Formazione Religiosa

Venerdì, 13 Gennaio 2006 21:02

«Mio padre e mia madre erano aramei erranti» (Dt 26,5) (Faustino Ferrari)

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Di fronte alla croce, di fronte al silenzio, quante volte ci poniamo questa domanda: “Dov’è Dio?”. Di fronte all’ingiustizia, alla malattia, alla sofferenza, al dolore, alla morte, alle situazioni per noi assurde...

La nostra storia nella storia di Dio

Rabbi Nachman di Bratislavia disse: - Altri pensano che raccontare storie sia un buon rimedio per addormentarsi; io sostengo, invece, che raccontare storie sia utile per svegliare la gente (1). Non so se quanto segue sarà usato (con un buon profitto) come lettura serale per riconciliarsi con il sonno (se cioè farà dormire)...

Il tenere svegli al quale allude il rabbino non è solo un fatto fisico. Le storie ci tengono desti quando il racconto lascia dentro di noi domande forti, quando provocano la riflessione, quando le percepiamo attuali per la nostra vita. Insomma quando seminano in noi qualche seme di inquietudine, quando sono capaci di rendere insonni le nostre notti.

Secondo una leggenda ebraica, il mondo deve la sua esistenza a 36 uomini giusti. Se neanche uno di questi giusti restasse in vita, il mondo immediatamente scomparirebbe. "Narra un'antica leggenda che il nostro mondo sopravvive grazie all'esistenza nascosta, quasi ignota di un piccolo, limitato numero di uomini giusti. Neppure essi sanno dello strano e prezioso dono di cui sono portatori. Gli abitanti del mondo non sanno riconoscerne l'esistenza e i più di essi restano ignoti anche dopo la loro morte. E noi dobbiamo essere grati non solo della loro rettitudine, ma anche del fatto che alcuni di essi continuano a raccontare storie".

Secondo questa breve narrazione, che riprende la leggenda ebraica aggiungendone una variante legata alla capacità del raccontare, l'esistenza di una piccola manciata di giusti - capaci anche di raccontare storie - permette al mondo di continuare ad esistere.

Perché si possano raccontare storie ci vogliono narratori. Ci vuole qualcuno che sappia raccontare. Ma ci vuole anche qualcuno che ascolti. Che abbia la pazienza di ascoltare una storia. Senza narratori e senza ascoltatori non ci sarebbero storie.

Possiamo accostarci alla Bibbia come ad un libro di grandi storie. E in questo libro di grandi storie c’è un verbo che ritorna spesso, un invito che viene continuamente riproposto: Ascolta! Ascoltate! L’invito all’ascolto è diverso da quello del sentire o dell’udire. Possiamo udire rumori, voci, silenzi. Ma le storie si devono ascoltare. E’ un processo che non coinvolge soltanto le nostre orecchie, ma anche la nostra mente ed il nostro cuore. Le storie ci fanno riflettere. Ci chiedono di essere protagonisti, di agire, di dare vita a quello che - per il momento - è soltanto fiato, voce, parola.

Per il fatto che raccontando storie si dà una nuova interpretazione della realtà, ogni storia, al tempo stesso, non è vera ed ha in sé tracce di verità. Le storie che raccontiamo o che ascoltiamo non sono solo frutto di fantasia, ma racchiudono in sé qualcosa di vero.

Le storie a cui siamo stati abituati fin da bambini, di solito, iniziano con un "C'era una volta" e sono spesso fiabe di re e di regine. Ma quando si tratta della nostra storia non possiamo più dire: C'era una volta... Tuttavia dobbiamo e possiamo narrare le nostre vicende, la nostra esperienza, la nostra vita.

Una storia è una storia. Con questo voglio dire che esiste una differenza tra ciò che si racconta e ciò che si vive. (Solo per Dio esiste uno stretto rapporto tra racconto e creazione, tra Parola e compimento della Parola). Riandare alla nostra storia, soffermarsi sulle vicende della nostra vita, “scrivere” in un certo senso la nostra autobiografia è un’esperienza fondamentale per ciascuno di noi. Certo, questo non è facile. Si tratta spesso di sostituire alla frenesia del dire e del fare la lenta memoria del racconto. Si tratta di trovare il tempo necessario per farlo. Ma, senza storie, non c’è vita. E senza la nostra storia, cosa abbiamo? cosa ci resta? chi possiamo dire di essere?...

