Formazione Religiosa

Sabato, 11 Agosto 2007 01:15

Lezione Undicesima. Il legame storico-salvifico tra il culto ebraico e la liturgia cristiana

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Lezione Undicesima

IL LEGAME STORICO-SALVIFICO
TRA IL CULTO EBRAICO E LA LITURGIA CRISTIANA

 


Introduzione

1. I riti del culto ebraico, stabiliti nell’A.T., avevano nell’intenzione di Dio che li aveva ordinati, il preciso scopo di operare la salvezza. Nella nuova alleanza i riti sacramentali sono segni dotati di una triplice dimensione: hanno un valore dimostrativo di una realtà spirituale presente, un valore rimemorativo di una realtà passata, ed un valore preannunciativo di una realtà futura. S. Tommaso applica a tutti i segni rituali dell’antica alleanza questo principio dei sacramenti cristiani.

 

Nella Summa Theologica (I-II, q.102, art. 2-6) affronta il significato teologico del culto dell’antica legge. Il principio di Tommaso è riassunto in queste parole:

«Il fine dei precetti cerimoniali è doppio:
erano infatti ordinati al culto di Dio, per quel tempo,
ed a figurare Dio…».

Dunque le ragioni dei precetti cerimoniali dell’antica legge si ricavano da una doppia considerazione:

– la prima, dal motivo del culto divino che si doveva allora osservare. Questo genere di ragioni l’indica la lettera stessa della Scrittura, e sono dirette sia ad evitare il culto idolatrico, sia a ricordare alcuni benefici di Dio, sia ad inculcare l’eccellenza divina o anche ad esprimere la disposizione della mente che allora si richiedeva nei cultori di Dio;

– la seconda considerazione atta a indicare le ragioni delle leggi cerimoniali è che sono ordinate a figurare Cristo. Così, queste ragioni sono figurali e mistiche, sia rispetto a Cristo stesso e alla Chiesa, ciò che spetta all’allegoria; sia rispetto ai costumi del popolo cristiano, ciò che spetta al significato morale, sia rispetto allo stato di futura gloria, in quanto vi siamo introdotti per Cristo, ciò che spetta al significato anagogico.

Per S. Tommaso i riti ebraici avevano un significato salvifico rispetto ad una realtà presente (culto di Dio), ad una realtà passata (i benefici di Dio commemorati nella celebrazione), ad una realtà futura (Cristo e la Chiesa, i costumi morali del popolo cristiano, la gloria finale). Nell’art. 5 della q. 102 si afferma la validità del culto ebraico, perché: «tutti i sacramenti dell’antica legge avevano delle radici fondate sulla lettera della Scrittura, in quanto erano ordinati al culto di Dio per quel tempo, e ragioni figurative, in quanto erano ordinati a prefigurare Cristo».

2. Il Magistero ecclesiastico, anche quando ha voluto affermare l’assoluta novità dei sacramenti istituiti da Cristo e la loro cessazione con l’economia salvifica del N.T., non ha ignorato i «legalia veteris Testamenti, seu Mosaicae legis, quae dividuntur in caerimonias, sacra sacrificia, sacramenta» (Conc. Florent., Decretum pro Iacobitis, Denzinger-Schönmetzer, 1348). Nel Decretum pro Armenis – 1439 – (Ibid., 1310), e nel Concilio Tridentino, sess. VII: de Sacramentis (Ibid., 1602) si afferma la sostanziale differenza tra i «novae legis sacramenta» e i «sacramenta antiquae legis».

La continuità è anche affermata. Il Conc. Trid., sessio XXIII, a proposito del sacramento dell’ordine afferma:

«Il sacrificio e il sacerdozio, per comando di Dio sono talmente uniti che sono esistiti sotto l’antica e la nuova legge. Nel nuovo sacerdozio… è stato trasferito l’antico» (Denz.-Sch., 1764).

Innocenzo III afferma che il battesimo è succeduto alla circoncisione, e che questo «circoncisionis mysterium» rimetteva la colpa oroginale ed evitava il pericolo di perdizione (Lettera «Maiores Ecclesiae causas», del 1201; Denz.-Sch., 780).

3. All’economia salvifica sacramentale va applicata la legge dell’unità intima e organica dei due Testamenti e di tutta la storia sacra, che ha in Cristo il suo centro.

