E’ un’età in cui correre rischi significa accettarsi, farsi accettare e trionfare rispetto alle ansie, alle paure e al senso di inadeguatezza, che accompagnano questa fase della vita.
L’adolescenza è caratterizzata da una generale tendenza a manifestare la sofferenza psichica attraverso il cosiddetto acting-out, cioè la scelta inconsapevole di agire, non potendo esprimere il proprio disagio in altro modo. I comportamenti a rischio possono essere anche un tentativo di mettere alla prova le proprie capacità in fatto di abilità o di competenza psicofisica.
Il periodo di maggiore rischio per l’iniziazione all’uso di alcool è fra gli 11-15 anni e per i cannabinoidi fra i 15 e i 17 anni come per l’eroina dai 18 ai 25 anni.
Il 30% dei consumatori adolescenti di alcol è da considerarsi "problematico", anche se solo una parte minima di questi hanno un rapporto d’uso abituale e pesante.
Il rischio in Italia.
Per il 90% dei ragazzi fra i 14 ed i 22 anni di Roma, Napoli e Milano intervistati in profondità da psicologi, il rischio è soprattutto una sfida personale, un modo per definire se stessi, un’auto-affermazione.
Le motivazioni.
Si rischia per essere notati (90%) o per sentirsi parte di un gruppo (80%), ma anche per vincere la paura (70%).
Le situazioni.
Nella maggior parte dei casi si rischia quando si è in compagnia (90%) o per combattere un momento di sconforto (70%), molto meno quando ci si sente felici (60%) o soli (50%).
I comportamenti.
I ragazzi italiani ritengono più rischiosi quei comportamenti che creano problemi nelle relazioni interpersonali (contrapporsi ai genitori, sfida con altri giovani, emularsi) (70%), seguiti lontano dall'assunzione di sostanze (che alcuni associano ai precedenti) e dalla guida pericolosa (circa la metà dei ragazzi intervistati).
Dalle testimonianze dei ragazzi intervistati che hanno vissuto esperienze di rischio traumatiche, emerge che il rischio è un modo per superare i propri limiti, per colmare un vuoto interiore, per crearsi un'identità. Molto spesso i giovani reputano gli eventi vissuti, come una fatalità o una fonte di eccitazione. Da queste affermazioni si deduce una enorme fragilità , un deficit strutturale.
Secondo questi i ragazzi, il mondo degli adulti non ha possibilità di incidere sui loro comportamenti a rischio perché "nessuno può aiutarti ad evitare il rischio".
Questa è una convinzione che, a vari livelli, ritorna in tutti gli adolescenti quando si parla di prevenzione. I giovani mostrano sfiducia nei confronti delle campagne di prevenzione: "perché, dicono, non considerano le vere motivazioni alla base di una decisione rischiosa, né mettono in risalto i danni psicologici - accanto a quelli fisici - di un dato comportamento".
I messaggi ritenuti più efficaci sono quelli non impositivi, che non danno valutazioni, preferibilmente ironici e affermativi; i messaggi repressivi e negativi vengono rifiutati.
Il rischio in Europa.
Per i giovani europei fra i 14 e i 22 anni di Francia, Germania, così come per i loro coetanei italiani, il rischio è essenzialmente una sfida positiva. Al contrario, per gli spagnoli il concetto è duplice: da una parte il pericolo e dall'altra il divertimento. In Grecia il rischio viene percepito come uno strumento di crescita personale, mentre i ragazzi britannici lo collegano all'eccitazione e ad una "botta di adrenalina". In tutti i casi al rischio viene associata comunque la ricerca di esperienza o la crescita individuale. A differenza dell'Italia, dove si rischia per essere notati e far parte di un gruppo, la ricerca di esperienze è la molla che fa scattare la decisione in Francia, mentre i giovani greci e britannici sostengono che il rischio è parte integrante dell'essere giovani.
Per quanto riguarda i comportamenti che i giovani considerano maggiormente a rischio, l'uso di droghe ricorre praticamente in tutti i Paesi, fatta eccezione per l'Italia, dove nella gerarchia prevale la problematica relazionale, ed il Regno Unito, dove i comportamenti sono più legati ad un rischio immediato (violenza fisica, risse, camminare sui parapetti dei ponti o sui bordi dei porti) che non ad un comportamento con conseguenze a più lungo termine.
a cura di Cristiana Gatto e Francesca Silvi - Psicologhe