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn, Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asàf, Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia, Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia... (Mt. 1, 1-17).

Quante volte ho letto - o sentito leggere - questo brano con insofferenza, noia. Il non capire cosa ci stesse a fare nel vangelo. E non mi sono stati neanche di aiuto gli studi biblici nel rivelarmi il significato dei vari personaggi femminili che vi compaiono, la divisione delle generazioni degli antenati di Gesù secondo schemi precisi... Finché alcuni anni fa, una sera, all'improvviso ho capito, mi sembra di aver capito. Ho pensato ai miei antenati. Sono andato indietro di 150, 200, 250 anni. In questo arco di tempo si snoda una lunga fila di almeno 128 - 256 persone. I miei avi. Da loro ho origine. Conosco il nome dei più recenti soltanto, dei più vicini a me nel tempo. Sei-sette nomi in tutto. Eppure so che quelle persone si sono incontrate, si sono volute bene, si sono amate, hanno condiviso un'esistenza. Ed io vivo perché essi hanno vissuto, hanno amato, hanno messo al mondo dei figli. Sarebbe bastato un nulla - un temporale improvviso alla fiera annuale del paese; un litigio durante il fidanzamento; l'opposizione di qualche genitore - ed essi non si sarebbero sposati; non avrebbero messo al mondo dei figli; non avrebbero avuto una discendenza. Ed io non sarei oggi qui. Ed io non sarei.

E' soltanto per caso che queste persone - almeno 126 nell'arco di due secoli - si siano incontrate, che in esse io ritrovi le mie radici. Sono soltanto il frutto di innumerevoli casi che si snodano nel corso del tempo? Oppure...

Oppure, rileggendo la mia storia - una storia che non si esaurisce in me, ma che prosegue nel tempo, nel tempo della storia - posso scorgere le tracce non del caso, ma di una mano provvidente. E allora in quella genealogia degli antenati di Gesù scopro le tracce della mia storia, della mia genealogia. Le tracce di un Dio che scrive lungo i sentieri del tempo le storie delle nostre esistenze.

Lo scrittore Milan Kundera osserva in un suo romanzo (2) che la memoria è strettamente legata alla lentezza. Per ricordare ci vuole tempo, ci vuole calma, ci vuole pazienza. Se siamo presi dalla frenesia non abbiamo tempo per il ricordo. E per poter raccontare storie è necessario ricordare. Ci vuole pazienza. La pazienza di chi narra e di chi ascolta. Ci vuole tempo. Non si possono raccontare storie in fretta. Se noi vogliamo narrare la nostra storia dobbiamo innanzi tutto darci tempo. Darci il tempo necessario per ricordare. E’ importante per ciascuno di noi, con calma, ripercorrere il trascorrere dei nostri giorni. O, per usare l’immagine del fiume, andare mentalmente a ripercorrere quanto già percorso. Dalle origini, dalla freschezza e dalla impetuosità delle sorgenti, alle anse della pianura, ai momenti in cui abbiamo rotto ponti ed argini, ai luoghi in cui ci siamo fermati impaludandoci...

C’è un altro aspetto importante da tenere presente per i nostri racconti. Lo spunto mi viene da un’altra storia ebraica. Si tratta della storia dell’angelo nuovo. Con questa immagine vengono indicati dei personaggi fantastici che stanno intorno alla Gloria di Dio e la cui esistenza dura un istante soltanto. Una specie di flash improvviso che illumina e subito scompare. Dio crea ad ogni istante un numero sterminato di nuovi angeli, ciascuno dei quali è destinato soltanto a cantare per un attimo le sue lodi davanti al suo trono, prima di dissolversi nel nulla. (3)

Quale può essere il significato di una tale esistenza? L’esistenza dell’angelo nuovo è contraddistinta dall’assoluta gratuità. Credo che raccontare ed ascoltare storie debba restare sotto il segno della gratuità. Come posso trovare ascoltatori per la mia storia? Soltanto quando anch’io, gratuitamente, sono disposto ad ascoltare la storia degli altri. Il tempo che sono disposto a dare agli altri è il tempo che posso ricevere dagli altri.

