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Martedì, 31 Marzo 2020 10:37

6. Gesù, davanti a Pilato

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I TESTI

 

Sul processo davanti a Pilato ci informano tutti e 4 gli evangelisti:

- Mc 15,1-20 è il racconto più antico;

- Mt 27,1-2.11-31 dipende da Mc, con due ampliamenti interni alla pericope di Barabba;

- Lc 23,1-25, pur con maggiori differenze, sembra dipendere anch’egli da Mc, ma lo rielabora e lo integra con una sua documentazione a parte;

- Gv 18,28-19,16 è invece un racconto assai diverso, la cui impostazione è motivata da un taglio teologico, anche se dà informazioni storiche importanti.

Mc e Gv sono dunque le due fonti essenziali. Ma i due racconti sono troppo diversi e sarebbe sbagliato volerli armonizzare. Per una ricostruzione storica, bisogna indagare le varie scene riportate per cercarne i dati più verosimilmente storici.

  

PER UNA RICOSTRUZIONE STORICA

 

CONSEGNATO A PILATO

 

I 4 evangelisti concordano nel riferire che Gesù dal Sinedrio venne consegnato a Pilato. Era ancora mattino presto (la notizia si inquadra bene nella prassi romana, secondo cui gli ufficiali si mettevano al lavoro al sorgere del sole).

 

Pilato.

Di lui sappiamo che, in quanto cavaliere, apparteneva al ceto medio-alto; era simpatizzante e seguace di Seiano (potentissimo prefetto del pretorio a Roma sotto Tiberio fino al 31 d.C.); nel 26 divenne “prefetto” della Giudea (il titolo “procuratore” designò i governatori di Giudea solo dal tempo di Claudio; e praefectus Iudaeae si definì Pilato nella lapide scoperta nel 1961 a Cesarea Marittima, che ornava probabilmente un edificio pubblico in onore di Tiberio). Durante il periodo del suo incarico (26-36 d.C.) risiedeva a Cesarea, ma si recava a Gerusalemme in occasione delle feste principali soprattutto per controllare l’ordine pubblico. Aveva con sé in Giudea la moglie (che si chiamava forse Procula).

La lunghezza decennale del suo incarico (la maggior parte dei procuratori di Giudea restò in carica per due o tre anni soltanto) lo segnala come un uomo abile, dotato di eccellente senso tattico.

Il ritratto di Pilato che ci offrono due scrittori ebrei del I secolo d.C. (Filone di Alessandria e Giuseppe Flavio) è decisamente negativo: corrotto, violento, crudele, senza rispetto per gli ebrei. Nei Vangeli appare un ritratto meno negativo: accanto all’aspetto brutale e crudele (Lc 13,1), lo si mostra anche come uno che prende a cuore la sorte di Gesù. Per ragioni diverse, entrambi i ritratti sono tendenziosi: Filone e Giuseppe lo guardano da ebrei che vedono in lui l’occupante romano prepotente; gli evangelisti, in tempi in cui i cristiani avevano bisogno della benevolenza dello stato romano, si sforzano di discolpare il responsabile ultimo della condanna di Gesù.

Il volto storico di Pilato è probabilmente a metà strada, ma su una cosa le fonti concordano: è un opportunista politico, interessato al potere e alla carriera; gli interessi personali lo spingono a reagire con durezza e brutalità verso chi lo ostacola, e nella sua spietata crudeltà c’è un fondo di irresolutezza e vigliaccheria.

 

Il pretorio.

La sede ufficiale di Pilato a Gerusalemme – quindi il luogo dove Gesù viene consegnato ai romani – è il “pretorio”. Tre luoghi in Gerusalemme si sono contesi nelle ipotesi degli studiosi la localizzazione: la Fortezza Antonia a nord-ovest del Tempio, il Palazzo degli Asmonei sul primo pendio a ovest, il Palazzo di Erode a nord-est della “città alta”. Di questi è il Palazzo di Erode la sede più probabile: edificio lussuoso e nel contempo ben difeso, era il luogo più adatto per un governatore che cercasse lusso e sicurezza.

 

ACCUSATO

 

In quanto prefetto della Giudea, Pilato aveva il supremo potere giurisdizionale sulla sua provincia, il che significava un potere penale incondizionato sugli abitanti non romani; nei confronti di delinquenti e agitatori aveva mano libera. Nel caso di Gesù, presupponendo un’accusa chiara, poteva farlo crocifiggere senza una sentenza formale. Ma non ha fatto così:

- la struttura processuale che si intravede dietro i racconti evangelici concorda con quanto sappiamo dei tribunali romani nei governatorati: presentazione dell’accusa e interrogatorio dell’accusato;

- Pilato non era uno sprovveduto: in un caso come quello di Gesù, di cui non conosceva il retroterra, volle evitare rischi, abbozzando almeno una qualche forma di processo.

