Formazione Religiosa

Venerdì, 30 Settembre 2005 01:56

Il cantico di Maria (Elena Bosetti)

Vota questo articolo
(3 Voti)

Il cantico di Maria
di Elena Bosetti

L'evangelista Luca inserisce il canto del Magnificat nel racconto della visita di Maria a Elisabetta, in risposta alle parole di lode che la cugina le rivolge.

Elisabetta scorge nella vergine di Nazaret ciò che lo Spirito, e non il semplice sguardo umano, le permette di vedere: una maternità che non ha precedenti. La riconosce madre di quel signore che anche lei accoglie nella fede: il «mio» Signore. L’arca della nuova alleanza è entrata nella sua casa e lei, come già David, si proclama indegna di tale visita:

Come potrà  A che debbo che
l'arca del Signore  la madre del mio Signore
venire da me?  venga a me?
(2 Sam 6,9) (Lc 1,43)

E come David, anche Elisabetta loda e benedice: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!» (Lc 1,42). Inno di esultanza per la madre del Messia, gioia escatologica sperimentata anzitutto dal precursore: «Appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,44).

La grandezza di Maria, proclama estatica la cugina, sta proprio nella sua fede, nella sua piena obbedienza al volere del Signore: «Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45). Così la madre del precursore è la prima a proclamare beata (makária) la madre del Messia, la prima a pronunciare una beatitudine destinata ad essere accolta e rilanciata da «tutte le generazioni» (Lc 1,48).

Magnificat

Maria fa eco alle parole della cugina, tuttavia non si rivolge a lei ma direttamente al Signore. E le sue parole, più ancora di quelle proferite da Elisabetta, hanno struttura e forma poetica.

Un testo poetico interpella non solo per quello che dice, ma per «come» lo dice. È importante sintonizzare l'animo e mettersi in ascolto profondo, e ciò non è facile come potrebbe sembrare. Le difficoltà aumentano se la poesia viene da lontano, come il Magnificat. Un cantico nato duemila anni fa è lontano anche per linguaggio e forma letteraria. Ragione in più per ascoltare con attenzione, come fosse la prima volta, cercando di coglierne le risonanze, il gioco dei contrasti, la forza delle immagini, il ritmo e la musicalità, così da godere dell'insieme poetico. Può essere di aiuto la seguente disposizione del testo, tradotto il più possibile letteralmente, senza tralasciare, anzi valorizzando, tutte le particelle di collegamento:

46 Magnifica l'anima mia il Signore
47 ed ha esultato il mio spirito in Dio mio salvatore
48 perché ha guardato la bassezza della sua serva.
Ecco perciò da ora mi diranno beata tutte le generazioni.
49 perché ha fatto per me grandi cose il Potente e Santo il nome suo,
50 e la sua misericordia per generazione e generazione su quelli che lo temono.
51 Ha fatto prodezze con il suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
52 ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili;
53 gli affamati ha ricolmato di beni e i ricchi ha rimandato vuoti.
54 Ha soccorso Israele suo servo ricordandosi della misericordia
55 come parlò ai padri nostri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre.

Una doppia direttrice

Il cantico percorso da una doppia direttrice, una ascendente, l'altra orizzontale.

Il movimento ascendente ritrae Maria in rapporto al suo Signore (le forme verbali sono al singolare, vv. 46-50).

Il movimento orizzontale la colloca dentro un popolo di umili e credenti (le forme verbali sono al plurale, vv. 51-55).

Si potrebbe parlare di due strofe, ma così collegate che la seconda è piuttosto un prolungamento della prima. Solo nella prima strofa troviamo propriamente le «ragioni» del cantico, espresse da due «perché» (hóti: vv. 48 e 49).

Non si danno altri «perché» nel seguito del cantico. Sotto il profilo grammaticale non c'è alcuna particella di collegamento nel passaggio dalla prima alla seconda strofa (v. 51).

Come interpretare questo fatto? Indubbiamente chi si esprime in questo modo vede continuità tra l' evento posto in primo piano (la maternità di Maria) e il suo sfondo storico e comunitario (il soccorso a Israele). Maria legge l'opera di Dio in lei alla luce delle opere antiche, ma anche, viceversa, vede il futuro del popolo mutuato dall'opera che il Signore ha fatto in lei. Quest'opera costituisce il compimento delle promesse fatte ai padri. Non è quindi un' opera qualsiasi, che si inserisce nella scia delle tante, ma il loro compimento e culmine.

La serva e il suo Signore

Il cantico lascia totalmente nell'ombra Elisabetta, la casa, il marito, le vicine, ed ogni altro particolare. Al centro della scena c' è solo lei, la madre e serva del Signore, tutta protesa verso di Lui. Il suo canto sale verso il Potente che si è degnato di guardare alla sua serva rinnovando per lei le meraviglie dell'esodo.

