Qual è il contenuto essenziale di quel messaggio pasquale che ha tenuto in vita la fede e la liturgia di 2000 anni di cristianità e che costituisce sia l'origine storica sia il fondamento concreto della fede cristiana?
Al di là delle differenze nei racconti pasquali in ordine a luoghi e tempi, personaggi e vicende, il messaggio è: Gesù, umanamente finito in croce, vive per l'eternità presso Dio, come impegno e speranza per noi. Su questo concordano i vari testimoni del primo cristianesimo. Gli autori del Nuovo Testamento sono sorretti e affascinati dalla certezza che il Crocifisso non è rimasto nella morte, ma vive, e che quanti lo seguono con perseveranza vivranno anch'essi. La vita nuova ed eterna dell'Uno è stimolo e speranza reale per tutti.
Un messaggio sconvolgente, già allora come oggi facilmente rifiutabile (Quando sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcuni lo deridevano, altri dicevano: "Su questo ti sentiremo un'altra volta", At 17,32: questa fu la reazione degli scettici all'apostolo Paolo nell'Areopago di Atene).
Ma che significa "Gesù vive"? Che significa qui "vivere"? Che cosa si nasconde dietro i diversi modelli concettuali propri dell'epoca e dell'ambiente degli autori del Nuovo Testamento e dietro le diverse forme narrative di cui essi si servirono per esprimere la realtà di Gesù "vivente"?
1. Non un ritorno a questa vita spazio-temporale.
Il risuscitamento di Gesù non va confuso con i risuscitamenti attribuiti in certa letteratura antica a dei taumaturghi e dai Vangeli in tre casi allo stesso Gesù (figlia di Giairo, giovinetto di Nain e Lazzaro). Anche a prescindere dalla credibilità storica di tali racconti che per molti studiosi sanno più di simbolico che di reale (è significativo che Marco, il Vangelo più antico, non conosce la più sensazionale di queste "risurrezioni", cioè quella di Lazzaro), la provvisoria rianimazione di un cadavere non ha nulla a che vedere con la risurrezione di Gesù. Egli non è semplicemente tornato alla vita biologico-terrena, ma ha la morte definitivamente dietro di sé; ha varcato la soglia di una vita tutta diversa, incorruttibile, eterna, la soglia della vita di Dio (per la quale gli scritti del Nuovo Testamento fanno ricorso a formule e immagini varie.
2. Non una continuazione di questa vita spazio-temporale.
Entrare nell'eternità presuppone una nuova vita che trascende le dimensioni dello spazio e del tempo, per svolgersi nella sfera di Dio. Qualcosa di definitivamente "nuovo".
3. Assunzione nella realtà ultima.
Se non si vuole parlare per immagini, simboli e allusioni, bisogna vedere risuscitamento (risurrezione) ed elevazione (ascensione, glorificazione) come un eventi unico. Il messaggio pasquale, in tutte le sue diverse varianti, significa semplicemente che Gesù, morendo, non è scomparso nel nulla; nella morte e dalla morte è stato assunto in e da quella realtà ultima che designiamo con il nome di Dio: la morte come trapasso a Dio, ingresso nel segreto di Dio.
Morendo, Gesù è giunto a Dio. Morte e risurrezione formano un'unità differenziata. Risurrezione è entrare con la morte in Dio. Il risuscitamento avviene con la morte, dalla morte. Ma questo entrare con la morte in Dio non è un'ovvietà, uno sviluppo naturale; morte e risurrezione vanno viste nella loro diversità: la morte è dell'uomo, la risurrezione può essere solo di Dio, di Dio come realtà ultima, che accoglie l'uomo in sé, lo assume e lo salva definitivamente.
