La migrazione di quarant’anni sulla penisola sinaitica diventa tortuosa per ragioni diverse dalle necessità strategiche ed economiche: essa è la raffigurazione di un itinerario di crescita di un popolo che stentava a capire il disegno salvifico di Dio.
1. Significato religioso del deserto
Il deserto, in quanto luogo geografico, è una terra non benedetta da Dio, povera di acqua e di vegetazione, in cui la vita è impossibile. Assomiglia al caos originario (Ger. 2,6; 4,20-26).
Vi abitano i demoni (Lev. 16,10), i satiri (Lev. 17,7) e bestie malefiche (Is. 13,21; 14,23; 34,11-16).
Essa è terra salata, bagnata da acqua amara: si contrappone alla terra abitata e fertile come la maledizione si contrappone alla benedizione.
a. Dio fa passare il suo popolo attraverso «quel deserto grande e spaventoso» (At. 1,19), per farlo entrare nela terra dove scorre latte e miele, perché dopo le prove potesse gustare la grandezza del dono di una terra feconda.
b. La prima esperienza religiosa d’Israele nel deserto è concentrata su Dio. «Israele è oggetto muto e passivo dell’agire di Jahwé», dice von Rad. Il Signore non solo l’ha liberato dall’Egitto, ma lo ha anche guidato nel deserto (Am. 2,10; Es. 13,21). La traversata del Sinai è una via scelta espressamente da Dio, pur non essendo la più breve (Es. 13,17).
Nell’interpretazione storica del Deuteronomista (Dt. 2,1-37) tutto il cammino nel deserto, in avvenimenti all’apparenza profani, rivela la provvidente mano di Dio che interviene con rivelazioni particolari a Mosé nel determinare le varie tappe del viaggio (vv. 2.9.17.31). Specialmente il v. 7 insiste sulla paterna protezione di Dio nel deserto:
«Il Signore tuo Dio (…) ti ha seguito nel tuo viaggio attraverso questo grande deserto; il Signore tuo Dio è stato con te in questi quarant’anni e non ti è mancato nulla».
c. Il cammino è segnato dal dono della legge e dell’alleanza: esse faranno di un ammasso di clan erranti un vero popolo di Dio. La fonte sacerdotale proietta su questo momento storico la riunione di tutte le tribù sotto un governo centrale e il censimento di Israele (Nm. 1,1ss). Il censimento è un atto di dominio o di possesso che solo il sovrano può fare. E Dio nel deserto conta il suo popolo e i suoi eserciti.
2. Il deserto, luogo di peccato
Il viaggio dal Sinai a Cades (Nm. 10,11-20,21) è caratterizzato dalle mormorazioni e dal popolo contro Jahwé e i suoi inviati.
Nm. 11,1ss.; 12,1ss.; 14,2ss.; 14,27. Mosé stesso si sgomenta delle difficoltà e dubita di Jahwé (Nm. 11,21ss).
La gravità di questi atteggiamenti emerge dalla loro vicinanza con recenti eventi soteriologici, che avrebbero dovuto provocare una fede incondizionata nella guida divina (Nm. 14,11).
Israele è tentato di ritornare in Egitto: ma questo significherebbe annullare una tappa ormai superata; sarebbe un ritorno alla schiavitù, alla sicurezza del «già vissuto».
In Nm. 11-17 ritorna sistematicamente questa successione dinamica:
Peccato di mormorazione o ribellione |
Apparizione di Dio |
Intercessione di Mosé |
Risposta del Signore |
a) 11,4-6 b) 12,1-3 c) 13,3; 14,4 d) 16,1-3 e) 17,6-7 |
a) 11,10 b) 12,4-9 c) 14,10-12 d) 17,9-10 |
a) 11,10-15 b) 12,12 c) 14,13-19 d) 16,22 e) 17,11 |
a) 11,16-33, cfr. 23 b) 12,12 c) 14,20-28 d) 16,23-35 e) 17,11-35 |
Le varie fonti, con prevalenza di quella sacerdotale, spiegano come la ragione teologica è costituita dalla volontà di Dio di differire l’entrata nella terra promessa a causa dell’incredulità del popolo, che arriva fino a disprezzare Dio e il suo dono (Nm. 14,9).
Il deserto è destinato a diventare dimora per ben quarant’anni come castigo dei quaranta giorni di mormorazione durante l’esplorazione della terra:
«Secondo il numero dei giorni che avete impiegato per esplorare il paese, quaranta giorni, sconterete le vostre iniquità per quarant’anni, un anno per ogni giorno e conoscerete la mia ostilità» (Nm. 14,34).