In tutta la Bibbia abita un solo mistero, e questo mistero illumina anche le ombre e le figure dell’A.T.: «Tutta la Scrittura, per il Cristo, è trasfigurata» (Origene, in Rom., 6,7). I segni dell’A.T. sono proclamazione di una promessa che si compie in pienezza nel Cristo.

1. Gli elementi di continuità storico-salvifica

a) Riferimento a Cristo

I riti sacramentali hanno efficacia in virtù del loro rapporto con la salvezza operata da Cristo nella pienezza dei tempi. Ciò che cambia è il rapporto temporale con il Salvatore: c’è un tempo che lo precede, uno che lo accompagna, uno che lo segue; ma un solo Salvatore.

«Non vi è che una sola Alleanza, ed è colui che, portatore della salvezza fin dal principio del mondo, è venuto a noi, tenendo presente che egli è diverso nei suoi doni, secondo la diversità dei tempi… È infatti naturale che vi sia un solo dono irrevocabile della salvezza da parte di un solo Dio, per mezzo di un solo mediatore» (Clemente Aless., Stromata, 6,13).

Il mistero di Cristo è al centro del tempo: il disegno divino di redenzione in Cristo appartiene alle generazioni di tutti i secoli:

«Il sacramento della salvezza umana non ha mai cessato di esistere e di agire, quale che sia la sua antichità. Dio ha posto un’unica ed identica fonte di salvezza fin dalla creazione del mondo e questo suo grande sacramento del suo amore fu talmente valido, anche nei suoi segni simbolici, che agì su coloro che lo credettero quando era promesso, non meno di quel che agì in coloro che lo accolsero quando fu realmente donato» (Leone Magno, Sermo, 23,3-4).

Perciò, Cristo è il Sacramento primordiale, il segno dell’azione salvifica di Dio, il segno del suo amore universale.

b) La fede

Da parte di Dio c’è stato un unico piano di salvezza, che si è svolto in vari periodi. Da parte dell’uomo c’è stato un unico modo di approccio della salvezza; la fede.

Agostino, in De peccatorum meritis et remissione (2,29,47 – PL 44,169 –) lo esprime mirabilmente:

«Prima della sua nascita nella carne, della debolezza della sua passione e della potenza della sua resurrezione, coloro che vivevano in quel tempo erano da Cristo formati con la fede in quegli stessi avvenimenti che erano futuri. Coloro, invece che avevano sott’occhio l’avverarsi delle cose e vedevano il compimento di quel che era stato predetto, erano da Cristo formati con la fede degli stessi avvenimenti resi presenti; e con la fede degli stessi avvenimenti oramai passati, Cristo non cessa di formare quelli che vennero dopo i fatti, noi e quelli che verranno dopo di noi. Unica è dunque la fede che salva tutti…, ma, con il mutare dei tempi sono mutati i sacramenti di questa unica fede per rendere più adeguato il modo di significarla».

La fede degli antenati, secondo Eb. 11, è stata possesso anticipato e conoscenza certa delle realtà salvifiche che si sono compiute in Cristo.

c) Una sola comunità

I riti sacramentali sono stati celebrati da Israele in quanto popolo di Dio. In Israele era adombrata la Chiesa. Agostino spinge l’affermazione dell’unità del popolo eletto fino a vedere nei giusti di tutti i tempi i membri del popolo cristiano:

«Nessuno pensi che prima che esistesse il popolo cristiano, Dio non avesse un popolo, anzi, per parlare con maggior proprietà, anche il popolo di allora era popolo cristiano» (Sermo 300, PL 38, 1377).

«Cristo è nostro capo e noi siamo membra del suo corpo. Lo siamo solo noi o lo furono anche quelli che esistettero prima di noi? Tutti coloro che, dal principio del mondo furono giusti, hanno Cristo per capo. Essi credettero in lui venturo e cioè nello stesso modo che noi crediamo già venuto, e furono salvati nella stessa fede nella quale siamo salvati noi» (In Ps., 35,3-4; PL 36, 385).

d) Il tempo sacro

È da notare anzitutto una differenza tra la concezione del tempo che sta dietro il culto pagano e la realtà del tempo nella liturgia ebraica e cristiana.

