I TESTI
Cosa accadde nelle poche ore tra la cattura di Gesù e il processo davanti a Pilato, è una questione controversa, perché la situazione documentaria (i 4 racconti evangelici) può lasciare sconcertati: essa presenta vari elementi comuni, ma anche numerose differenze. Si può dire: 4 racconti, 3 diversi svolgimenti dei fatti.
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Mc 14,53-72;15,1 è il testo più antico dei 4. Presenta uno svolgimento dei fatti in 5 tappe:
- un primo processo davanti al Sinedrio (14,53.55-64);
- maltrattamenti e scherni su Gesù (65);
- rinnegamento di Pietro (54.66-72);
- secondo processo e deliberazione (15,1a);
- trasferimento da Pilato (15,1b).
Il problema è distinguere nel racconto la tradizione (i fatti storici tramandati) e la redazione (il lavoro dell’evangelista con il significato di fede che il racconto doveva trasmettere).
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Mt 26,57-75;27,1-2 segue Mc con pochi ritocchi.
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Lc 22,54-71;23,1 è diverso sia nella costruzione che in vari dettagli di contenuto:
- parla di un solo interrogatorio di primo mattino;
- accenna solo di sfuggita al Sinedrio;
- pone al centro dell’accusa la dichiarazione di Gesù di essere Figlio di Dio;
- non fa proclamare al Sinedrio una formale condanna.
Problema: queste modifiche indicano che Lc ha attinto ad altre fonti diverse da quelle di Mc o sono dovute a un suo lavoro di redazione?
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Gv 18,23-28 presenta solo pochi punti di contatto con i sinottici. Ma tutto fa pensare che Gv abbia attinto a una tradizione indipendente dai sinottici.
Abbiamo, insomma, a che fare verosimilmente con 3 fonti: la tradizione marciana, quella lucana e quella giovannea. La maggior parte degli studiosi ritiene che nel racconto di Mc si possa sostanzialmente riconoscere lo svolgimento storico degli eventi. Le differenze tra i racconti sono dovute al fatto che per questa parte della Passione gli informatori dovettero ricorrere a notizie di seconda mano (i colloqui importanti si svolsero a porte chiuse). Si deve però anche tener conto che la comunità cristiana primitiva vide in questo atto del dramma di Gesù un’occasione particolarmente adatta a professare la propria fede in Gesù come Messia e Figlio di Dio, e perciò intervenne in modo marcato nella redazione dei racconti.
Una ricostruzione storica esatta non si presenta perciò facile. Ma non sarebbe corretto risolvere le difficoltà cercando di armonizzare le differenze tra i diversi racconti per ridurli a uno solo. E’ più corretto indagare i testi non tanto per ricostruire uno svolgimento ordinato e dettagliato dei fatti quanto per delineare gli elementi di fondo:
- chi sono stati i responsabili maggiori degli eventi;
- come hanno agito contro Gesù;
- sulla base di quale accusa Gesù è stato condannato;
- come è stato trattato.
PER UNA RICOSTRUZIONE STORICA
I RESPONSABILI
Caifa.
Sua duplice funzione pubblica:
- in quanto suprema autorità spirituale, il sommo sacerdote rappresentava il popolo ebraico davanti a Dio;
- in quanto presidente del Sinedrio di Gerusalemme, rappresentava gli ebrei di Giudea e Samaria davanti al governatore romano (e quindi allo stato romano).
La carica, un tempo ereditaria, era oggetto di acquisto a partire da Erode; di conseguenza i sommi sacerdoti cambiavano spesso: dall’inizio di regno di Erode il Grande (37 a.C.) alla distruzione di Gerusalemme (70 d.C.) ce ne furono 28 con una durata media di carica di 4 anni.
Giuseppe Caifa rivestì la carica di sommo sacerdote più a lungo di tutti i suddetti 28 (per 19 anni, dal 18 al 37 d.C.); il che fa pensare a un buon diplomatico e a un politico abile e pragmatico, capace di instaurare un rapporto accettabile tra la dirigenza giudaica e gli occupanti romani (il governatore romano poteva deporre il sommo sacerdote, in caso di contrasti con lui), e in particolare un’intesa con Pilato. Non è un caso che egli abbia perso l’incarico nel 37 d.C. nei mesi successivi alla destituzione di Pilato.