Un movimento ascendente apre dunque il Magificat, un salire dell’anima e dello spirito. La psyché, l’animo di Maria, «fa grande» (magnifica) l’unico grande, il Signore. E il suo spirito pneuma trasale di gioia. Perché tanto giubilo? La ragione sta nel previo movimento discendenteda parte del Signore: egli «ha guardato giù» all'umiltà (letteralmente «alla bassezza») della sua serva. Sale il canto di Maria perché lo sguardo del Signore è disceso e l'ha innalzata. La vergine di Nazaret è centro di attenzione da parte di Dio, che ha guardato proprio a lei, e da parte dell'umanità, giacche afferma: «tutte le generazioni mi diranno beata». Ma il suo «stare al centro» risulta totalmente decentrato. Maria è lì per proclamare unicamente le meraviglia del Signore.

La serva tra i poveri del Signore

Ecco che la scena si allarga. Mentre le generazioni umane si levano a proclamarla beata, Maria sembra quasi scomparire all'interno di una moltitudine che si muove nella stessa sua direzione. Sono i timorati del Signore, sui quali si dispiega, come su di lei, la misericordia dell'Onnipotente. Schiere di piccoli e di poveri, un popolo di umili.

La scena si popola ulteriormente. Sul palcoscenico della storia, da un lato stanno i superbi, i potenti, i ricchi. Sul lato opposto stanno gli umili, gli affamati e indigenti, ossia quanti temono il solo Potente e si fidano di lui. Le grandi opere, compiute dal Signore a favore della sua serva, innalzata dalla tapeínōsis («bassezza», nel senso di povertà e umiltà) si ripetono con forza impressionante vantaggio di tutti i tapeinoí, i poveri e gli umili della terra. Questi sono la vera discendenza di Abramo. Il canto di Maria è anche il loro canto. Si loda e si danza insieme, come sulle rive del Mar Rosso.

Il paradigma dell'esodo

In effetti il Magnificat riecheggia il canto di un'altra Maria, la sorella di Mosè, la profetessa che danza e inneggia al Dio che «ha fatto» meraviglie, capovolgendo le parti e le situazioni. Al riguardo non può sfuggire la rilevanza del dato lessicale. Il verbo epoíesen, «ha fatto», compare due volte nel Magnificat: la prima in riferimento a Maria, «ha fatto per me grandi cose» (v. 49), la seconda in posizione enfatica all'inizio del v. 50 dove introduce il settenario di azioni a favore di Israele:

- «ha fatto prodezze

- ha disperso i superbi

- ha deposto i potenti

- ha esaltato gli umili

- ha colmato di beni gli affamati

- ha rimandato vuoti i ricchi

- ha soccorso Israele».

Sette azioni puntuali, indicative di un' azione piena e totalizzante. L'espressione iniziale, «ha fatto prodezze con il suo braccio», è chiaramente evocatrice dell'esodo, quando Jahweh manifestò la sua potenza contro l'arrogante prepotenza del Faraone. Inoltre, l'ultimo verbo della serie menziona Israele, oggetto di affettuosa misericordia da parte di Dio e da lui soccorso per fedeltà ad Abramo e alla promessa. L'orizzonte è quindi tracciato con nitidezza. Sulle rive del Mar Rosso l'unica Maria di cui parli l'AT inneggia alla vittoria del Signore:

«Cantate al Signore perche ha mirabilmente trionfato:
ha gettato in mare cavallo e cavaliere» 15,21).

Sul crinale del Nuovo Testamento le fa eco Maria di Nazaret celebrante gli eventi di cui è fatta protagonista:

«Magnifica il Signore la mia vita...
perché ha fatto per me cose grandi.
Ha fatto prodezze con il suo braccio,
ha disperso i superbi...
ha deposto i potenti e ha innalzato gli umili...».

Chi sono questi «potenti e ricchi» contro cui si dispiega il braccio, ossia la forza del Signore? Non sembrano presi di mira i potenti perché costituiti in autorità, o i ricchi perché ricchi. Piuttosto «potenti e ricchi» sono visti come concretizzazioni dei «superbi» che nel testo vengono menzionati al primo posto. Costoro pongono se stessi al posto di Dio, pretendono governare il mondo secondo i propri giudizi, senza alcun timore del Santo. Fanno e disfanno a piacimento, in base al proprio tornaconto. :Non si preoccupano dei miseri, della vedova e dell’orfano. Non si preoccupano di stabilire la giustizia, ma di rendere stabile il loro trono. Sono i faraoni. Pensano di potere tutto, anche ai comprare il cielo con la ricchezza e la potenza. Ma non è così. Illudono se stessi e la loro sorte è già segnata, come quella del ricco egoista nella parabola raccontata da Gesù. Il povero Lazzaro siede accanto ad Abramo sul trono di gloria mentre l' epulone, di cui neppure si dice il nome perché non merita memoria, precipita in mezzo ai tormenti (cf Lc 16,19-31).Dio è sempre dalla parte dell’oppresso contro l’oppressore, dalla parte di chi lo teme, del povero e dell’infelice contro i gaudenti chiusi nel proprio egoismo.

