2. La nostra mentalità religiosa può essere irritata dal fatto che le relazioni tra Dio e l’uomo siano stabilite da un’alleanza. Abituati alla polemica paolina contro la legge e dalla lotta di Gesù contro il legalismo religioso del suo tempo, siamo scettici nell’ammettere che un «patto giuridico» possa produrre una religiosità profonda e autentica.
Davanti al fatto: «il tema dell’alleanza costituisce la colonna vertebrale di tutta la Bibbia», tocca a noi cogliere la portata teologica di questo concetto e il suo rapporto esatto con le istituzioni giuridiche con le quali il patto religioso di Israele è imparentato.
Cristo stesso pensò che il concetto di “alleanza” fosse adeguato a descrivere anche i legami che stava instaurando fra Dio e gli uomini mediante la sua persona e la sua opera:
«Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro dicendo: bevetene tutti perché questo è il mio calice dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati (Mt. 26,27-28).
3. Per favorire la comprensione teologica del concetto di alleanza seguiremo la ricerca fondamentale di Geoge E. Mendelhall (Le forme del patto nella tradizione israelitica, in Per una teologia del patto nell’Antico Testamento, Torino).
Le nuove ricerche sul patto di Jahwé con Israele si sono imbattute nella somiglianza fra i testi dell’A.T. e quelli dell’antico oriente riportati in luce dalla recente archeologia. Determinati trattati politici, in particolare quelli fra grandi re e i loro vassalli, presentano una struttura formale che corrisponde in molti segni caratteristici alle alleanze bibliche.
Sono particolarmente pertinenti le formulazioni giuridiche dei «trattati di sovranità» degli Ittiti e posteriori. Essi hanno origine mesopotamica e vanno inseriti nella più vasta cornice della realtà giuridica di tutto l’antico oriente.
Anche se questo termine di confronto va preso con una certa precauzione e va tenuto conto di tutte le particolarità e differenze, non si può negare che il formulario del trattato abbia influito sull’Antico Testamento.
Illustriamo l’alleanza del Sinai (Es. 19,24) rifacendosi agli elementi tipici del patto di vassallaggio.
1. Il preambolo
L’apertura del patto iniziava con la formula: «così dice NN, il grande re della terra, figlio di NN…il valoroso». Con questo si identifica l’autore dell’alleanza, di cui si danno i titoli e gli attributi e anche la sua genealogia. Si dà rilievo alla maestà e potenza del re, che stabilisce un rapporto con il suo vassallo mediante l’alleanza.
Nel patto sinaitico il preambolo è:
«Io sono Jahwé, Dio tuo» (Es. 20,2).
Dio si presenta con il nome rivelatore: e questo stabilisce un legame con gli eventi precedenti.
2. Il prologo storico
In questa sezione si descrivono le relazioni tra i due contraenti. Il re dà grande rilievo alle imprese compiute a beneficio dei vassalli. È un elemento costante in tutti i trattati Ittiti, espresso con formule attente agli eventi contemporanei e non stereotipate,
Lo scopo era di costringere il vassallo ad una perpetua gratitudine nei confronti del re per la sua benevolenza, per i favori e la considerazione che egli ha già ricevuto.
La futura obbedienza si fonderà su ordini specifici per benefici passati, che ha ricevuto senza alcun vero diritto.
Nel rapporto di forze il vassallo è schiacciato dal potere del re: i benefici ricevuti lo rendono incapace di sfuggire al suo signore. L’elenco dei benefici ha l’effetto di elevare il sovrano al rango di salvatore.
Anche Jahwé fa alleanza con Israele dopo averlo salvato dall’Egitto. Si riconosce immediatamente il prologo storico in Es. 20,2:
«Io sono Jahwé, il tuo Dio,
che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla casa di schiavitù».
La stessa idea è contenuta nella sintesi teologica del redattore in Es. 19,4-8. Dio si richiama all’esperienza di Israele:
«voi stessi avete visto».
Dio, infatti, si rivela attraverso gli eventi salvifici come Salvatore. Egli si fa chiamare Jahwé proprio in riferimento alle gesta salvifiche: è un nome dinamico. Israele non può avere salvezza se non nel suo Dio, Jahwé, che ha dimostrato di essere salvatore.
3. Le clausole
In questa sezione vengono stabiliti dettagliatamente gli obblighi imposti e accettati dal vassallo. Nel diritto ittita includono:
a) il divieto di altre relazioni fuori dall’Impero;
b) il divieto di sentimenti ostili contro chi è sottomesso allo stesso re;
c) il vassallo si impegna a rispondere alla chiamata sotto le armi;
d) il vassallo deve fiducia illimitata al sovrano;
e) non deve dare asilo a rifugiati di qualsiasi provenienza;
f) deve comparire una volta all’anno davanti al re.
La formula che ricorre frequentemente nei testi cuneiformi dichiara che il vassallo deve essere «amico degli amici del re e nemico dei suoi nemici».
