di Dario Vota
Premessa
Il racconto dell’adorazione dei Magi (Mt 2,1-12), fa da base alla solennità dell’Epifania del Signore.
Nelle omelie e nei commenti esegetico-spirituali quasi sempre la vicenda narrata è assunta come un dato scontato, un fatto che va preso com’è raccontato, che così veicola facilmente dei significati teologici e spirituali da cui trarre indicazioni per i nostri atteggiamenti di fede.
Raramente si prova ad affrontare, o anche solo a segnalare en passant, il problema della storicità del racconto, limitandosi a qualche generica considerazione apologetica o a qualche accenno a vecchie quanto ricorrenti ipotesi di spiegazione la cui pretesa “scientificità” è decisamente forzata (in entrambi i casi, comunque, per difendere l’esistenza di una base storica del brano), quasi mai riconoscendo esplicitamente che la vicenda in esso narrata attiene a un campo diverso da quello della storia.
Non sarebbe il caso, invece, di affrontare con chiarezza il problema, anche per distinguere tra ciò che in quel racconto può aiutare la nostra riflessione di fede (il messaggio teologico e spirituale) e ciò che invece non l’aiuta affatto (l’ostinazione a difendere un’indifendibile storicità della vicenda narrata)?
Il testo di Mt 2,1-12
(traduzione CEI, accolta nella liturgia)
2 1Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2e dicevano: "Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo". 3All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo.
5Gli risposero: "A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
6E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo
che sarà il pastore del mio popolo, Israele".
7Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8e li inviò a Betlemme dicendo: "Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo".
9Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. 11Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.
Le basi del problema
Il problema della storicità di Mt 2,1-12 si basa su due domande essenziali:
- dei “Magi” di origine orientale sono realmente andati a Gerusalemme e Betlemme poco dopo la nascita di Gesù?
- la “stella”, che si racconta aver fatto loro da guida, è stato un fenomeno reale?
Il problema della storicità si collega a quello della composizione del racconto:
- se il racconto ha alla base eventi realmente accaduti, l’evangelista lo ha composto perché nella storicità di quegli avvenimenti c’era già il messaggio di fede da esprimere;
- ma se il racconto non ha alla base eventi realmente accaduti, perché l’evangelista ha costruito un racconto con quelle vicende? Cosa rappresentano? Qual è il loro significato?
Ma il problema della storicità di questo brano è legato anche al più ampio problema dello statuto dei racconti dell’infanzia di Mt 1-2: rientrano nell’ambito della storia (nel senso moderno della parola) o in quello della finzione finalizzata a trasmettere un messaggio?
Un tempo, in ambito cattolico, la storicità del racconto dei Magi era accettata senza problemi, non solo, in generale, per la fiducia nella realtà storica di tutto quanto narrato nei Vangeli, ma, in particolare, anche perché si accoglievano come prove d’appoggio alla storicità alcune ipotesi di spiegazione “scientifica” di aspetti del racconto (es. la “stella” come fenomeno astronomico reale). Poi – circa da metà anni Sessanta del secolo scorso – non solo storici di ambito accademico laico ma anche esegeti di chiaro orientamento ecclesiale hanno cominciato a mettere in dubbio e anche a rifiutare la storicità del racconto, senza che questo attirasse i rimproveri dell’autorità ecclesiastica, anche perché la discussione su questo problema non toccava e non tocca questioni dogmatiche o comunque aspetti essenziali per la fede. Cosa, quest’ultima, che è opportuno sottolineare per capire che l’indagine sulla storicità del racconto dei Magi può svolgersi, anche per un credente, su un terreno libero da questioni dogmatiche e da percorrere secondo i criteri scientifici della ricerca storica.
Cos’ha portato, almeno da mezzo secolo a questa parte, non solo accademici laici ma anche numerosi esegeti di ambito ecclesiale a discutere e anche a rifiutare la storicità del racconto dei Magi? E’ stato essenzialmente un modo di accostare e leggere i testi evangelici più attento a come essi si sono formati e a quali erano le intenzioni e gli scopi degli evangelisti. Questo ha fatto emergere considerazioni come, tra le altre, le seguenti.
