Formazione Religiosa

Martedì, 27 Settembre 2005 23:12

Abramo e Isacco: modelli di amore e libertà (Claudio Stercal)

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Abramo e Isacco:
modelli di amore e libertà
di Claudio Stercal




Nel Trattato dell'amore di Dio, pubblicato nel 1616, san Francesco di Sales (1567-1622) si propone di «ripresentare con semplicità e naturalezza, senza arte e ancor più senza finzioni, la storia della nascita, del progresso, della decadenza, delle operazioni, proprietà, vantaggi ed eccellenze dell'amore divino» (S. Francesco di Sales, Trattato dell'amore di Dio, prefazione).

A conclusione dell'opera offre Alcuni suggerimenti per il progresso dell'anima nel santo amore e tra questi una Esortazione al sacrificio del nostro libero arbitrio a Dio. Abramo «viva immagine dell'amore più forte e leale che si possa immaginare in qualsiasi creatura» (Ivi, 1, XII, c. X), è proposto tra i modelli più significativi di quel «santo amore». Il riferimento è, in particolare, ai suoi due grandi sacrifici: quello dei «più forti affetti naturali» (cf Gn 12,1-5) e la disponibilità al sacrificio del figlio Isacco (cf Gn 22).

Non senza l'intenzione di sorprendere il lettore, san Francesco di Sales mostra la sua ammirazione non solo per la «longanimità» di Abramo, ma anche e, forse, soprattutto, per la «magnanimità» del figlio Isacco: «È veramente una meraviglia, ma non così grande, vedere Abramo, già vecchio e molto sperimentato nella scienza di amare Dio, e fortificato dalla recente visione e parola divina, fare quest'ultimo sforzo di lealtà e di dilezione verso un Maestro, di cui aveva così spesso sentito e assaporato la soavità e la provvidenza; ma vedere Isacco, nella primavera della sua età, ancora novizio e principiante nell'arte di amare il suo Dio, offrirsi, sulla sola parola del padre, al coltello e al fuoco per diventare olocausto di obbedienza alla divina volontà, è cosa che sorpassa ogni ammirazione (Ivi).

Gli esempi di Abramo e Isacco sono, quindi, proposti per muovere non solo gli anziani, ma anche i giovani a donare a Dio non solo ciò che hanno, ma anche ciò che sono: «Signore Gesù, quando sarà mai che, dopo avervi sacrificato tutto quello che abbiamo, vi immoleremo tutto quello che siamo?», E con il linguaggio «sacrificale» e «immolazionista» - lontano dalla nostra sensibilità, ma ricco per i suoi riferimenti al sacrificio della croce e all'eucaristia - san Francesco precisa che per donare ciò che siamo dobbiamo donare la nostra libertà: «Quando vi offriremo in olocausto il nostro libero arbitrio, unico figlio del nostro spirito?». E proprio il dono dell'«unico figlio del nostro spirito» - bella espressione per indicare la nostra libertà -, lasciato «ardere» dall'amore per Gesù, ci consente di partecipare al suo sacrificio: «Quando lo legheremo [= il libero arbitrio] e stenderemo sul rogo della vostra Croce, delle vostre spine, della vostra lancia, affinché, come un agnellino, sia vittima gradita al vostro divino beneplacito, per morire e ardere a causa del fuoco e del col.tello del vostro santo amore?» (Ivi).

La simbologia «sacrificale» non deve impedire la lettura e la comprensione di questi testi. Il richiamo al sacrificio, infatti, non vuole proporre l'imitazione degli aspetti cruenti del dono di Isacco e di Gesù, ma vuole aiutare a coglierne e rinnovarne l'intenzione: un dono di amore, libero e totale.

In questa prospettiva si può comprendere anche il richiamo, certamente paradossale, ma significativo, alla schiavitù e alla morte: «II nostro libero arbitrio non è mai così libero come quando è schiavo della volontà di Dio, ne è mai così servo come quando serve alla nostra volontà: non ha mai tanta vita come quando muore a se stesso, ne mai tanta morte come quando vive per sé». L’obiettivo da perseguire non è, evidentemente, la ricerca della schiavitù e della morte, ma l'abbandono alla volontà e all'amore di Dio; solo questo renderà veramente vivi, liberi e felici, «più felici dei re»: «Rendiamoci schiavi della dilezione, i cui servi sono più felici dei re. E se mai la nostra anima volesse usare la propria libertà contro le nostre risoluzioni di servire Dio in eterno e senza riserve, allora, per amore di Dio, sacrifichiamo questo libero arbitrio e facciamolo morire a se, affinché viva in Dio» (Ivi).

Solo questa «schiavitù di amore» ci consentirà di «inabissare» il nostro libero arbitrio nel godimento della bontà di Dio e di superare, nella vita eterna, ogni tensione tra amore e libertà: la libertà sarà convertita in amore e l'amore in libertà, dolce e infinita. «Chi gli concederà [= al libero arbitrio] la libertà in questo mondo, l'avrà servo e schiavo nell'altro, e chi lo asservirà alla Croce in questo mondo, l'avrà libero nell'altro, dove, inabissato nel godimento della divina Bontà, la sua libertà si troverà convertita in amore e l'amore in libertà, ma libertà di dolcezza infinita; senza sforzo, senza fatica e senza alcuna ripugnanza, ameremo invariabilmente per sempre il Creatore e Salvatore delle nostre anime» (Ivi).


Letto 2370 volte Ultima modifica il Domenica, 29 Gennaio 2006 22:05
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input