I miti che presentavano il contenuto della fede pagana non si riferivano ad eventi interni alla storia, ma erano piuttosto situati nel tempo, all’inizio di tutte le cose. Il rituale cosmogenico cerca di sfuggire all’influsso del passato ed opera la rigenerazione del tempo tramite la ripetizione della cosmogonia. Il ritorno regolare di queste feste segna una “morte” e una “rinascita” del tempo stesso. Presso i pagani (greci, romani,…) si aveva una visione ciclica del tempo.

Per la tradizione biblica, invece, la storia in se stessa è il luogo dell’azione di Dio. Il tempo della visione biblica è definito dal suo inizio (creazione) e dalla sua fine (parusia): tra i due poli si stende una linea che è il luogo dell’attività salvifica di Dio. I cieli ai quali l’ebraismo lega la celebrazione degli eventi salvifici che vanno dalla creazione alla parusia, non sono unità chiuse che si ripetano identiche, ma sono tappe dinamiche del tempo lineare in cui si articola la celebrazione degli eventi storici di salvezza.

Il tempo biblico nelle celebrazioni cultuali si dispiega piuttosto a forma di spirale: in esso nessun evento è ripetuto semplicemente, ma riattualizzato in prospettiva di compimento verso l’éschaton.

1. Ciclo settimanale – Uno dei più grandi doni che l’ebraismo ha fatto all’umanità è il ciclo dei sei giorni lavorativi, interrotti da uno di riposo (Shabbat). La sua pratica appare negli strati più antichi della legge (Es. 20,8; 23,12; 34,21).

Il codice dell’alleanza sottolinea il carattere umanitario di questo ritmo ebdomadario, che permetteva agli schiavi di riprendere fiato (Es. 23,12). La tradizione sacerdotale gli conferisce un altro senso. Con il suo lavoro l’uomo imita la creazione di Dio, con il riposo imita il riposo di Dio (Es. 31,13; Gn. 2,2s).

Dio ha dato il riposo ad Israele come un segno, affinché sappia che Dio lo santifica (Ez. 20,12).

Il cuore della settimana è il sabato. Esso comincia al venerdì sera al sorgere della prima stella, e dura fino alla sera successiva. Questa computo del “giorno” è anche della Chiesa. La liturgia festiva, infatti, inizia con i primi vespri (accensione della lucerna).

È noto che nella Chiesa antica, da molti si osservava il sabato. Nelle chiese orientali vi si teneva l’assemblea liturgica. Secondo le Costituzioni apostoliche VII, 23,3,4, il sabato era giorno festivo come la domencia. Il primo era considerato commemorazione della creazione, il secondo della resurrezione (pasqua ebdomadaria). Solo in seguito la domenica soppiantò il sabato, come giorno consacrato.

Nella liturgia cristiana i giorni della settimana (eccetto la domenica) vengono ancora chiamati con i nomi ebraici:

- lunedì = secondo dopo il sabato;

- martedì = terzo dopo il sabato, e così via.

Nella sinagoga, come nella Chiesa, il giorno festivo settimanale è particolarmente consacrato al culto, alla lode e alla lettura della Parola di Dio.

2. Ciclo annuale – L’anno liturgico della Chiesa riflette i due grandi cicli dell’anno ebraico: il ciclo autunnale del mese di tishri, corrisponde a l’avvento, e il ciclo primaverile di nisan a quello pasquale. Gli studiosi hanno notato un complesso di elementi comuni anche tra le rispettive feste che questi due cicli comportano. Le festività primaverili ebraiche si articolavano in due solennità: Pasqua e Pentecoste. La Pasqua è la festa della liberazione dall’Egitto; la Pentecoste commemora il dono della Legge al Sinai.

Per i cristiani le due feste derivano direttamente dall’uso del tempo di Cristo e degli Apostoli, con l’approfondimento e il complemento proprio della salvezza realizzata da Gesù nel mistero della sua morte e resurrezione, il dono dello Spirito e della nuova Legge ai battezzati.