Le clausole del patto sinaitico sono le “dieci parole” (Es. 20,3,17). Esse, probabilmente, come altri complessi legali, hanno avuto un’esistenza autonoma (nel culto, nella catechesi) prima di essere inserito nell’odierno contesto, ed hanno carattere selettivo (il numero “10” allude alla totalità). Si possono aggiungere ancora tre osservazioni:
a) Parola-dabar: non è un elemento concettuale e astratto, bensì parte integrante dell’azione, sia da parte di Dio, sia da parte dell’uomo. La parola in bocca a Dio diventa evento di salvezza: sprigiona un’energia che la rende sommamente efficace. È parola creatrice: dice e fa (Gen. 1; Sal. 33,6); essa prolunga la persona.
b) Il tema dell’alleanza è condensato nella teologia della Parola. La Legge (Torah), come poi gli Ebrei chiameranno il Pentateuco, è insegnamento di vita, che opera la salvezza, e non una dottrina. Perciò il Decalogo non è una lettera soffocante; è un itinerario, una via (cfr. Sal. 119,1 «Beato l’uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore».
c) L’amore per Dio è dimostrato dall’osservanza delle sue “parole”. William Moran ha dimostrato che il termine “amore” (ahab) viene direttamente dalla tradizione del trattato e compare nel Deuteronomio con un significato che è proprio dell’amore che il vassallo doveva al suo signore. Gli si chiedeva che fosse fedele e si consacrasse al servizio del padrone.. Un tale amore era essenzialmente fedeltà ed obbedienza. Si noti il commento della prima “parola” in Dt. 6,5-12.
4. Deposito nel tempio – Lettura periodica
Il quarto elemento dei trattati era che il provvedimento fosse conservato nel tempio e fosse oggetto di lettura periodica. Ovviamente questo sottolineava il legame tra il sovrano e Dio e obbligava il popolo a familiarizzarsi con gli obblighi assunti.
L’alleanza del Sinai si presenta anch’essa come documento scritto, consegnato da Jahwé al suo popolo.
Questa è l’origine delle tavole della Legge (Es. 24,12). Durante il periodo del pellegrinaggio nel deserto, sostituì il tempio con la tenda e l’arca (= arca dell’alleanza).
Questo illumina perché il luogo del culto avrà come epicentro spirituale il documento scritto, racchiuso nell’arca, custodita nel Sancta Sanctorum (Santo dei Santi), si situa a sua volta nella parte estrema del Santo. La tradizione sacerdotale vedrà nell’arca il luogo di appuntamento (= convegno) e della presenza di Dio (Es. 25, 10-22).
5. Testimoni
Venivano poi elencati, nei trattati dei sovrani, gli dei testimoni (pantheon del re e del vassallo). Si chiamavano a testimoni anche le montagne, i fiumi, le stagioni, il mare, il cielo e la terra, i venti e le nuvole. È evidente che gli Ebrei hanno evitato il riferimento alle divinità, perché l’alleanza con Jahwé rendeva superflua la garanzia di altri.
Ma restano delle allusioni ai cieli e alla terra, soprattutto nei salmi e negli oracoli profetici, come testimoni della rottura del patto (Is. 1,2; Dt: 32,1). Cfr. anche Gios. 24,26-27; viene eretta una stele in testimonianza. «Le pietre, infatti, come le grotte e le fonti, sono luoghi ierofanici, nelle pietre si manifesta la divinità», come dice J.S. Croatto, in Storia della salvezza, p. 55).
6. Maledizioni – Benedizioni
Altro elemento costante dei trattati è l’enumerazione delle maledizioni (anatemi) e le formule di benedizione. Le uniche sanzioni, per l’alleanza, erano quelle religiose. La maledizione poteva essere, tuttavia, anche l’intervento armato del sovrano.
Le maledizioni e le benedizioni, nei testi, sono trattate come azioni degli dei. Questo elemento non si trova chiaro nell’alleanza sinaitica e nelle redazioni più antiche. Vi predominano le benedizioni. L’elenco esauriente, con contenuti simili ai trattati extrabiblici, si ha in Dt. 28.
7. Conclusione
Attraverso l’esperienza dell’Alleanza Israele diviene pienamente “proprietà particolare” di Dio, sua “eredità”, suo popolo, una “nazione santa” (goi qadosh), un regno di sacerdoti (Es. 19,5-6). L’elezione e l’alleanza non si consumano in Israele; il popolo eletto era destinato a far diventare “popolo di Dio” tutta l’umanità.
I riti sottolineano l’appartenenza esclusiva al popolo eletto: unione di sangue (Es. 24,3-8: fonte E); banchetto sacrificale (Es. 24,1-2. 9-12: fonte J).
L’alleanza crea nella sua pienezza il popolo di Dio. La benedizione divina che segue l’osservanza dell’alleanza è la pace (shalom) e l’abbondanza (cfr. Es. 23, 20-23 e Dt. 28,1-14).
Bibliografia
D.J. McCarthy-G.E. Mendelhall-R. Smend, Per una teologia del patto nell’Antico Testamento, Torino.
J.S. Croatto, Storia della salvezza, Brescia, pp. 46-56.
P. Misscampbell, Alleanza con Dio, in Aa.Vv., Invito alla Bibbia, Roma, pp. 85-98.
H. Lubsczyk, Il patto con Dio, I, Roma, pp. 149-173.
G. Ravasi, L’Alleanza al Sinai, in «Studi biblici» (At. 6), Roma.