Dicendo poi che l'omelia "è pane dell'azione liturgica", il Concilio corregge quanto nel 1960 diceva il nuovo "Codice delle rubriche": "mentre si fa la predica, si sospende la celebrazione". Allora non si faceva omelia, ma - dopo il Vangelo - si faceva o la sua spiegazione, o un'esortazione morale, o una lezione di catechismo (solo allora si aveva la possibilità di parlare agli adulti!).
Il termine greco "omilia"si trova già nei primi documenti dei Padri della Chiesa: S. Giustino, al II secolo, la cita esplicitamente tra i momenti della celebrazione eucaristica (I Apologia, capp. 65 e 67). Essa è in continuità con la parola viva di Gesù che, nella sinagoga di Nazaret spiega e attualizza il testo d'Isaia, o che lungo la via verso Emmaus mostra quello che nelle Scritture lo riguardava; è ancora in continuità con la parola dell'Apostolo nelle assemblee (vedi a Troade, quando "riuniti per spezzare il pane, Paolo... conversava con loro": Atti 20, 7).
L'omelia, se è "parte dell'azione liturgica", è azione di Cristo? Ha valore sacramentale? In SC 7 si afferma che "Cristo... è presente nella sua parola, perché è lui che parla quando nella Chiesa si leggono [e si spiegano] le sacre Scritture". Le parole tra parentesi erano presenti -nello schema, e furono tolte dal testo finale. Le premesse al lezionario (OLM 24) però, in qualche modo le riprendono, quando si dice: "sempre poi Cristo è presente ed agisce nella predicazione della sua Chiesa". È chiaro che i predicatori per primi devono essere coscienti di questa verità.
Dicevamo che l'omelia non è una lezione di catechismo o di teologia: è un'altra la sede o il momento per farla. Non è nemmeno una predica morale. Questi due aspetti possono essere presenti nell'omelia, ma non sono l'omelia. Durante la liturgia, stiamo celebrando Gesù Cristo, rendendo presente la sua persona e la sua opera salvifica: non si dimentichi mai questa situazione esistenziale. La Parola di Dio ha reso presenti gli eventi salvifici, che culminano nella Pasqua di Cristo e nostra, e si attueranno nel momento sacramentale. L'omelia allora è la parola viva che "mostra" come quegli eventi "si compiono oggi per noi". Queste sono le parole programmatiche di ogni omelia liturgica, pronunciate da Cristo nella sinagoga di Nazaret, e questo avviene in ogni omelia. Il Concilio ha espresso molto bene questo concetto in SC 35, 2: "La predicazione attinga anzitutto alle fonti della sacra Scrittura e della liturgia, poiché essa è L'annunzio delle mirabili opere di Dio nella storia della salvezza, ossia nel mistero di Cristo, mistero che è in mezzo a noi sempre presente ed operante, soprattutto nelle celebrazioni liturgiche". Una tale affermazione non era stata più ripresa nei libri liturgici nuovi, fino al 1989, quando la seconda edizione del Lezionario la cita nelle premesse: "Tenuta di norma da colui che presiede, l'omelia nella celebrazione della Messa ha lo scopo di far sì che la proclamazione della parola di Dio diventi, insieme con la liturgia eucaristica, quasi un annunzio delle mirabili opere di Dio nella storia della salvezza, ossia nel mistero di Cristo "(OLM 24).
In concreto, per fare una buona omelia, che sia non solo bella ma anche efficace, mi sento di suggerire due criteri, che sembrano talmente ovvi, da risultare banali:
- Avere qualcosa da dire. È possibile che un omileta (vescovo, prete o diacono) non abbiano sempre da comunicare qualche cosa su Gesù Cristo, la sua opera e il suo messaggio? Per far questo, è necessario che preventivamente egli prepari la sua omelia. Normalmente si parte dal Vangelo. Questo ci narra di Gesù, o di un suo miracolo, o di un suo insegnamento. L'omelia deve far vedere che il miracolo è "segno" di ciò che Cristo fa oggi a noi, nella celebrazione eucaristica. Il messaggio è oggi rivolto a noi. Quale messaggio? Talvolta il brano evangelico ne presenta più di uno. Allora sarà necessario confrontare il testo evangelico con la prima lettura, tratta dall’Antico Testamento, e scelta proprio per illustrare un aspetto del vangelo. Ci si aiuterà anche con il salmo responsoriale che riprende il tema della prima lettura. Si potrà guardare il versetto dell'Alleluia che prepara al Vangelo, e soprattutto si veda l'antifona di comunione, che il Messale italiano propone per i singoli anni, traendola dal Vangelo proclamato in quel giorno. Nel momento della comunione, quella frase "si compie oggi per noi". Si faccia attenzione inoltre all'unità del messaggio, che trova sempre il suo culmine nella pasqua di Cristo, anche se ogni domenica lo si guarda sotto un angolo visuale diverso. L'omileta deve tener conto anche dell'assemblea, della sua situazione esistenziale, perché a questa egli deve "annunziare" quello che Dio in Cristo oggi le dà o le dice.
- Avere la consapevolezza di comunicare ad altri. Non serve a niente che il discorso sia bello e ben costruito, se non arriva a toccare il profondo degli ascoltatori. È necessario quindi non solo il retto uso dei mezzi tecnici, ma soprattutto l'arte del comunicare. Tu puoi avere una sorgente ricchissima, puoi avere anche delle condutture perfette, ma... se non ti funziona il rubinetto, l'acqua non arriva.
Tante omelie risultano inefficaci, noiose, inutilmente ripetitive, quando non innervosiscono, proprio perché l'oratore non tiene conto dell'assemblea, non dialoga con essa, non la coinvolge e non la interessa. Non si può leggere un'omelia scritta (quando si legge dando l'impressione di leggere); non si può fare un'omelia con gli occhi chiusi, o che guardano nel vuoto...
Un annunzio, il lieto annunzio (= vangelo) deve comunicare gioia, deve far superare, con la sua luce, le situazioni di disagio, deve dare speranza agli sfiduciati. Per questo è necessario che l'omileta, per primo, sia "preso" dalla forza e dalla luce della Parola, e ne diventi testimone convinto e convincente.
Non si può sperare di rinnovare la fede e la prassi del popolo cristiano, se non si rinnovano gli apostoli del Vangelo.
Ildebrando Scicolone