Pilato cioè sottopose a processo l’accusato che gli era stato portato: decise di ascoltare l’accusa e di interrogare l’imputato.

 

Dai sinedriti.

Mc 15,3 presenta i “sommi sacerdoti” come coloro che trasmettono al prefetto romano la decisione mattutina del Sinedrio e la sostengono in sua presenza; Mt e Lc correggono la loro fonte marciana allargando la cerchia degli accusatori ad “anziani” e “scribi”. Si può pensare che a recarsi personalmente da Pilato per sostenere l’accusa sia stata una delegazione di 4 o 5 sinedriti, esperti in questioni giuridiche e parlanti greco, scelti tra i 3 gruppi (difficilmente Caifa in persona).

 

Come “re”.

Mc parla genericamente di “molte accuse”, Mt è ancora più generico, Gv ricorda un’accusa di “malfattore”: tutte indicazioni generiche; Lc 23,2 è più preciso e dice che Gesù fu accusato di essere sobillatore del popolo, boicottatore delle imposte e pretendente messia-re. Possiamo chiarire l’accusa attraverso le seguenti osservazioni:

- nell’interrogatorio mattutino di fronte al Sinedrio l’accusa girava attorno al titolo di messia, che poteva comprendeva una rivendicazione religiosa eccessiva ma anche una rivendicazione politica;

- Gesù fu giustiziato come re degli ebrei di Giudea (v. scritta sulla croce);

- perché Pilato potesse capire l’accusa, bisognava tradurre in greco il termine “messia”; tradurlo con “cristo” (= unto) avrebbe detto nulla a un romano, mentre tradurlo con “re” (cioè accentuando la dimensione politica) aveva buone probabilità di coinvolgere il prefetto.

E’ verosimile perciò che la delegazione di sinedriti abbiano accusato Gesù di aspirare a un messianismo di tipo politico.

 

INTERROGATO

 

Secondo le regole giudiziarie romane, elemento centrale del processo doveva essere l’interrogatorio dell’accusato. E questo è presente, in forma più o meno lunga, in tutti i Vangeli. Mc 15,2-5, per quanto molto sintetico, sembra basarsi su ricordi importanti: essendo l’interrogatorio pubblico, poteva contare su vari testimoni. Il racconto di Gv (18,33-38; 19,1-12), con il colloquio privato tra Pilato e Gesù, ha una fisionomia teologica, anche se doveva disporre di informazioni storiche precise.

 

La “scenografia” del processo.

I Vangeli non la descrivono, ma si possono definire come verosimili i seguenti aspetti:

- quella mattina erano in corso diversi procedimenti giudiziari: oltre al processo contro Gesù,un altro contro un certo Barabba e un altro contro due “malfattori” (o forse zeloti?);

- l’unico giudice era Pilato; non c’è notizia di un collegio di giurati, verosimilmente c’era un traduttore (Gesù poteva sapere qualcosa di greco, ma non quanto occorreva per difendersi in un processo);

- Gesù fu presentato al prefetto legato o incatenato; era da solo, senza avvocato: un accusato doveva difendersi da solo;

- tra il giudice e l’accusato presero posto i 4 o 5 sinedriti accusatori, che dovevano aver presentato l’accusa per scritto;

- ci dovevano essere dei testimoni, pronti a dare la loro versione;

- c’erano certamente degli spettatori: dei curiosi (la città in quei giorni era piena di pellegrini, molta gente girava per le strade) e qualche conoscente di Gesù; non però una folla enorme.

 

Al centro dell’interrogatorio.

Centrale fu la rivendicazione regale di Gesù.

  • La domanda di Pilato (“Sei tu il re dei Giudei?”) mirava ad appurare se Gesù aveva commesso un reato punibile con la morte, e suona plausibile.

  • Così appare plausibile che Gesù risponda. La risposta “Tu lo dici” (che c’è in tutti i Vangeli) è tipica del modo di parlare incisivo (e a volte un po’ enigmatico) di Gesù. La frase può essere intesa come un’affermazione; ma se chi parla pone l’accento sul “tu”, prende le distanza dal suo interlocutore (= “lo dici tu, io sono di un altro parere”), e quest’ultimo è il senso in cui va intesa (anche perché nel primo caso sarebbe stata presa come una confessione e il verdetto sarebbe stato immediato).

