Nelle domeniche 23 e 30 gennaio, la liturgia festiva ha proposto due brani consecutivi di un unico episodio dal Vangelo di Luca (Lc 4,14-21 e 4,21-30) in cui si racconta l’inizio della predicazione di Gesù secondo questo evangelista. E’ un racconto fondamentale per capire il ritratto di Gesù che Luca vuole far emergere lungo tutto il suo Vangelo. Trattandosi di due passi letti e ascoltati da poco, quindi facilmente richiamabili anche alla nostra memoria, li prendo come punto di partenza per questo contributo, che spero possa essere utile per seguire meglio il prosieguo del Vangelo di Luca che caratterizza questo anno liturgico.
[La trattazione seguente si rifà a B. Ehrman, Il Nuovo Testamento. Un’introduzione, Carocci, Roma 2015 (or. Oxford 2012), pp. 146-171].
E’ una caratteristica dei Vangeli di Matteo, Marco e Luca il fatto di fissare alcuni aspetti essenziali del “ritratto” di Gesù attraverso il modo in cui descrivono l’inizio della sua predicazione:
- Marco, con il racconto della “giornata di Cafarnao” (Mc 1,21-45), vuole mostrare che Gesù è un maestro e un guaritore autorevole;
- Matteo, che apre la parte sulla predicazione di Gesù con il “discorso della montagna” (Mt 5-7), raffigura Gesù come un nuovo Mosé portatore dell’interpretazione autorevole della Legge di Dio;
- in Luca la predicazione di Gesù comincia con l’episodio della sinagoga di Nazaret (Lc 4,14-30), in cui Gesù tiene un discorso che prima stupisce e poi fa infuriare i suoi compaesani, che cercano addirittura di farlo fuori.
Esaminiamo questo episodio narrato da Luca.
Nella sinagoga di Nazaret
Nella sinagoga di Nazaret a Gesù viene data la possibilità di leggere e commentare la Scrittura. Legge un passo dal libro di Isaia in cui il profeta sostiene di essere unto dallo Spirito di Dio per portare ai poveri il lieto annuncio, proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi,e proclamare l'anno di grazia del Signore (4,18-19). Poi si siede e comincia a dire che quanto detto dal profeta è giunto a compimento, sottintendendo con lui (Allora cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato": 4,21). Tutti nella sinagoga rimangono increduli: in fin dei conti, tutti sanno (o pensano di sapere) chi è Gesù ("Non è costui il figlio di Giuseppe?": 4,22). Gesù comprende la loro reazione: vogliono che dimostri chi è con dei miracoli come ha fatto a Cafarnao: Certamente voi mi citerete questo proverbio: "Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!": 4,23 (anche se questo particolare sembra fuori posto, perché, diversamente da Marco e Matteo, in quanto raccontato fin qui da Luca Gesù non è ancora andato a Cafarnao e non ha ancora operato miracoli). Gesù risponde con un discorso in cui cita due storie dalle Scritture ebraiche che riguardano due profeti mandati da Dio non agli ebrei ma a pagani (Elia e la vedova di Sarepta, Eliseo e il siro Naaman). Il messaggio di Gesù agli ebrei di Nazaret riuniti in sinagoga è chiaro: anch’egli è un profeta di Dio che non riceverà buona accoglienza fra la sua gente (In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria: 4,24), e il suo messaggio sarà portato ai pagani.
Questo discorso di Gesù appare così un fallimento: i presenti nella sinagoga si sollevano sdegnati contro di lui e vorrebbero addirittura ammazzarlo facendolo precipitare dal ciglio di un monte; ma Gesù riesce a fuggire e lascia Nazaret portando altrove il suo messaggio.
Per Luca questa reazione segna l’inizio del compimento del discorso appena fatto da Gesù: il profeta di Dio è osteggiato dal suo stesso popolo. E questo è la base dell’idea che Luca svilupperà nel corso del Vangelo e poi nel secondo libro della sua opera, cioè negli Atti: la salvezza di Gesù andrà al di là di Israele e si aprirà al mondo intero.
Gesù il profeta
Dunque, Luca vede Gesù anzitutto come un profeta mandato da Dio al suo popolo. Per gli ebrei un profeta non era una persona che faceva previsioni su eventi futuri, ma un portavoce di Dio, un messaggero mandato da Dio al suo popolo. Se nelle Scritture i profeti fanno delle previsioni (spesso disastrose), è per avvertire che se il popolo non si pente e non comincia a vivere secondo la Legge di Dio, dovrà aspettarsi dei disastri.
Gesù, profeta in vita.
Anche Matteo e Marco vedono in Gesù un profeta. Luca però accentua particolarmente il ruolo profetico di Gesù come portavoce di Dio che viene rifiutato dal suo stesso popolo. Ciò appare chiaro non solo nell’episodio che inaugura il ministero di Gesù, quello nella sinagoga di Nazaret, ma anche in numerosi altri episodi raccontati solo da Luca.