Le storie non devono necessariamente avere un significato eccezionale o avere per protagonisti “personaggi importanti”. Non devono avere per forza una morale o qualcosa del genere. Ritenere che una storia, per essere raccontata (od ascoltata) debba avere qualcosa di particolare, di importante è un’idea sbagliata. Per riprendere una canzone di qualche anno fa, ogni nostra storia “è una storia importante”. E non semplicemente perché si tratta della nostra storia, quanto si parla di vita vissuta. Ci è continuamente inculcata l’idea che le uniche storie che valgano la pena di essere raccontate siano quelle dei VIP, delle persone di successo, delle star del cinema, dello sport, dello spettacolo, dei grandi magnati e di quanti detengono il potere. Ciò non è vero. Non può essere vero. A ragione possiamo dire che la nostra storia vale più delle storie presentate dai rotocalchi e dalle riviste patinate. Vale più di tutte le storie dei VIP.

Credo di essere stato fortunato, nella mia infanzia, per il fatto che intorno a me c’erano alcune persone che raccontavano storie. In particolare un mio nonno, morto quasi centenario, dalla buona memoria e i cui ricordi mi riportavano indietro nel tempo, verso la fine del secolo scorso ed anche prima; ed uno zio che avendo avuto la sua gioventù segnata da un’esperienza terribile - l’esperienza della guerra, dieci anni di vita militare in giro per l’Africa e l’Europa a combattere - sentiva continuamente la necessità di narrare quello che aveva sperimentato sulla sua pelle e quello che i suoi occhi avevano dovuto vedere. Perché non andasse perduta la memoria di quei fatti terribili. Perché chi non sapeva potesse sapere. Fin da bambino mi è piaciuto stare ad ascoltare storie.

Ma se ripercorro la mia vita, la mia storia, ritrovo che è intessuta di volti e di nomi. Sono quelli delle persone che ho incontrato e con le quali ho vissuto. Persone che mi hanno voluto bene, mi hanno aiutato a crescere, a diventare grande, adulto, uomo. Questi volti non sono indistinti, non sono maschere, non sono senza tratti caratteristici. Ognuno di questi volti ha in sé qualcosa di proprio, di unico, di prezioso. Ci sono volti che mi hanno dato molte cose - e loro sono ignari di tutto quello che mi hanno donato. A volte sono stati incontri molto brevi - la mia storia si è incontrata con la loro che per qualche istante soltanto. Eppure molti di questi fugaci incontri sono stati importanti. Anche i volti delle persone con le quali ho avuto scontri, contrasti, conflitti, sono importanti: anch’essi mi hanno aiutato a diventare più uomo, a capire i miei limiti, i miei torti e le mie ragioni.

Potrei e dovrei narrare a lungo di questi volti e di questi nomi. Di Giuseppe, Giovanni, Chiara... A volte sono nomi e volti che riaffiorano dopo anni e anni. Come quello di un compagno di scuola, anche lui di nome Giuseppe, morto per un incidente sul lavoro in una polveriera. O quello di Anna, ritrovata sfogliando una rivista...

Nella mia storia ci sono state delle letture che mi hanno segnato profondamente. Tra tutte, una in particolare, quella della bibbia. Un libro pieno di storie. Nonostante i miei pochi anni ed il fatto che molte cose non le capivo, fin da bambino questa lettura mi ha reso familiari parecchi personaggi: Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Sansone, Davide... La lettura delle loro vicende, della loro storia me li ha resi vicini, mi ha mostrato i loro volti.

Altri volti che si aggiungono a quelli delle persone con le quali ho vissuto. Altri volti che mi hanno fatto capire che la mia storia si inserisce in una storia più grande: una trama che percorre, come un filo rosso, tutta la storia.

