"Giustamente perciò la liturgia è considerata come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, per mezzo di segni sensibili, viene significata e – in modo a ciascuno di essi proprio – realizzata la santificazione dell’uomo, e viene esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle membra, il culto pubblico integrale".
La liturgia è quindi opera di Cristo, che esercita sempre il suo sacerdozio. La lettera agli Ebrei dice: "Quelli [dell’Antico Testamento] sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo; egli invece, per il fatto che rimane in eterno, possiede un sacerdozio che non tramonta" (7, 23-24). I sacerdoti cristiani (papa, vescovi e preti) non sono "successori" di cristo, ma suoi "vicari", perché Egli è l’unico vero sacerdote, che agisce per mezzo dei suoi ministri (degni o indegni che siano!).
La descrizione conciliare della liturgia parla di segni sensibili, non "materiali". Prima, a proposito di sacramenti si parlava di "materia" e "forma", anche là dove non c’è un elemento materiale (se nel battesimo c’è l’acqua, nell’eucaristia il pane e il vino, nella cresima e altri sacramenti c’è l’olio, non c’è materia nella penitenza o nel matrimonio"), ma ci sono segni sensibili, quali i gesti o le parole. Questi segni non hanno valore per se stessi, come se fossero magici, ma in quanto significano (a livello di simbolo!) una realtà, che rendono presente. Il testo dice: "significano e realizzano".
Tale "realtà" è l’opera di Gesù Cristo. Essa ha avuto ed ha due direzioni e due finalità: una discendente e una ascendente. Egli è il Verbo di Dio che è disceso "dal cielo" per la redenzione (ossia il riscatto) e la santificazione dell’uomo. La liturgia opera, attraverso i segni una tale opera nei confronti dell’uomo: egli viene riportato "alla santità della sua prima origine". Ma Cristo Gesù, in quanto uomo, fa salire verso Dio Padre, una glorificazione perfetta. Solo Lui, in quanto obbediente in tutto, ha potuto in modo adeguato e perfetto dare gloria a Dio, e in questo modo ci rappresenta tutti, in quanto capo di un unico corpo.
Questa duplice finalità viene significata e realizzata in ogni azione liturgica. In alcune prevale la dimensione discendente o santificatrice, in altre quella di glorificazione. Per es.: quando vado a confessarmi, lo faccio per essere santificato, ma contemporaneamente glorifico (= confesso) Dio e la sua misericordia; quando in coro cantiamo la liturgia delle Ore, lo facciamo per glorificare Dio, ma allo stesso tempo ci santifichiamo, parlando con Lui.
Non saprei se, nella celebrazione eucaristica, prevale l’uno o l’altro aspetto, essendo essa una preghiera eucaristica che rende presente l’opera di Cristo nella sua globalità.
Ildebrando Scicolone