  • Subito dopo la risposta di Gesù i rappresentanti del Sinedrio intervennero per dimostrare la pertinenza della loro accusa: Pilato sollecitò Gesù a prendere posizione, ma Gesù tacque (di fronte a chi non vuol capire, ogni parola è di troppo).

  • Pilato deve aver capito che si stava giocando un “gioco sporco”: Gesù non era un ribelle politico e il Sinedrio, non potendo mandarlo a morte, stava usando lui come rappresentante di Roma per farlo crocifiggere. Pilato cercò di fare un po’ di resistenza, non per simpatia o compassione verso Gesù, ma per dispetto ai sudditi ebrei. Qualche scena del racconto evangelico può lasciare qualche dubbio (es. Pilato che se ne lava le mani), ma nel complesso questo comportamento del prefetto è attendibile.

  • Ma i sinedriti che sostenevano l‘accusa sollevarono la minaccia dell’imperatore a Roma, riportata da Gv 19,12: è una minaccia verosimile (altre denunce a Roma riguardarono Pilato per altri motivi). Il prefetto romano venne messo nell’angolo: liberare Gesù poteva costargli una denuncia a Roma con esiti rischiosi, cedere alla richiesta degli accusatori e condannare Gesù era una dimostrazione di debolezza.

 

GIRATO” A ERODE ANTIPA?

 

L’episodio è solo in Lc 23,6-12 e la sua storicità è spesso contestata dagli studiosi.

  • A favore della storicità ci sono i seguenti elementi:

- la ricca fonte specifica di Lc (che conosce varie informazioni su Erode Antipa);

- la logica interna all’episodio: per Pilato poteva essere l’occasione per prendere tempo in una faccenda poco chiara e per migliorare i rapporti con Erode (che non erano stati buoni in precedenza, stando a fonti antiche);

- lo sfondo realistico della scena: Giuseppe Flavio conferma che Erode Antipa si recava a Gerusalemme in occasione delle feste solenni per compiacere i sudditi ebrei;

- i canali informativi di cui Lc potrebbe essersi servito: tra le discepole di Gesù c’era una certa Giovanna, il cui marito Cusa era amministratore di Erode; nella prima comunità cristiana di Antiochia c’era un certo Manahen, compagno di gioventù di Erode Antipa (costoro potevano aver assistito alla scena o aver conosciuto qualcuno che vi aveva assistito).

  • Contro la storicità ci sono i seguenti elementi:

- ne parla solo Lc;

- sembra un racconto costruito dall’evangelista collegandone i vari pezzi con riferimenti ad altri passi del suo vangelo: ad es.il v. 8 (Erode da tempo desiderava vedere Gesù) riecheggia chiaramente Lc 9,7-9;

- la pericope ha un evidente interesse apologetico: Lc vuole sottolineare l’innocenza di Gesù e la non pericolosità del cristianesimo nei confronti di Roma (la scena culmina infatti nel rinvio di Gesù con una veste di lusso: Erode lo giudica più un personaggio ridicolo che un ribelle politico pericoloso).

In ogni caso, che sia da ritenere storico o no questo episodio, esso non cambia le cose nella ricostruzione dei punti essenziali del processo di Gesù davanti a PIlato.

 

OGGETTO DI UN’ALTERNATIVA DI PILATO

 

Tutti e 4 i Vangeli riferiscono di un tentativo di Pilato di liberare Gesù mediante un’amnistia: l’episodio di Barabba.

Barabba: secondo Mc apparteneva a un gruppo di ribelli che avevano ucciso un uomo durante una rivolta; Gv ne parla come di un “brigante” (termine che in Giuseppe Flavio si riferisce agli zeloti). E’ possibile che Barabba fosse il capo di un gruppo di zeloti, a cui potevano appartenere pure i due “ladroni” crocifissi con Gesù.

Anche se qualche studioso nega la storicità di quest’episodio, esso sembra verosimile: la minaccia dei sinedriti di ricorrere all’imperatore deve aver messo in imbarazzo Pilato, che cercò una via d’uscita nella decisione popolare, che poteva servirgli da scusa per in caso di denuncia a Roma o per non perdere la faccia.

La grazia proposta da Pilato per Gesù e poi concessa a Barabba rappresentava probabilmente un caso speciale di amnistia legata a qualche festività, di cui c’è qualche parallelo nella storia antica (ma non, come invece in Mc e Mt e Gv, un’usanza fissa legata alla Pasqua).