Il braccio potente del Signore farà dunque uscire dalla miseria i poveri della terra, come un tempo fece uscire Israele dall'Egitto. La sua opera di liberazione supererà l'ostacolo frapposto dai «potenti» di questo mondo che spesso siedono su un trono di violenza e di oppressione come l'antico Faraone. Così il cantico di Maria, come gli antichi inni biblici che esso evoca, è una potente esplosione di speranza messianica.

La luce della risurrezione

Quando Maria canta: «ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili», sul trono degli ebrei c'e un re usurpatore che incute paura. Erode darà prova e a sua violenza ordinando la strage dei bimbi di Betlemme e dintorni (Mt 2,16), in linea di continuità con quanto fece il Faraone verso i primogeniti degli ebrei in Egitto. Cosa è mai, dunque, quel cantare: «i potenti liha deposti dai troni»? Illusione poetica? Ricordo estasiante degli eventi passati ? Vivo desiderio che sia così, che Dio faccia finalmente giustizia ai deboli, alle donne e ai poveri della terra? Come tradurre in definitiva questi verbi all'aoristo: con valore di passato o di futuro?

Per rispondere in modo soddisfacente è necessario fare attenzione all'orizzonte complessivo in cui si colloca il Magnificat. Da un lato, il paradigma dell'esodo; dall’altro lato, un evento che ha realizzato lo schema dell’esodo in maniera del tutto sorprendente e radicale, la risurrezione di Gesù. Intessuto su questi eventi decisivi di salvezza, il Magnificat si dischiude al non-ancora della speranza fino a proferire il giudizio critico sulla storia presente e futura.

Lette alla luce della risurrezione le parole del cantico suonano già compiute. Infatti, quando tutto sembrava per sempre finito, la morte si capovolse in vita e l’umile figlio di Maria fu innalzato nella gloria. I potenti restarono attoniti e increduli; tentarono di arginare l'evento, ma inutilmente (cf Mt 28,11-15).

Gesù è il povero innalzato dal suo volontario abbassamento. E così Maria. Non vi è forse un preludio di risurrezione nel suo grembo? Se già Elisabetta, la sterile che partorisce nella sua vecchiaia, evoca il prodigioso aprirsi del grembo sepolcrale, quanto più la vergine-madre che sperimenta in se una fecondità totalmente inedita! L'esaltazione di Gesù e dell'umile sua madre è preludio di gloria per tutti gli umili della terra, per tutti i poveri e i credenti nel Signore.

La storia della salvezza è coerente. Sappiamo come andrà a finire perché Dio ha reso noti i suoi gusti, i suoi pensieri. In tal senso il Magnificat può spostarsi liberamente sull’asse temporale e cantare il futuro con le azioni del passato. I credenti (nella fede) come andrà a finire e perciò inneggiano «ha deposto i potenti dai troni», anche se sull'asse storico-temporale non è ancora scoccata l'ora della detronizzazione.

La Chiesa canta il Magnificat nella liturgia vespertina, mentre si va incontro al tramonto e alla notte. Come a dire che ha il coraggio di affrontare l'oscurità e la notte con il cantico di Maria. Quel cantico garantisce infatti che viene la luce, che la misericordia del Signore è per sempre.

NOTA BIBLIOGRAFICA

La bibliografia sul Magnificat è molto vasta. Segnaliamo alcuni studi specifici che accostano il testo privilegiando l'analisi della composizione:

R. C. TANNEHILL, The Magnificat as Poem, in Journal of Biblical Literature 96 (1974), 263-275; J. DUPONT, Le Magnificat comme discours surDieu, in NRT 112 (1980),321-343; D. MINGUEZ, Poética generativa del Magnificat, in Biblica 61 (1980), 55-77 (metodo strutturale); A. VALENTINI, Il Magnificat. Genere letterario. Struttura. Esegesi (Supplementi alla Rivista Biblica 16), Bologna 1987. Sotto il profilo esegetico-spirituale si possono vedere con utilità i commenti di E. BIANCHi in: Magnificat, Benedictus, Nunc Dimittis, Edizioni Qiqajon, Magnano 1989, pp. 9-55 e di C. GHIDELLI, Magnificat. Il cantico di Maria, la donna che ha creduto, Edizioni Paoline, Milano 1990.

Letto 4315 volte Ultima modifica il Domenica, 29 Gennaio 2006 22:14
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search