N. Füglister ha messo in luce la profonda affinità e la continuità tra la Pasqua ebraica e quella cristiana. Come la Pasqua-esodo d’Israele è garantita da un sacrificio da cui dipende la liberazione e l’alleanza, così, il sacrificio pasquale dell’Ultima Cena opera la liberazione e il riscatto definitivo nell’alleanza nuova ed eterna, nel suo sangue (in Il valore salvifico della Pasqua, pp. 327-328).

J. Dupont ha rilevato le analogie tra la teofania del Sinai e la teofania della Pentecoste cristiana (La prima pentecoste cristiana, in Studi sugli Atti degli Apostoli, I, Roma, pp. 823-860).

3. Le preghiere paradigmatiche – La stessa struttura delle preghiere all’interno dei riti rivela delle somiglianze di forma, che sono indice di dipendenza del culto cristiano da quello ebraico. Esse assumono la forma di benedizione (berakah), e si appoggiano ai fatti storici degli interventi salvifici di Dio.

Un esempio chiaro si ha confrontando il banchetto pasquale ebraico e le anafore cristiane:

Banchetto pasquale ebraico

1. Lode a Dio per la creazione, per l’elezione del suo popolo al tempo di Abramo.

2. Lode a Dio per la redenzione d’Israele per mezzo di Mosé.

3. Riattualizzazione della salvezza d’Israele nei partecipanti.

3. Attesa della venuta del Messia.

5. Salmi di lode.

Anafore

1. Lode a Dio per la creazione del mondo.

2. Lode a Dio per la redenzione dell’umanità per mezzo di Cristo.

3. Riattualizzazione della salvezza nell’Eucarestia.

4. Attesa del ritorno di Cristo.

5. Dossologia finale.

Queste analogie non sono casuali, ma derivano dall’innesto storico dell’Eu­carestia cristiana nella cena pasquale ebraica.

La stessa struttura della liturgia della Parola, che forma la prima parte della messa, deriva dal culto sinagogale al quale i cristiani hanno partecipato per varie generazioni. Esso è giunto per via diretta nel culto dei “giudeo-cristiani”.

Il martire Giustino, nella I Apologia, nella descrizione della parte introduttiva della Messa, fornisce elementi che ci permettono di stabilire un parallelo:

Culto sinagogale

1. Professione di fede.

2. Preghiera delle “diciotto benedizioni”.

3. Salmi.

4. Letture (Legge e Profeti).

5. Sermone.

6. Benedizione sacerdotale.

7. Colletta per i poveri.

Liturgia della Parola

1. (In seguito verrà introdotto dopo le letture).

2. Preghiera di intercessione.

3. Salmi.

4. Letture (Legge, Profeti, Vangelo).

5. Sermone.

6. …

7. Colletta per i poveri.


4. La Parola di Dio
– Altro elemento fondamentale comune all’ebraismo e al cristianesimo è la proclamazione della Parola durante la liturgia. Essa ha valore attualizzante della storia della salvezza che vi si enuncia. Oggi gli studiosi sono in grado di stabilire anche come esistano delle coincidenze nella stessa scelta delle pericopi per le varie feste (S. Cavalletti, Ebraismo e spiritualità cristiana, Roma, p. 119ss; Ph. Rouillard, La lecture de l’Écriture dans la Liturgie juive et dans les traditions occidentales, 4, pp. 37-74; S. Sandmel, La Scrittura nell’Ebraismo, in «Concilium», 11[1975], pp. 223-232).

2. L’Antico Testamento nel culto della Chiesa

La convinzione che la Storia della salvezza sia unitariamente concepita dal culto cristiano, emerge dal fatto che l’A.T. è organicamente integrato in esso e ne costituisce parte sostanziale.

1. La liturgia

L’elemento più vistoso è costituito dalla lettura dell’A.T. nella liturgia. La riforma liturgica promossa dal Concilio Ecumenico Vaticano II e attuata in seguito ha dato spazio più ampio alla lettura dell’A.T., con scelte più varie e meglio selezionate.

Complessivamente nel corso del ciclo biennale della liturgia delle ore si legge il 38,6% dell’A.T. La liturgia eucaristica completa il ciclo dell’Ufficio Divino con una lettura domenicale sempre collegata al tema del Vangelo e con cicli propri dei tempi forti e dei tempi “per annum”.