La sua massima politica (quale formulata in Gv 11,49-50) è tipica di un politico realista, che non vuole mettere a rischio lo status quo e incrinare il delicato equilibrio col potere romano: in un eventuale scontro con Roma sarebbero state a rischio la sopravvivenza di Gerusalemme e la posizione privilegiata, di potere e ricchezza, sua personale e del suo gruppo. Con questa visione ben chiara, gli conveniva spegnere sul nascere qualunque minaccia, anche se si esprimeva solo nei discorsi di un modesto profeta di Galilea.
E’ verosimile che Caifa risiedesse nella “città alta”, nel quartiere dei ricchi. Per giungervi dal Getsemani bisognava fare un tragitto piuttosto lungo e difficoltoso: scendere (da una quota di 680 m) verso la valle del Kidron (640 m), arrampicarsi per una ripida salita sul monte Ofel (circa 700 m), scendere nella valle centrale (a 650 m circa), prendere una delle scalinate e poi una strada che porta alla “città alta” verso un palazzo che poteva essere situato tra i 730 e i 760 m. Quando, dopo almeno 30 minuti di marcia forzata, il gruppo che ha catturato Gesù arriva al palazzo del sommo sacerdote e consegna il prigioniero ai mandanti, deve essere ormai passata la mezzanotte.
I sommi sacerdoti come “concistoro”.
Con questa definizione si intendono non solo il sommo sacerdote in carica (nel 30 d.C. Caifa) e quelli che lo sono stati (es. Anna), ma un comitato ristretto di sacerdoti e laici: il cosiddetto “concistoro”, un gruppo stabile di una dozzina di persone dotate di prestigio e potere, che affiancava il sommo sacerdote in carica nello svolgimento delle sue funzioni e lo aiutava ad applicare le decisioni prese nell’ambito del Sinedrio = un comitato aristocratico che fungeva in pratica da autorità di governo nella gestione di tutto ciò che dipendeva dal Tempio.
Facevano parte di questo gruppo:
- il sovrintendente al Tempio: un esperto del culto ma anche della sicurezza (era a capo della guardia del Tempio, che entrò in azione nella cattura di Gesù);
- da 5 a 7 sorveglianti del Tempio, competenti soprattutto in questioni del culto e di diritto;
- 3 o 4 tesorieri, esperti in finanze.
Insomma, il sommo sacerdote aveva a disposizione nel “concistoro” un gruppo di appoggio che poteva rapidamente convocare per chiedere consiglio.
Nella congiura contro Gesù, fu questo gruppo di anziani potenti e benestanti ad avere la responsabilità principale: furono probabilmente loro a prendere la decisione di arrestare Gesù, e nella notte del 14 Nisan del 30 d.C. si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote.
Il Sinedrio.
Era insieme autorità governativa e giudiziaria, parlamento e tribunale. I suoi 70 membri, con a capo il sommo sacerdote in carica, appartenevano a 3 gruppi:
1) i sommi sacerdoti;
2) gli “anziani”;
entrambi questi gruppi costituivano la classe superiore di Gerusalemme, ricchi aristocratici, uniti anche dall’appartenenza al “partito” conservatore dei sadducei (che, per garantirsi il potere e connessi privilegi e benessere, difendevano lo status quo, accettando l’occupazione romana);
3) gli “scribi”, farisei di orientamento; appartenenti alla piccola o media borghesia, dovevano la loro posizione unicamente al loro sapere teologico e giuridico, che dava loro grande autorità.
All’iniziativa contro Gesù il Sinedrio partecipò con tutti e tre i gruppi: furono soprattutto i sadducei, in collaborazione con i romani, a portare a morte Gesù; ma anche con il gruppo dei farisei c’era stato un progressivo contrasto.
Sotto Erode il Grande (37-4 a.C.) il Sinedrio era stato molto limitato nei suoi diritti; ma con l’occupazione romana acquisì notevole importanza. La sua competenza in questioni religiose e cultuali era praticamente illimitata: con il permesso di Roma, non soltanto interpretava la Legge e la applicava alla vita quotidiana, ma poteva anche punire le trasgressioni religiose. Non aveva invece competenza quanto a decisioni politiche e giuridiche, anche se in certi casi poteva far sentire il peso della sua influenza (ad esempio nella scelta del sommo sacerdote), non poteva emettere sentenze di morte (di pertinenza esclusiva del rappresentante di Roma).
Secondo Lc 22,66, Gesù venne portato il venerdì di primo mattino dal palazzo dei sommi sacerdoti al Sinedrio.