1) C’è una differenza fondamentale tra i racconti evangelici sulla vita pubblica di Gesù e quelli sull’infanzia, e per più motivi:
- i racconti dell’infanzia (Mt 1-2 e Lc 1-2) sono relativamente isolati in Mt e Lc: sono composizioni che hanno origine da tradizioni differenti da quelle che si trovano nel resto dei Vangeli;
- la prima predicazione cristiana (quale ricostruibile dai suoi riflessi nei Vangeli, nei discorsi degli Atti e nelle antiche formule di fede e negli inni delle lettere di Paolo e di altri scritti del Nuovo Testamento) non conosce nulla degli avvenimenti dei racconti dell’infanzia;
- per i racconti sulla vita pubblica di Gesù gli evangelisti poterono raccogliere informazioni e materiali costruiti partendo dall’annuncio fatto da testimoni oculari; invece sugli eventi legati alla nascita e all’infanzia di Gesù, quando presero forma (più tardi rispetto ai materiali sulla vita pubblica) le tradizioni sull’infanzia che sono all’origine di Mt 1-2 e Lc 1-2, praticamente tutti i testimoni erano ormai scomparsi (è teoricamente possibile che Maria o qualche membro del clan parentale di Gesù siano stati fonte di alcune informazioni sull’infanzia di Gesù, ma è impossibile fare di loro la fonte diretta di come sono poi stati costruiti i racconti evangelici sull’infanzia: basti pensare alle differenze contraddittorie su alcuni punti importanti tra Mt e Lc);
- lo storico deve perciò essere molto cauto nell’attribuire una patente di storicità ai racconti dell’infanzia: questi sono in larga parte prodotti della riflessione cristiana antica sul significato salvifico di Gesù Cristo, riflessione la cui tesi teologica principale è che ciò che Gesù Cristo rivelò pienamente di essere con la risurrezione (Figlio di Dio per la potenza dello Spirito Santo) lo era già veramente fin dal suo concepimento.
[A chi volesse approfondire l’argomento per un primo approccio storico ai racconti dell’infanzia, consiglio di attingere al sempre fondamentale J. P. Meier, un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. 1 – Le radici del problema e della persona, Brescia (Queriniana) 2001 (or. New York 1991), pp. 193-238, primo tomo – ma il più abbordabile – di un’opera monumentale in (per ora) 5 volumi, pubblicati tra 1991 e 2016, lavoro basilare di riferimento per qualunque ricerca sul Gesù storico]
2) Più in generale, i Vangeli non sono anzitutto opere storiche nel senso moderno del termine; il loro scopo primario è di annunciare e consolidare la fede in Gesù, Figlio di Dio, Signore e Messia; il loro modo di presentare i fatti viene dalla fede. In questa prospettiva i racconti evangelici dell’infanzia vanno letti non per cercarvi la storicità ma per il loro messaggio teologico e antropologico; obiettivo dei loro autori non era di presentare vicende storicamente esatte, ma di costruire un racconto capace di nutrire la riflessione dei credenti.
La “stella”
Già nell’antichità cristiana la natura di questa “stella”aveva suscitato vari interrogativi nei commentatori dei Vangeli. Gli antichi non erano ignoranti in materia di astronomia: distinguevano bene pianeti (di cui conoscevano i movimenti periodici), stelle (che osservavano volgere in modo costante attorno alla terra polare) e comete. Ma la “stella” di Mt 2 non rientrava in alcuna di queste categorie astronomiche: capace di avanzare a lungo nella stessa direzione, di sparire per un certo tempo, poi di riapparire e di fermarsi, un astro di tal genere difficilmente poteva esistere nell’astronomia reale; il suo caso, più che nell’eccezionale, sembrava rientrare nel meraviglioso.
Ma se già tra gli antichi c’era chi esprimeva dubbi, si fa fatica a credere che i moderni esegeti dei Vangeli si siano per tanto tempo concentrati sul problema della storicità di questa “stella”, tentando in vari modi di difenderla e spiegarla come fenomeno reale. Un tale atteggiamento poteva essere comprensibile in tempi in cui si credeva con fede cieca che “la Bibbia aveva ragione”, ma non dovrebbe più essere il caso di oggi. Eppure c’è ancora oggi chi – magari fornito di notevoli conoscenze astronomiche o matematiche, ma a digiuno dei più recenti approcci storico-critici sui Vangeli – si ostina a difendere, con ipotesi anche ingegnose, la storicità della “stella” (ipotesi però che, va detto, hanno ben poca considerazione nelle sedi degli studi specialistici sui Vangeli).
Tra le molte ipotesi che vorrebbero confermare la realtà storica della “stella”, basti qui citarne alcune ed esaminare poi la più nota: un pianeta particolarmente luminoso (es. Venere al suo massimo di luminosità), una cometa (es. quella di Halley, che si sa essere stata visibile nell’anno 12 a.C.), una congiunzione planetaria particolarmente brillante (Giove e Saturno molto vicini e luminosi tra 7 e 6 a.C.), una nova (con il suo improvviso e forte aumento di luminosità). Nessuna di queste ipotesi però spiega i vari aspetti della “stella” del racconto di Mt 2, e tutte sembrano convincere… chi è già convinto in partenza.