“In principio era la Parola e la Parola era presso Dio e la Parola era Dio” (Gv 1,1). La bibbia ci insegna che la vita ci è data attraverso la Parola. Il libro della Genesi narra la creazione attraverso la parola. Dio parla, ed ecco le cose sono, incominciano ad esistere. Noi riceviamo un nome e noi siamo. “Dio fa le cose e le racconta, le racconta e le fa essere”. (4) E non solo. Dio affida all’uomo il compito di dare un nome agli animali. In un certo modo l’uomo è chiamato a prolungare la creazione divina. Attraverso la parola, il dare un nome. “Il mondo è stato inventato da Dio perché non rimanesse identico a quello dei giorni della creazione”. (5)

La bibbia ci presenta anche la figura di Gesù. Quel Gesù che il vangelo di Giovanni ci indica come la Parola, il Verbo. Gesù è stato un grande narratore di storie. Quello che noi conosciamo del Padre e del suo Regno ce lo ha fatto conoscere lui attraverso le sue parole, i suoi racconti, le sue parabole. “Il regno dei cieli è simile ad un uomo che...”; “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico ed incappò nei briganti...”; “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella gloria con tutti i suoi angeli...”; “Osservate i gigli dei campi che non lavorano e non filano...”.

Ogni volta che rivado a questi testi, ogni volta che rileggo o riascolto un brano, ho la possibilità di scoprire nuovi significati per la mia vita. Testi apparentemente molto semplici si rilevano, giorno dopo giorno, ricchi di significato e di senso. Testi che rendono inquieti, che non lasciano dormire.

I racconti di Gesù non mettono in scena i grandi dell’epoca. Qui non sentiamo parlare di imperatori o di illustri personaggi, ma di una povera vedova, di un seminatore, di un mercante, di un padre e dei suoi figli, di un gruppo di ragazze, di persone che si ritrovano per una festa di nozze...

Protagonisti privilegiati delle sue storie sono la gente comune. Le scene descritte sono scene di vita quotidiana. Gesù ci insegna che sono queste le storie importanti, le storie della gente comune, della povera gente. Fin dalla nostra infanzia, invece, ci hanno raccontato fiabe di re e di regine, di principi e di principesse. Ci hanno abituato a credere che solo alcuni personaggi fossero degni protagonisti di storie.

Non dobbiamo credere che ci basta conoscere la storia. Per noi Gesù è un volto e un nome - nel suo nome infatti ci riconosciamo. Un volto nel quale possiamo scorgere l’amore del Padre per noi. Vi possiamo vedere riflesse tutte le sofferenze dell’umanità - l’uomo dei dolori. In questo Volto contratto dal tetano sul legno della croce noi possiamo percepire la presenza - scandalosa - di un Dio che ci ama fino alla morte. Non dobbiamo mai dimenticare che questa Parola si è fatta carne e ha piantato la sua tenda in mezzo a noi (Gv 1, 14).

Di fronte alla croce, di fronte al silenzio, quante volte ci poniamo questa domanda: “Dov’è Dio?”. Di fronte all’ingiustizia, alla malattia, alla sofferenza, al dolore, alla morte, alle situazioni per noi assurde. La morte di un bambino, di una persona innocente, per un incidente sul lavoro. Le sofferenze patite e senza riuscire a darne un senso. “Dov’è Dio?”. Spesso rispondiamo - o si cerca di rispondere - a questa domanda dicendo: era destino così; era il suo destino... Un modo, forse, per metterci l’animo in pace, un modo per non pensarci troppo.

Il silenzio costituisce un aspetto per noi problematico. Se Dio si rivela a noi nel racconto, - nella sua Parola, nel Verbo, nel Figlio - che senso ha allora il silenzio? Se Dio agisce nella storia degli uomini, quando i nostri occhi non riescono a scorgere l’azione di Dio nel mondo ci chiediamo: perché Dio permette questo? perché non interviene? dov’è Dio?

Ed ancora, molto spesso ci troviamo a domandarci: perché Dio non realizza quello che nel nostro profondo desideriamo? Perché i nostri desideri non trovano compimento?

Ai piedi della croce le domande non vengono meno, non scompaiono. Anzi, probabilmente si moltiplicano, si fanno più insistenti. Ai piedi della croce possiamo sostare ogni volta che nella nostra vita sperimentiamo l’assenza di Dio, il suo silenzio. Forse non avremo subito risposte - parole immediate di consolazione. Ma certo potremo sperimentare di essere compagni di Dio nel suo dolore. E Dio ci potrà essere compagno nel nostro dolore.