 

CONDANNATO

 

Secondo i sinottici, dopo la decisione popolare, Pilato consegna Gesù ai soldati per l’esecuzione senza alcuna sentenza ufficiale. Secondo Gv invece, Pilato “si sedette sulla sedia curule” (Gv 19,13b), espressione tecnica per “enunciare la sentenza”. In ogni caso, tutti gli evangelisti confermano in Pilato colui che mette fine al processo, senza molte parole ma nella forma prescritta.

 

La motivazione della condanna.

Risulta chiara dalla crocifissione. Delitti punibili con questa pena erano, secondo il diritto romano, la rapina, l’omicidio, l’incendio doloso, la diserzione, l’alto tradimento, l’istigazione alla rivolta e il delitto di lesa maestà. E’ oggi opinione comune tra gli studiosi che Gesù sia stato condannato e giustiziato come ribelle politico.

 

Lithòstrotos-Gabbatà

Il luogo della condanna è indicato con questi nomi da Gv 19,13. “Lithòstrotos” indica un luogo pavimentato con lastre di pietra; “gabbatà” deriva da un termine ebraico che significa “altura”, “elevazione”. Probabilmente il processo si svolse in un luogo all’aperto, un cortile lastricato vicino a un ingresso del Palazzo di Erode (in cui risiedeva il prefetto romano), dove c’era una tribuna o una piattaforma rialzata su cui era posta la sedia curule.

 

Attorno all’ora sesta.

Mc 15,25 fissa la crocifissione di Gesù all’ora terza (le 9 del mattino); Gv 19,14 indica invece l’ora sesta (le 12). Inutile cercare un’armonizzazione (= crocifissione tra le 9 e le 12), bisogna scegliere tra le due indicazioni.

La crocifissione alle 9 presuppone la condanna intorno alle 8; questo è possibile, ma si deve pensare a una procedura rapida e senza ritardi: la cosa è difficile per la complessità per Pilato del “caso” Gesù e perché in quelle ore vennero probabilmente processati anche altri (Barabba e i due cosiddetti “ladroni”). L’ora terza di Mc sembra un dato simbolico, se la si mette in relazione con l’ora sesta e l’ora nona di Mc 15,33 (3-6-9).

Però anche Gv 19,14 può avere un significato teologico: se la condanna fu pronunciata alle 12, la crocifissione avvenne al più presto alle 13 o poco dopo, quando nel Tempio si preparava la macellazione dell’agnello pasquale; e Gv vuole mostrare Gesù come l’agnello pasquale.

Comunque, dal punto di vista storico, appare più verosimile l’indicazione di Gv.

 

FLAGELLATO

 

Alla flagellazione di Gesù le due fonti evangeliche riservano solo un breve accenno. E’ fuori discussione la storicità; si discute solo se è avvenuta prima o dopo la sentenza: secondo Gv fu una crudele punizione ordinata durante l’interrogatorio per cercare di convincere gli accusatori ebrei a desistere dalla loro richiesta di crocifiggere Gesù; secondo Mc e Mt fu una punizione supplementare, per preparare e cominciare la pena capitale. E’ probabilmente questa seconda la versione originale.

Gli esecutori furono dei soldati romani.

La flagellazione romana provocava ferite terribili, spesso la vittima moriva sotto questa tortura. se Gesù non ebbe più tardi la forza di portare da solo la croce nel tragitto verso il Golgota, questa debolezza fu una conseguenza della flagellazione; e anche questa spiega la rapida morte dopo appena poche ore.

 

SCHERNITO E MALTRATTATO

 

Sia Mc che Gv narrano che Gesù dopo la flagellazione venne schernito e maltrattato dai soldati.

A favore della storicità dell’episodio ci sono i seguenti elementi:

- esso è raccontato da due tradizioni tra loro indipendenti (quella marciana e quella giovannea);

- non ci sono citazioni scritturali che segnalino una riflessione di tipo teologico; l’interesse del narratore era dunque più storico che teologico;

- il contesto dei fatti può spiegare bene quest’episodio: la condanna di Gesù come “re dei giudei” non solo spense ogni compassione ma provocò i carnefici anche a una parodia (la parodia di un’intronizzazione regale).

Gli scherni divennero maltrattamenti: individui obbligati come soldati a obbedire, abusarono in maniera brutale del potere loro concesso per un momento di accanirsi su un debole indifeso. E’ facile capire come i primi cristiani abbiano visto in Gesù flagellato, schernito e maltrattato un’affinità con il “servo di Yahweh” di Is 52-53.

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Letto 23036 volte Ultima modifica il Giovedì, 30 Aprile 2020 16:30

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