Il carattere profetico di Gesù è evidente già anche prima della scena del rifiuto a Nazaret: nel Vangelo di Luca Gesù già nasce come un profeta. La narrazione della nascita in Lc 2 è ricalcata sul racconto anticotestamentario della nascita del profeta Samuele (1Sam 1-2): in entrambi i casi una donna ebrea devota concepisce inaspettatamente, per la gioia e lo stupore dei suoi congiunti, e risponde con un canto di lode al Dio di Israele che esalta gli umili e umilia i superbi (basta mettere a confronto il cantico di Anna in 1Sam 2,1-10 con il Magnificat di Maria in Lc 1,46-56).
Poi – come si è visto nell’episodio della sinagoga di Nazaret – quando comincia la sua predicazione, Gesù sostiene esplicitamente di essere unto come un profeta che proclama il messaggio di Dio al suo popolo.
Ma in Luca Gesù non solo predica come un profeta, ma come un profeta compie anche miracoli. Soltanto Luca, ad esempio, riferisce di Gesù che risuscita l’unico figlio di una vedova di Nain (Lc 7,11-17), racconto che riecheggia chiaramente il miracolo attribuito nella Bibbia ebraica al profeta Elia di cui si dice che avrebbe risuscitato l’unico figlio di una vedova di Sarepta (1Re 17,17-24); la somiglianza dei due eventi non sfugge a quanti hanno assistito al fatto di Nain: Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: "Un grande profeta è sorto tra noi" (Lc 7,16).
Gesù, profeta nella morte.
In Luca Gesù non solo nasce come un profeta, non solo predica e guarisce come un profeta, ma muore anche come un profeta.
Secondo una tradizione a lungo diffusa tra gli ebrei, parecchi dei loro profeti più grandi – tanto quelli di cui si raccontavano le storie nelle scritture (per esempio Elia ed Eliseo) quanto quelli che erano essi stessi autori di testi scritturali (per esempio Geremia, Ezechiele e Amos) – avevano incontrato l’opposizione violenta, talvolta sfociata nel martirio, del loro stesso popolo. Nel Vangelo di Luca Gesù si colloca in questa discendenza profetica. In Lc 13,32-34 egli compiange Gerusalemme, anticipando che lì patirà il suo destino di profeta:
"Andate a dire a quella volpe: "Ecco, io scaccio demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno la mia opera è compiuta. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme".
Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!
La consapevolezza che Gesù ha di dover morire come un profeta spiega anche alcuni degli aspetti peculiari del racconto della Passione nel Vangelo di Luca; aspetti che risaltano bene se confrontiamo la narrazione di Luca con quella, a lui precedente, di Marco.
Nel racconto della Passione secondo Marco Gesù sembra nutrire fino all’ultimo qualche dubbio sulla necessità della propria morte. Certo, predice che presto morirà e a un certo punto spiega anche perché sia necessario (Il Figlio dell'uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti: Mc 10,45); ma quando giunge il momento, sembra lacerato da dubbi (ad esempio, nel Getsemani prega per capire se è possibile evitare quella fine drammatica).
Non c’è traccia di incertezza, invece, nel racconto di Luca. Qui Gesù sa benissimo di dover morire e non mostra timore né esitazione. E’ interessante, a tale proposito, un confronto tra le narrazioni di Marco e di Luca su ciò che Gesù fa prima di essere arrestato nel Getsemani:
- nel racconto di Marco cominciò a sentire paura e angoscia (Mc 14,33); la versione di Luca non accenna ad alcuna paura;
- in Marco Gesù dice ai suoi discepoli che la sua anima è triste fino alla morte (Mc 14,34), parole che non si trovano in Luca;
- in Marco lascia i discepoli e, andato un po' innanzi, cadde a terra e pregava (Mc 14,35); in Luca si inginocchia (Lc 22,41);
- in Marco prega più volte che, se fosse possibile, passasse via da lui quell'ora. E diceva: "Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! (Mc 14,35-36); in Luca chiede solo una volta e premette alla sua preghiera “se vuoi” (Lc 22,42).
Quindi, se confrontato con quello di Marco, il Gesù di Luca non sembra essere preso da un’angoscia lancinante su ciò che gli sta per succedere.
Però, nel mezzo della scena raccontata da Luca, c’è un passo che presenta un Gesù in profonda angoscia: Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo4Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra ( Lc 22,43-44).
Il problema è se questi due versetti furono originariamente scritti da Luca o furono aggiunti successivamente da qualche scriba che provava disagio di fronte al fatto che Gesù non sembra preoccupato del suo destino. Il problema si pone perché questi versetti sono assenti in alcuni tra i più antichi e autorevoli manoscritti del Nuovo Testamento (tra cui: Papiro P75, Codice Sinaitico, Cod. Vaticano, Cod. Alessandrino) e perciò in molte edizioni critiche del testo dei Vangeli sono posti tra parentesi quadre (segno convenzionale in filologia per indicare parole o frasi sulla cui presenza nel testo originale l'editore dubita) a indicare che gli studiosi autori dell’edizione critica pensano che non facessero parte in origine del Vangelo di Luca ma che siano stati aggiunti in seguito. Se quegli antichi manoscritti hanno ragione e i versetti in questione non sono originali, allora nel racconto di Luca Gesù rimane calmo e nel pieno controllo di sé, sicuro della benevolenza di Dio e capace di affrontare il proprio destino con fiducia e animo fermo.