La concordanza tematica fra l’A.T. e il Vangelo è stata voluta per porre «sul debito rilievo l’unità dei due Testamenti e della storia della salvezza, incentrata in Cristo e nel suo mistero pasquale» (Premessa al Lezionario domenicale e festivo, 3b).

2. I Salmi

Altro elemento quantitativamente portante della preghiera della Chiesa sono i Salmi, che costituiscono la struttura portante della Liturgia delle Ore.

La Chiesa non ha mai trovato strano formulare a Dio la sua preghiera con il «libretto dei canti» del Tempio di Gerusalemme. «Per la loro stessa origine essi hanno una capacità tale da elevare la mente degli uomini a Dio. Da suscitare in essi i più santi affetti, da aiutarli mirabilmente a rendere grazie a Dio nelle circostanze prospere, da recare consolazione e fermezza d’animo nelle avversità.

Lo Spirito Santo, sotto la cui ispirazione i salmisti hanno cantato, assiste sempre con la sua grazia coloro che eseguono tali inni con fede e buona volontà» (Principi e norme della liturgia delle Ore, n. 100 e 102).

3. Altri elementi di preghiera

Assieme a questi si possono elencare moltissimi altri elementi che vengono a formare un’intima e profonda unità con il cristianesimo che prega. Si pensi al saluto: Il Signore sia con voi (Rut. 2,4), all’Alleluja, all’Amen, al Sanctus (Is. 6,3).

Nel rito della commendatio animae gli eventi salvifici dell’A.T. sono evocati come garanzia di salvezza del credente.

« - Accogli, o Signore, il tuo servo (la tua serva) nella dimora della salvezza che egli (essa) spera dalla tua misericordia:

- Libera, o Signore, l’anima del tuo servo (…) come liberasti Enoc ed Elia dalla comune sorte dei mortali;

- come liberasti Noè dal diluvio;

- come liberasti Abramo dalla città di Ur in Caldea; Giobbe dalle sue afflizioni; Isacco dall’immolazione per mano di suo padre Abramo; Lot da Sodoma e dal fuoco divoratore;

- come liberasti Mosè dalla mano del Faraone, re d’Egitto;

- come liberasti Daniele dalla fossa dei leoni; i tre giovani dalla fornace ardente, dalla mano del re iniquo;

- come liberasti Susanna dai suoi calunniatori;

- come liberasti Davide dalla mano del re Saul e dalla mano di Golia;

- come liberasti Pietro e Paolo dal carcere.

- E come liberasti santa Tecla, tua vergine e martire, da tre atroci supplizi, così degnati di liberare l’anima di questo tuo servo (serva), e rendila compartecipe con te dei beni celesti».


Conclusione

Paolo (Rom 11,24) parla dei cristiani, in particolare dei convertiti dal paganesimo, come dell’ulivo “selvatico” innestato su quello “genuino” (Israele). La prassi liturgica della Chiesa, manifesta nel modo, forse, il più chiaro, la fecondità vitale che è passata e che passa tra il culto d’Israele e la liturgia della Chiesa.

Dalla creazione all’eschaton c’è un solo piano di salvezza, che ha il suo perno in Cristo. Le forme del culto hanno espresso, nei vari momenti dell’economia della salvezza, l’esperienza che il credente, quando prega, fa di Dio e, soprattutto, l’irrompere continuo di Dio nell’”oggi” dell’uomo.


Bibliografia

S. Cavalletti, Liturgie juive – Liturgie chrétienne, in «Sidic», 6 (1973), pp. 4,25.

Id., Ebraismo e spiritualità cristiana, Roma.

A. Penna, La religione di Israele, Brescia.

A. Ravenna, L’Ebraismo post-biblico, Brescia.

S. de Vries, Il tempo nella Bibbia, in «Concilium», 17 (1981), pp. 199-219.

Aa.Vv., Le Shabbat et le Dimanche, in «Sidic» 10 (1977), pp. 3-24.

L. Bouyer, Eucarestia. Teologia e spiritualità della preghiera eucaristica, Torino, capp. 2-5.

J. Danielou, Sacramentum futuri, Paris.

P. Borella, Liturgia ebraica e liturgia cristiana, in «Rivista liturgica», 46 (1949), pp. 322-347.

Letto 3573 volte Ultima modifica il Venerdì, 18 Novembre 2011 16:14
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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