Vediamo solo l’esempio più noto.
L’ipotesi della congiunzione planetaria (fenomeno per cui due pianeti, dal punto di vista di un osservatore terrestre, sembrano avvicinarsi tanto da apparire come se fossero un’unica “stella”) ha almeno 400 anni: la propose ai primi del ‘600 il noto astronomo e matematico tedesco Johannes Kepler (Keplero), il quale la notte del 17 dicembre 1603, con l’ausilio di un rudimentale telescopio, osservò l’avvicinarsi di due pianeti, Giove e Saturno; due anni dopo ebbe modo di osservare una supernova (l’esplosione di una stella di grande massa, che libera un’enorme energia e produce una forte luminosità). Affascinato dall’idea che ci fosse una relazione fra una congiunzione planetaria e l’apparire di una nuova stella o di una forte luminosità stellare, Keplero suppose che dopo essere stati guidati in Giudea da una congiunzione planetaria, i Magi avessero assistito a una supernova che brillava in cielo quando raggiunsero Betlemme. Egli calcolò che si era verificata una congiunzione di questo tipo nel 7 a.C., dunque in data vicina a quella comunemente più accettata oggi per la nascita di Gesù.
Su questa ipotesi di Keplero si è speculato più volte, ancora nel corso del Novecento, variamente riproponendola come spiegazione scientifica della “stella” dei Magi: poiché la congiunzione tra Giove e Saturno avvenne tre volte nel corso del 1603, la stessa cosa potrebbe essersi verificata nel 7 a.C. e ad essa si sarebbero ispirati i Magi, anche perché la durata della triplice congiunzione occupò vari mesi, cosa compatibile con l’organizzazione di un lungo viaggio come quello dei Magi stessi.
L’ipotesi ha avuto fortuna e compare talvolta ancora, soprattutto in sedi divulgative o in articoli anche specialistici in cui zelanti difensori della storicità della “stella di Betlemme” si profondono in complessi calcoli astronomici. In realtà già ai primi del secolo scorso, dunque più di 100 anni fa, era stata contestata a livello di studi astronomici con la considerazione che nel caso della congiunzione di Giove e Saturno avvenuta nel 7 a.C., i due pianeti apparivano nel cielo vicini sì, ma comunque separati da una distanza a occhio nudo pari a due volte il diametro della luna, quindi non certo così ravvicinati da poter sembrare una stella unica.
Dire che la scienza offra prove che la “stella di Betlemme” corrisponda a un preciso fenomeno astronomico è un’affermazione oggi indifendibile.
La stella e la visita dei Magi: racconto simbolico più che storico
La tendenza attuale maggioritaria tra gli studiosi è di togliere la “stella di Betlemme” dal mondo dell’astronomia reale per considerarla come un motivo di finzione al servizio di un messaggio; così l’intero racconto dei Magi è da considerare un “racconto teologico”, da accostare con un’interpretazione di tipo simbolico.
Per giustificare questa affermazione, bisogna anzitutto notare che quello della stella è un motivo ricorrente nei racconti antichi legati a grandi personaggi, basato sulla credenza, largamente diffusa nell’antichità, che la nascita e la morte di quei grandi fossero indicate da segni celesti. In particolare, l’apparizione di una stella in occasione della nascita di un personaggio eccezionale è un topos classico della letteratura antica: la stella come simbolo di un sovrano, la cui comparsa saluta un avvenimento decisivo legato a lui (così, ad esempio, in un racconto sulla morte di Alessandro magno o in uno sulla nascita di Augusto). Ma anche il pensiero ebraico antico conosceva il valore simbolico della stella: un esempio tipico è nella Bibbia, nella “profezia di Balaam” (Nm 24,15-19: l’indovino, chiamato per maledire gli Israeliti, pronuncia invece degli oracoli in loro favore, tra cui il celebre passo: una stella spunta da Giacobbe, uno scettro sorge da Israele, interpretato come preannuncio messianico).
Ben noto, dunque, nella cultura greco-romana ed ebraica, tale motivo era adattissimo come simbolo di annuncio della nascita di un Salvatore. Così in Mt 2, in cui la stella gioca anche il ruolo di guida della strada per visitatori stranieri, quei “Magi” che, in quanto considerati specialisti di astronomia, astrologia e divinazione (nozioni che nell’antichità si mescolavano e si confondevano), erano le figure privilegiate per interpretare un segno astrale. Ecco come i due motivi, la stella e i Magi orientali, sono legati e diventano elementi costitutivi del racconto.
