio. Di fatto Gesù ha detto: «suggeret vobis omnia» (Gv 14,26), egli vi richiamerà alla mente quello che vi ho detto, vi annunzierà il futuro e vi farà penetrare dentro la verità. Così egli assisterà il magistero della Chiesa, perché, in certi momenti più solenni non erri, perché custodisca ed interpreti autorevolmente il deposito della rivelazione: «visum est Spiritui Sancto et nobis» (At 15,28) - è la definizione del concilio di Gerusalemme -. Analogamente egli agisce anche nel sensus fidei del popolo cristiano, diffuso in tutto il corpo della Chiesa, per uno sviluppo omogeneo della verità, che deve essere sempre fedele al dato, cioè a ciò che Dio ha consegnato una volta per sempre alla Chiesa.
Ma, mentre è fedele al dato, è anche sempre aperto a una crescita indefinita perché non finiremo mai di penetrare questa verità meravigliosa. Tutto questo intrecciarsi invisibile della causa divina con l’apporto dell’intelligenza umana, aiuta la Chiesa a scoprire sempre nuovi aspetti della verità.
E’ precisamente dono dello Spirito l’equilibrio dove si risolve una antinomia apparente: non l’atteggiamento di coloro che oggi si chiamerebbero i conservatori, i fissisti, i quali ritengono che tutto è stato risolto una volta per sempre, tutto è chiarito e penetrato; ma neanche l’altro atteggiamento antitetico dove tutto è sempre da rifare col relativismo che attende dal progresso storico nuove verità sconosciute. Si tratta invece di conciliare la fedeltà completa, profonda al dato rivelato con la novità imprevedibile della luce divina che si proietta sulle cose umane, e su tutto il cammino della storia. Qui possono affiorare aspetti nuovi della verità che prima sfuggivano: lo Spirito è sempre nuovo e rinnovatore.
4. La Chiesa e lo spirito di santità
Un quarto aspetto: lo Spirito Santo che è santità e amore all’interno della vita trinitaria, deve agire anche sotto questo aspetto nella Chiesa, anzi dipende da lui il fiorire della santità della Chiesa. E’ evidente che qui la santità non è soltanto una santità morale, di virtù, conquista da parte nostra, è una santità ontologica in quanto partecipazione alla vita divina, comunione con Dio, dal momento che Dio ha preso possesso di quest’anima o di questo popolo.
«Eritis mihi populus peculiaris. (cf. Dt 7,6), cioè che io ho messo da parte per santificarvi in particolare. Lo Spirito Santo così sarà presente in ogni santificazione ed in ogni consacrazione. Quando Dio comunica qualche cosa della sua vita divina, della sua santità, ecco che troviamo presente lo Spirito, anche se la nostra teologia scolastica occidentale non ne ha tenuto conto abbastanza. E’ impossibile, per esempio, dal punto di vista della teologia orientale, spiegare la grazia sacramentale di tutti i sacramenti senza un riferimento immediato allo Spirito Santo.
Si potrebbe illustrare questa verità cominciando dal battesimo. Giovanni Battista ha parlato del battesimo «in acqua e Spirito Santo» (cf, Gv 1,33) e nel Giordano scende su Gesù proprio lo Spirito Santo. Nella liturgia del sabato santo diciamo splendidamente: «Discenda nella pienezza su questa fonte la virtus dello Spirito Santo»: dipende da qui la forza rigeneratrice e santificatrice del battesimo. E lui il creatore, lui il rinnovatore. E come nel battesimo tanto più nella cresima che è il tema illustrato da altri.
Il sacramento della penitenza: lo cito subito perché è un prolungamento del battesimo. Anche qui la presenza dello Spirito Santo è presenza necessaria. Ricordiamo che proprio la sera di pasqua Gesù ha detto: «Ricevete lo Spirito Santo; a quelli a cui rimetterete i peccati saranno rimessi» (Gv 20,22-23): ecco lo Spirito per rimettere i peccati, e in positivo farci partecipi della santità divina. E un’orazione pasquale alla fine dice esplicitamente: «Quia ipse est remissio omnium peccatorum”.