Un libro di Alex Zanotelli ha il significativo titolo “I poveri non ci lasceranno dormire” (5). I volti concreti della gente - conoscerne i loro nomi e la loro storia - credo che non ci possano lasciare sonni tranquilli. I grandi di questo mondo parlano di cifre, numeri, esuberi, guadagni, tagli. Per loro non esistono volti, nomi, storie. Esiste soltanto la matematica dei numeri e del profitto.

E noi continueremo nel lasciarci persuadere che il mondo funziona così? Anche noi cadremo nel loro inganno? Anche tu, lettore, presterai orecchio alle loro fandonie?

C’è un racconto - anche questo di un autore ebreo - che mi piace particolarmente e che mi ritrovo spesso a leggere. Si tratta di “Davanti alla legge” di Franz Kafka (7).
Riassumo brevemente.
Si parla di un uomo di campagna che si presenta davanti alla Legge e chiede di entrare. Ma il guardiano posto davanti alla porta gli impedisce l’accesso. Il campagnolo vorrebbe spiegazioni, ma il guardiano gli presenta tutte le difficoltà a cui andrebbe incontro se cercasse di forzare l’ingresso.
Il campagnolo non desiste e resta ad aspettare.
Passano i giorni, i mesi, gli anni. Il campagnolo continua ad aspettare ed il guardiano ad impedire l’accesso alla legge.
Alla fine, quando ormai morente il campagnolo si accascia al suolo, egli pone al guardiano una domanda: perché nessun altro, nel corso di tutti quegli anni, si è presentato alla porta chiedendo di entrare?
E la risposta del guardiano risuona: “Nessun altro poteva entrare da qui, questo ingresso era destinato soltanto a te. Adesso me ne vado e lo chiudo”.

Viene spontaneo ricordare il consiglio evangelico “sforzatevi di entrare per la porta stretta” (Mt 7,13). Ma potremmo sicuramente accostarci al racconto da un punto di vista simbolico e sostituire - o interpretare - la Legge di cui parla l’ebreo Kafka con la Torah. Ed allora il racconto verrebbe ad assumere ben altri significati, anche dal punto di vista teologico. Ancora, potremmo prendere spunto dalla vicenda del racconto per pensare che quella porta destinata al campagnolo, ma da lui non usata, possa essere l’immagine della vita, della storia di ciascuno di noi.

Ciascuno di noi ha di fronte due possibilità: quella di vivere la propria vita, la propria storia da protagonista, oppure quella di restare “sulla soglia” a vedere ciò che gli occhi del mondo considerano cose veramente importanti. Possiamo “scegliere la vita” (Dt. 30,19) o lasciarci andare in un’esistenza amorfa. Restare spettatori, a guardare, ad aspettare o correre il rischio di oltrepassare limiti ritenuti invalicabili e di percorrere strade non ancora tracciate, sentieri poco battuti, itinerari da costruire.

Come per Abramo, per Isacco, per Giacobbe, antichi pastori nomadi che percorsero polverose contrade del Medio Oriente. Come per Mosè che di Dio ha sperimentato che non si può scorgere il volto, la faccia, ma soltanto la traccia sul cammino (Es 33, 23).

In loro, nel racconto delle loro storie, ancora oggi possiamo trovare le radici della nostra storia. Possiamo scoprire che - attraverso le nostre mani, i nostri volti, le nostri voci - le nostre storie possono diventare storia.

Note

1) Daniel Lifschitz, La saggezza dei Chassidim, Casale Monferrato (Piemme), 1995, p. 166.

2) Milan Kundera, La lentezza, Milano (Adelphi), 1995.

3) cit. in Gershom Scholem, Walter Benjamin e il suo angelo, Milano (Adelphi), 1978, p. 23.

4) Paolo De Benedetti, Ciò che tarda avverrà, Magnano (Edizioni Qiqajon), 1992, p. 16.

5) Idem, p. 95.

6) Alex Zanotelli, I poveri non ci lasceranno dormire, Saronno (Monti), 1996.

7) Esistono numerose edizioni italiane. Il testo si trova nella raccolta di racconti Un medico di campagna.

Faustino Ferrari

 

Letto 2752 volte Ultima modifica il Lunedì, 16 Gennaio 2017 21:32
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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