E’ evidente allora come il racconto di Mt 2 non appartenga al campo della storia ma a quello dell’immaginario, perché si ha a che fare con un messaggio espresso attraverso immagini simboliche.
La costruzione dei racconti dell’infanzia
Ma tutto l’insieme dei “racconti dell’infanzia” di Mt 1-2 è costruito sull’uso di elementi simbolici di varia derivazione.
Il fatto è che un evangelista (sia Matteo che Luca, che scrissero, secondo l’opinione oggi più accreditata, tra l’80 e il 90 d.C.) intenzionato a scrivere sull’infanzia di Gesù non disponeva di elementi storicamente sicuri su cui basarsi, per mancanza di fonti a cui attingere. Infatti, come si è già accennato, quando presero forma le prime tradizioni sull’infanzia (le prime, perché altre se ne aggiunsero più tardi ancora, in alcuni Vangeli apocrifi) che sono all’origine di Mt 1-2 e Lc 1-2 – cioè in anni difficilmente precedenti al 70 d.C., data attorno alla quale venne scritto il Vangelo di Marco, il primo Vangelo messo per scritto, che non dice nulla sull’infanzia di Gesù – tutti i testimoni, quanti cioè potevano aver avuto conoscenza di episodi della nascita e dell’infanzia di Gesù (ma che, oltretutto, difficilmente potevano ritenere importante ricordarli, data la scarsa considerazione che si aveva nell’antichità per i bambini e per le loro vicende), erano ormai scomparsi, e la prima predicazione cristiana, come già detto, non conteneva nulla di ciò che è narrato nei racconti dell’infanzia.
In altre parole, se Matteo voleva scrivere su nascita e infanzia di Gesù, doveva costruire dei racconti su qualche elemento per lo più leggendario che aveva cominciato da poco a formarsi (più per curiosità sulla vita “nascosta” di Gesù che per altro, come è evidente dai più tardi vangeli apocrifi sull’infanzia) attorno ad alcuni riferimenti isolati o molto generici (il tempo del re Erode e poi di suo figlio Archealo, Maria e Giuseppe tra Betlemme e Nazaret, la vicinanza della Giudea ai confini dell’Egitto), che andavano particolareggiati e intrecciati con motivi e immagini funzionali a un messaggio teologico (e non a un resoconto storico, che non era nelle intenzioni dell’evangelista).
[Su quanto appena accennato circa la curiosità sulla vita “nascosta” di Gesù, nata più tardi rispetto alla prima diffusione dell’annuncio su Gesù da parte dei primi gruppi di suoi seguaci, è opportuno ricordare che nei primi tempi dell’annuncio, per trasmettere i contenuti essenziali del messaggio cristiano, l’attenzione si era focalizzata su ciò che Gesù aveva detto e fatto durante il suo ministero pubblico. Gli interrogativi e le curiosità sugli aspetti della vita privata del maestro, in particolare sulla sua infanzia e giovinezza, si manifestarono solo più tardi. E poiché nelle prime raccolte di scritti non si parlava di questi aspetti (ad es. la fonte Q, una raccolta di detti e discorsi di Gesù, non conteneva alcun racconto di vicende, tantomeno riguardo all’infanzia; il Vangelo di Marco, il primo messo per scritto, inizia con la predicazione del Battista e il battesimo di Gesù e non considera minimamente la vita “nascosta” del maestro), i racconti elaborati per colmare questa lacuna non potevano che essere finzioni].
A questo scopo – costruire narrazioni fittizie sull’infanzia di Gesù funzionali a un messaggio teologico – motivi come quello della stella e dei Magi orientali, con il loro valore simbolico si offrivano come basi adatte a cui aggiungere vari elementi di origine biblica. Tra questi, tre citazioni testuali: in Mt 2,6 la citazione di Is 7,14 messa in bocca ai capi dei sacerdoti e agli scribi su Betlemme come luogo di nascita del Cristo; in Mt 2,17 la citazione di Os 11,1 per il ritorno dall’Egitto della Santa Famiglia; in Mt 2,18 la citazione di Ger 31,15 del pianto di Rachele nel racconto del massacro dei bambini.