Fiducia credente, fede fiduciosa
Ma è ovvio che dietro a tutto ciò c'è una questione di fede. Qui la ragione si trova di fronte a un confine invalicabile: nessun argomento storico e scientifico può dimostrare la risurrezione, nessuna predica apologetica tradizionale (che crede di risolvere tutto con qualche definizione dottrinale) riesce convincente. Avendo a che fare con Dio, e quindi per definizione con l'Invisibile, l'Intangibile, Colui del quale non si può disporre, l'unico atteggiamento adeguato è la fiducia credente, la fede fiduciosa. Nessuna via verso il Risorto e la vita eterna può prescindere dalla fede. Il risuscitamento di Gesù non è un miracolo tale da convalidare la fede, è esso stesso oggetto di fede.
La fede nella risurrezione non è tuttavia la fede in una qualche curiosità non verificabile in cui si debba credere con un di più di fiducia; è fede in quel Dio a cui il Morto deve la risurrezione. Perciò la fede nella risurrezione non è un complemento della fede in Dio, ma una radicalizzazione della fede in Dio: una fede in Dio che non si ferma a metà strada ma va coerentemente fino in fondo. Una fede in virtù della quale l'uomo, senza prove rigorosamente razionali ma con una fiducia ragionevole, vive nella certezza che il Dio dell'inizio è anche il Dio della fine, che il Dio che ha dato inizio al mondo è anche il Dio che lo porta a compimento. Dunque: fede nella risurrezione come radicalizzazione della fede nel Dio creatore.
E torniamo con ciò all'origine del cristianesimo: le esperienze di fede dei discepoli riguardo a Gesù vivente concorrono a formare, secondo le uniche testimonianze che possediamo, la scintilla iniziale di uno straordinario sviluppo storico. In quanto è professione di fede in Gesù di Nazaret come Cristo vivente e operante, il cristianesimo comincia con la Pasqua. Senza la Pasqua non esisterebbero Vangeli, racconti, lettere del Nuovo Testamento; senza la Pasqua non esisterebbero nella cristianità una fede, un annuncio, una Chiesa, una liturgia.
Evento pasquale e vita di Gesù
L'evento pasquale costringe a risalire all'indietro, alla vita di Gesù di Nazaret (alle sue parole e alle sue azioni, al suo messaggio e al suo comportamento). Il fatto che Cristo sia proclamato il primogenito di quelli che risorgono dai morti (Col 1, 16) non deve far dimenticare come Gesù ha vissuto e come ha affrontato la morte. Il messaggio della risurrezione non invita ad adorare una divinità che ha lasciato la croce dietro di sé, ma invita a seguire Gesù, affidandosi a lui, al suo messaggio vissuto in parole e opere, a modellare con la fiducia della fede la propria vita a Gesù, preso come riferimento e criterio di scelte di vita.
Il messaggio della risurrezione, infatti, mette in evidenza un fatto inatteso: quel Gesù finito crocifisso, nonostante tutto, aveva ragione. Dio ha preso posizione a favore di chi si è interamente dedicato a lui, donando la sua vita per la causa di Dio e degli uomini. E l'assunzione di Gesù nella vita di Dio non comporta la rivelazione di ulteriori verità, ma il rivelarsi di Gesù stesso. Egli ha ottenuto la suprema credibilità, il Gesù dichiarato giusto da Dio spinge a decidere: decidersi a favore della sovranità di Dio (= scegliere Dio come fondamento di senso e riferimento per la propria vita), come Gesù aveva richiesto, è decidersi anche a favore di Gesù. Colui che chiamava alla fede si è fatto contenuto della fede, Dio si è identificato con colui che si identificava con Dio; a lui ora è legata la fede nel futuro, in lui è riposta la speranza in una vita definitiva con Dio.
Torna così a risuonare il messaggio del regno di Dio, ma in una forma nuova: con la sua nuova vita Gesù è entrato nel messaggio e ne forma il nucleo centrale. Dopo la Pasqua la persona di Gesù è diventata la misura concreta del regno di Dio: per i rapporti dell'uomo col prossimo, con la società, con Dio.
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"Gesù risorto: la nuova vita"