[E’ però corretto precisare che secondo vari studiosi e commentatori del Vangelo i versetti in questione vanno tenuti come originali, e la loro assenza in autorevoli antichi manoscritti sarebbe da attribuire alla scelta di certi copisti restii di fronte a un’immagine troppo umana di Gesù].
Il fatto è che la stessa differenza tra Marco e Luca nella rappresentazione dell’atteggiamento di Gesù appare anche nei racconti della crocifissione.
- Nel Vangelo di Marco Gesù rimane in silenzio dal processo davanti a Pilato fino a poco prima di morire (Mc 15,5-33). Le sue uniche parole giungono proprio alla fine, quando ormai tutti – i discepoli, i capi giudei, la folla, le autorità romane, i passanti e gli altri due crocifissi con lui – lo hanno tradito o negato o condannato o deriso o dimenticato; solo allora grida: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. E muore.
- Luca dipinge un ritratto molto diverso dell’agonia di Gesù. Anzitutto Gesù non rimane in silenzio sulla strada verso il Calvario. Quando vede un gruppo di donne che piangono per lui, le invita a piangere piuttosto su loro e sui loro figli (Lc 23,27-31). Non sembra cioè sconvolto da quanto gli sta capitando, la sua preoccupazione è il destino di queste donne. Questi accenti di fiducia e di interesse per gli altri risuonano anche più avanti: mentre è inchiodato sulla croce, anziché rimanere in silenzio, chiede perdono per coloro che gli stanno facendo del male (Lc 23,34); e mentre è sulla croce, dialoga con uno dei malfattori crocifissi con lui e con fiducia gli assicura che sarà con lui in paradiso (23,39-43). E nel finale – mentre in Marco Gesù appare disperato, dimenticato perfino da Dio – in Luca muore nella piena certezza dell’amore e del favore divino: non grida angosciato, ma pronuncia una preghiera di piena fiducia in Dio (23,46).
Si tratta di differenze importanti, la cui rilevanza non va minimizzata, come se le immagini di Gesù offerte da Marco e da Luca potessero semplicemente sommarsi e mescolarsi a produrre un’unica immagine omogenea. Il lettore (o il commentatore o il predicatore) che mette insieme i due racconti, pensando che Gesù sulla croce abbia detto sia le cose che riporta Marco che quelle che riporta Luca, crea una sorta di suo racconto, crea un Vangelo diverso, un Vangelo che non è né quello di Marco né quello di Luca.
In realtà Marco ha un suo modo personale di raffigurare Gesù e Luca un altro: in Marco Gesù alla fine è davvero in agonia, in Luca muore in serena fiducia. A ciascun evangelista premeva enfatizzare un aspetto importante della morte della Gesù. Per Luca Gesù era morto come un martire giusto e innocente e in quanto profeta sapeva che ciò sarebbe accaduto.
La morte di Gesù in Luca
A conferma di questa idea di Luca ci sono gli eventi che egli racconta alla fine della scena della crocifissione: lo strappo del velo del Tempio e la confessione del centurione (Lc 23,44-47).
Luca (come Matteo) riprende da Marco questi due elementi, ma li racconta in modo assai diverso:
- il “velo” [= in realtà una delle due tende che erano nel tempio di Gerusalemme: uno stava davanti all’altare dell’incenso, dove i sacerdoti accedevano ogni giorno; l’altro separava la zona riservata ai sacerdoti da quella del Santo dei Santi, nel quale poteva entrare solo il sommo sacerdote una volta all’anno nel giorno dell’Espiazione; una tenda, quest’ultima, che, secondo le informazioni dello scrittore ebreo Giuseppe Flavio, era alta, molto spessa e pesante] si strappa, ma non dopo che Gesù è morto (come dice Mc 13,37-38), bensì prima, quando per tre ore si fa buio (Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Detto questo, spirò: Lc 23,44.46). Gli studiosi hanno dibattuto a lungo sul significato di questa differenza tra Marco e Luca, e la maggior parte di loro ritiene che per Luca lo squarcio della tenda non voglia dire che la morte di Gesù apre l’accesso a Dio (come sembrerebbe significare il racconto di Marco), perché qui il “velo” si strappa prima che Gesù muoia, ma voglia dire che Dio è venuto a giudicare il suo popolo: il “velo” strappato accompagna l’inquietante oscurità come segno del giudizio di Dio;
- in Luca il centurione non fa professione di fede nel Figlio di Dio che deve morire, come gli fa dire Marco (Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: "Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!": Mc 15,39), ma si esprime con parole che coincidono con l’idea che Luca ha della morte di Gesù: “Veramente quest'uomo era giusto" (Lc 23,47). Per Luca Gesù muore come un uomo giusto, un martire che subisce un’ingiustizia; ma la sua morte sarà ribaltata da Dio con la risurrezione.
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