L’uso di queste citazioni da parte di Matteo si può spiegare in due modi molto diversi (e non compatibili tra loro):
- o l’evangelista, che ben conosceva la Bibbia ebraica, vedeva in certe vicende della vita di Gesù il compimento di annunci presenti nell’Antico Testamento, e quindi scrisse i racconti dell’infanzia come vicende vere che realizzavano i testi biblici;
- oppure l’evangelista costruì questi racconti partendo da ciò che suggerivano quei testi biblici, racconti di finzione al servizio di un messaggio teologico (che per lui contava ben più che il semplice dato biografico reale, su cui oltretutto non aveva notizie sicure o sufficienti).
Per specificare la cosa riguardo alle tre citazioni suddette:
- Matteo ha citato Is 7,14 per confermare Betlemme come vero luogo di nascita di Gesù oppure il passo di Isaia ha suggerito a Matteo di porre la nascita di Gesù a Betlemme?
- l’evangelista ha citato il passo di Os 11,1 perché lo vedeva come preannuncio del vero ritorno della Santa Famiglia da un periodo di rifugio in Egitto oppure quel passo di Osea ha suggerito a Matteo di raccontare di un angelo apparso in sogno a Giuseppe per ordinargli di ritornare?
- Matteo ha citato Ger 31,15 perché faceva pensare a un massacro di bambini effettivamente ordinato da Erode oppure quel passo ha spinto l’evangelista, a cui era ben nota la sinistra reputazione di quel sovrano, a immaginare quel massacro?
La maggior parte degli studiosi oggi adotta, sia pure con sfumature diverse, la seconda prospettiva: certi testi biblici – che, si badi bene, nel loro contesto originario avevano altro significato e altra scopo che quello di preannunciare la nascita e l’infanzia di Gesù – sono stati una fonte di ispirazione per l’evangelista, che li ha ripresi e trasformati in elementi di un racconto che non intendeva riferire vicende storiche ma trasmettere messaggi teologici sull’eccezionalità, fin dalla nascita, di Gesù come Messia e Figlio di Dio.
Più in generale, la maggior parte degli studiosi specialisti oggi riconosce che ben poco nei racconti evangelici dell’infanzia di Gesù rientra nella storia vera e propria. I soli dati che possono essere affermati con discreta sicurezza sono che un ebreo di nome Yeshûaʽ (= Gesù) nacque verso la fine del regno di Erode il Grande (dunque un po’ prima del 4 a.C.) forse a Betlemme di Giudea (ma per alcuni studiosi più verosimilmente a Nazaret di Galilea); la madre si chiamava Miryam (= Maria) e il padre (putativo) Yosef (= Giuseppe). Precisare ulteriormente questi dati non è storicamente possibile se non si vuole prendere alla lettera come storici i racconti di Mt 1-2 e Lc 1-2, che sono invece racconti teologici.
Così, tornando al racconto dei Magi, la questione non è la storicità ma l’interpretazione del loro messaggio. La vicenda del viaggio dei Magi verso Gesù è un simbolo: la saggezza del mondo che, quando è orientata alla ricerca della verità, può mettersi in cammino verso il Cristo come Messia, e, più in generale, la ricerca di chi, qualunque sia l’ambito umano o religioso di appartenenza, guarda a un Dio che si fa vicino all’uomo.
Insomma, questo testo, anche se non riflette una vicenda storica reale, può nutrire in molti modi la riflessione del credente: il Cristo si è offerto e si offre a tutti; nei “racconti dell’infanzia l’adorazione dei Magi (in Matteo) in un certo senso corrisponde all’adorazione dei pastori (in Luca): dopo gli umili, anche i benestanti del mondo intero.
E il valore di queste considerazioni teologiche sul messaggio del testo non dipende affatto dalla storicità o no del racconto. Voler continuare a presentare questi “vangeli dell’infanzia” come testi storici appare oggi un nonsenso, perché porta a chiudersi in una lettura letterale, che può sboccare in una strada senza uscita.
Una considerazione conclusiva
Se si prende il racconto dei Magi come un testo che trasmette una vicenda storica, è legittimo e coerente elaborare esercizi di spiegazione storica e scientifica degli elementi del racconto (la stella, il viaggio dei Magi, il massacro di bambini di Betlemme, ecc.); ma per farlo bisogna disinvoltamente ignorare le acquisizioni ormai correnti in gran parte della ricerca storica specialistica su Gesù e su origine e formazione dei Vangeli.
Se invece si riconosce che questo testo è un racconto teologico e non storico, dedicarsi agli esercizi di cui sopra è un gioco intellettuale, anche suggestivo, che si ha tutto il diritto di fare ma che non si può pretendere di inserire in una esegesi dei Vangeli informata alle suddette acquisizioni.