I nostri fratelli orientali hanno vivissimo il senso, proprio nella prassi penitenziale, di questa presenza dello Spirito a tal punto che certe volte - e qui forse noi latini non saremmo d’accordo ma bisognerebbe fare un discorso molto più a fondo sulla loro teologia - attribuirono il potere di rimettere i peccati anche a «dei pneumatici o carismatici», per la grazia dello Spirito che riempiva la loro vita anche senza essere sacerdoti.
E’ ovvio il discorso anche per l’eucaristia. Dopo le nuove anafore, tutti sappiamo, per grazia di Dio, come è tornata esplicita la invocazione (epiclesi) dello Spirito Santo prima di consacrare i doni e dopo la consacrazione dei doni, sui presenti che devono partecipare ai frutti dell’eucaristia.
Si può affermare altrettanto a proposito dei sacramenti sociali, per esempio il sacramento dell’ordine. Avviene sempre con l’imposizione delle mani e l’invocazione: «Emitte.Spiritum tuum». Il concilio di Trento ha definito che se qualcuno affermerà che inutilmente, o a vuoto, il vescovo dice: «Ricevi lo Spirito Santo, sia anatema», cioè sia scomunicato. Il sacramento dell’ordine è dunque legato all’azione profonda dello Spirito Santo.
Vale anche per il matrimonio. Se il matrimonio è un vincolo d’amore soprannaturale che lega due battezzati per la vita e per la morte, non ci può essere un nuovo legame d’amore che stringe due battezzati se non viene dallo Spirito Santo che è il nesso, il vincolo profondo anche tra le persone della Trinità.
Tutti i sacramenti dunque hanno questa presenza attiva dello Spirito Santo che nella Chiesa ci rende partecipi della vita divina attraverso questi canali, come è lui che unifica la nostra preghiera con quella del Figlio. La vera preghiera cristiana, nel suo carattere specifico, è una preghiera filiale, in quanto «tutti quanti siamo figli nell’unico Figlio». Perciò è lo Spirito che grida nel nostro cuore: «Abba, Padre» (cf. Gai 4,6).
Noi non sappiamo come pregare, dice Paolo (cf. Rm 8,26), è lo Spirito Santo che prega in noi, profondamente. Quindi è proprio lo Spirito che fa della nostra preghiera una sola preghiera con quella di Cristo, il Figlio che è infallibilmente ascoltato dal Padre. Così pure è lo Spirito Santo che fa della nostra offerta all’altare una sola offerta con quella di Cristo; è lo Spirito Santo che fa del sacrificio della nostra vita un solo sacrificio con quello di Cristo. E’ lui che unifica sempre le membra al Capo, in ogni momento della loro vita, specialmente nel momento della preghiera. Tutta la vita quindi diventa una liturgia, un’offerta continua a Dio, fino direi alle vette mistiche più alte.
C’è un volume delle rivelazioni di santa Maria Maddalena de’ Pazzi ricevute proprio nella settimana di pentecoste. Partendo dai testi liturgici, dallo Spirito Santo, si eleva su su fino alla contemplazione meravigliosa dell’intervento dello Spirito che nell’anima produce quest’intima unione con Dio, questa preghiera più elevata, più pura.
5. La Chiesa e lo spirito dl libertà
Un ultimo elemento. La Chiesa ha ricevuto lo Spirito Santo anche in quanto Spirito di libertà.
Nell’ambiente dove viveva Cristo tutta la salvezza si faceva consistere nella rigida osservanza della legge mosaica. La fedeltà alla legge era come la mediazione salvifica per gli ebrei, mentre nella nuova economia si è salvi per la fede in Cristo che ci dona il suo Spirito e ci restituisce, come direbbe san Paolo, alla libertà dei figli di Dio (cf. Gal 4,31).
La redenzione presentata in termini di liberazione, che oggi desta tanto interesse se è bene intesa, è profonda e Paolo ha affermato: « Ubi Spiritus, ibi libertas»: «dove c’è lo Spirito Santo, lì c’è la libertà» (2 Cor 3,17).
È precisamente lo Spirito che ci svela la vera anima della morale cristiana, per essere come il Cristo. Egli ci assimila a Cristo Gesù, interiormente, profondamente, dal di dentro. E quindi la morale cristiana viene illuminata da una nuova realtà. Noi, sì, osserviamo la legge, ma per piacere al Cristo, per essere simili a lui, per essere trasformati in lui.