Israele non riesce ad assumere il rischio della fede. «La fede come rischio e speranza è un atto di adulto che conduce a realizzare se stessi. La mancanza di fede nel Dio salvatore è l’atteggiamento più inumano di Israele» (Croatto, Storia della salvezza, p. 62).
Quando manca la fede si sgretola il piano salvifico. Dio allora interviene con la correzione, perché è essenzialmente buono e fedele.
3. Il deserto, luogo di educazione
Dt. 8,1-20 tenta di rispondere in modo indiretto al perché del periodo del deserto. Il libro del Dt. è piuttosto il libro fella terra, non del deserto, anche se ambientato nel deserto. L’esperienza della migrazione è ripresa in contesto di ricordo, di anamnesi.
La scrittura del brano è costruita sulle espressioni “ricordati”, “non dimenticare”, in quattro sezioni:
1) vv. 2-5 = deserto, luogo di educazione
2) vv. 6-14 = abbondanza e ricchezza della terra, tentazioni a non riconoscere Dio come fonte
3) v. 15 = la realtà del deserto è passata
4) vv. 16-20 = conferma di alleanza con benedizioni e maledizioni.
Nei versetti si propone il tema del ricordo in tre tappe.
- ricordare
- riconoscere
- osservare
Corrispondono a tre momenti del deserto teologicamente spiegati: cammino, cibo, vestito.
Il fine più sottolineato è l’azione divina di umiliare il suo popolo (vv. 2.3.16). L’umiliazione è consistita in questo: dopo aver patito fame e sete Dio si fa incontro per offrire i suoi doni.
Il deserto è diventato il luogo più adatto per accorgersi che il pane viene da Dio, e che Dio può saziare con qualcosa che è più del cibo materiale (v. 3).
Il v. 5 insiste sul carattere pedagogico di questo periodo. La rivelazione di Dio è paterna, interessata: egli ama la vita. Si noti come l’attributo di “padre” è relativo al carattere educativo (maestro-discepolo), non tanto a quello generativo.
4. Il deserto, luogo di amore
Il tema del deserto viene ripreso, in visione retrospettiva, dai profeti, quando il popolo insediato nella terra promessa la trasformerà in luogo di prosperità idolatrica ed empia.
Il tempo del deserto apparirà allora aureolato dalla gloria divina e privilegiato per l’esperienza religiosa d’Israele.
Os. 11,1-4 vi si richiama con straordinaria intensità: Dio si è innamorato del suo giovane figlio, che ha appena strappato dall’Egitto.
Os. 2,4-5 presenta il deserto come luogo di rapporti idilliaci tra il Dio dell’amore fedele e la sposa Israele. L’idea del deserto è evocata a tre livelli:
1. livello storico (v. 17)
2. livello geografico (v. 5), landa desolata e ardente
3. livello di trasposizione ideale, nel senso di solitudine interiore, dove non arriva lo strepito esterno e si può ascoltare la voce dell’amato che parla (v. 16).
La situazione del deserto è prospettata da Osea come momento punitivo (vedi fonte J:
«la ridurrò a un deserto»), come privazione dei doni della terra (v. 11: «anch’io tornerò a riprendere il mio grano… il mio vino nuovo…; ritirerò la lana e il lino»; v. 14: «devasterò le sue viti e i suoi fichi…»).
Ma è anche il momento del ritrovamento dell’unico amante (v. 15), di seduzione (v. 16) e di trasformazione profonda a contatto con Jahwé – marito e non più padrone (v. 18).
Conclusione
La tappa storico-salvifica del deserto non va confusa con una qualche mistica della solitudine e della fuga dagli uomini. È il momento dello spogliamento e della povertà dei mezzi umani, in cui Dio si fa guida e sostegno, unico punto di riferimento tramite la sua parola e l’alleanza.
È anche il momento della prova e del rischio in cui il credente fa il “salto della fede”: momento di trapasso doloroso alla maturità religiosa.
Bibliografia
C. Thomas-X.Leon Dufour (a cura di), Deserto, in Dizionario di Teologia Biblica, Torino, pp. 260-265.
G. von Rad, Teologia dell’A.T., I, cit., pp. 321-330.
R. Cecolin, L’esodo, via di Dio verso la libertà, in Aa.Vv., Invito alla Bibbia, Roma, pp. 56-70.
J.S. Croatto, Storia della salvezza, cit., pp. 61-76.