Anzi, prima c’è una conformazione ontologica operata dallo Spirito Santo mediante i sacramenti e, in un secondo momento, la nostra vita cristiana diventa una risposta, un adeguarci, uno sforzarci di metterci alla pari col dono di Dio. Questo è il senso della morale cristiana vera e propria, e perciò Paolo presenta le virtù cristiane come frutti dello Spirito Santo, in uno splendido elenco che meriterebbe di essere meditato punto per punto: la carità, la gioia, la pace, la pazienza, ecc. (Gal 4,22-25).
La morale quindi, nell’economia cristiana, rimane, ma non più come riferimento a un codice estrinseco soltanto, bensì in dipendenza dall’azione intima dello Spirito che dal di dentro mi assimila sempre più a Cristo capo: mi libera dal mio io, e mi rende vero membro di Cristo, mi conforma a lui che si è fatto obbediente fino alla morte di croce, facendomi santo non per un formalismo legalistico ma per un processo di assimilazione e di amore, di amore alla volontà del Padre e dei fratelli.
Possiamo costatare veramente la liberazione dell’uomo quando egli scopre in sé questo principio nuovo dell’amore, come il Cristo che si è fatto obbediente fino alla morte ma per amore. Quindi la molla più profonda che ispira, unifica e dà valore a tutta la morale cristiana è precisamente la carità «diffusa nei nostri cuori dallo Spirito Santo», come dice Paolo (cf. Rm 5,5).
E ricordiamo tutti, nella 1 Lettera ai Corinti c. 13, il famoso inno alla carità, dove Paolo insiste con un triplice niente: anche se facessi le opere più mirabili, e trasportassi le montagne, sono niente; e se dessi il mio corpo per sacrificarlo nel martirio, ma non avessi la carità, sono niente. Tutto è niente senza l’amore.
La morale non vale, l’osservanza della legge e la condotta esterna non valgono niente se non sono basate sull’amore. E’ invece l’amore che dà valore a tutto. E tutto passa, aggiunge Paolo, anche i carismi: rimane soltanto la carità.
Ecco l’anima profonda, la molla vera e autentica della morale cristiana quando lo Spirito Santo entra in un’anima e crea in lei un atteggiamento interiore, libero, puro, santo come quello del Cristo. Allora può veramente valere l’assioma di sant’Agostino: «Ama, e poi fa’ quello che vuoi».
E sant’Agostino ha pure detto: « Ubi amatur non laboratur, aut ipse labor amatur»: dove si ama non si sente più la fatica, oppure si ama la stessa fatica. Se, quindi, ci lamentiamo che la morale cristiana è troppo pesante, è un giogo troppo duro, vuol dire che non abbiamo scoperto questa molla, non siamo ancora entrati in questa anima profonda della morale e della vita cristiana.
Eppure Gesù ci aveva avvisati molto bene quando ci aveva insegnato a essere fedeli, a compiere sempre la volontà del Padre, aggiungendo però una premessa: «Se uno mi ama, osserva i miei comandamenti; Se mi amerete, osserverete i miei comandamenti» (cf. Gv 14,23-24).
La morale cristiana è possibile e diventa un fatto gioioso quando è viva questa premessa dell’amore. Molte volte invece noi abbiamo presentato la morale cristiana non bene illuminata dal principio interiore che la anima tutta, e quindi è parsa tanto pesante. Certe critiche moderne dimenticano questi principi fondamentali: che la morale evangelica è possibile e diventa perfino un fatto gioioso, quando si è capito il vero punto di partenza, che il cristiano è tale soltanto in quanto possiede lo Spirito Santo, Spirito di amore.
Concludo dicendo che la Chiesa, se vuole rinnovarsi anche oggi, deve diventare una «comunità dell’epiclesi», comunità, cioè, della perenne invocazione, dell’attesa, della implorazione continua allo Spirito Santo. Per una crescita incessante fino alla sua consumazione escatologica essa avrà sempre bisogno di questa presenza e di questa azione segreta dello Spirito.