MODALITA’ DEL PROCESSO
I Vangeli offrono versioni diverse:
- per Mc e Mt ci furono un primo processo davanti al Sinedrio ancora di notte e un secondo di prima mattina;
- per Lc Gesù venne condotto nel palazzo dei sommi sacerdoti, ma non viene detto se per l’interrogatorio o semplicemente per esservi custodito;
- secondo Gv Gesù venne prima interrogato da Anna e poi trasferito da Caifa.
Queste differenze hanno portato gli studiosi a ricostruzioni diverse. Quella che sembra più verosimile è la seguente.
Un interrogatorio preliminare (Caifa e concistoro) nella notte
Mc, Mt e Gv sembrano concordare su un interevento dei responsabili già durante la notte (un’autorità che compie un arresto con lucida attenzione al fine che vuole raggiungere non aspetta fino al mattino per interrogare l’arrestato). Non si trattò però di un vero e proprio primo processo davanti al Sinedrio (la cui prassi non prevedeva sedute notturne), ma di un interrogatorio nella casa del sommo sacerdote, in presenza di Caifa e del “concistoro” (v. Mc 14,53): questa piccola cricca di 10-12 sinedriti autorevoli si era radunata presso il sommo sacerdote e all’arrivo dell’arrestato lo sottoposero a una specie di interrogatorio preliminare.
Lo scopo era di sondare le possibilità che, nella riunione del Sinedrio programmata per il mattino, venisse accettata dalla maggioranza l’accusa contro Gesù. E’ infatti inverosimile che Gesù sia stato portato davanti al Sinedrio senza averlo prima interrogato e aver cercato di strappargli alcune affermazioni interessanti per la seduta imminente.
Un interrogatorio del Sinedrio di prima mattina
Mc 15,1 segnala chiaramente la comparsa di Gesù davanti al Sinedrio di prima mattina. A favore di un coinvolgimento del Sinedrio (e non solo del “concistoro”) contro Gesù parla anche la considerazione che Caifa e i suoi soci erano troppo pragmatici per rischiare un procedimento autonomo in una faccenda scottante: bisognava, con tutta l’accortezza possibile, inserire la loro decisione su Gesù nella decisione di un organismo più esteso e ufficiale.
La riunione mattutina del Sinedrio (anche se non al completo) è logica e conseguente. Non si trattò però di un processo ordinario, ma di una consultazione:
- il tempo era troppo breve per un regolare processo;
- poiché un’eventuale condanna a morte spettava al governatore romano, non aveva senso un processo la cui sentenza non poteva essere esecutiva; e una condanna formale da parte del Sinedrio poteva essere vista da Pilato come un’offesa alle sue prerogative.
Lo scopo di questo interrogatorio era di raccogliere degli elementi di accusa che meritassero la condanna a morte, gli elementi necessari per il processo davanti a Pilato.
Dopo un breve interrogatorio, il Sinedrio decise a maggioranza di trasferire Gesù da Pilato: non si trattò di una formale sentenza di morte, ma della formulazione di un’accusa che giustificava il trasferimento al governatore romano.
L’ACCUSA
Stando a Mc (e Mt), l’interrogatorio di Gesù verté su due punti: il cosiddetto “loghion del Tempio” e la “professione messianica”.
1. Il cosiddetto “loghion del Tempio”
Il detto di Gesù contro il Tempio riferito da Mc 14,58 (e Mt 26,61) si trova anche in altri passi dei Vangeli (es. in Mc e Mt sulla bocca di coloro che lo scherniscono e lo insultano passando sotto la croce). Su di esso gli studiosi in genere sottolineano che:
- ha tutti i segni di autenticità: non può derivare da tradizioni ebraiche e non può essere stato inventato dal cristianesimo primitivo; per la prima comunità doveva essere importante (visto che viene riportato più volte) e forse non era facile interpretarlo;
- quali siano le esatte parole con cui Gesù lo pronunciò, non è facile dirlo; ma secondo vari studiosi la formulazione che ne dà Gv 2,19 (nell’episodio della cacciata dei mercanti dal Tempio, che Gv pone all’inizio del ministero di Gesù) è quella che più si avvicina alle parole che può aver detto Gesù;
- che queste parole di Gesù volessero essere un attacco al culto nel Tempio o il segno di una purificazione di questo culto, contenevano comunque una critica al Tempio come istituzione;
- la critica al Tempio bastava per giustificare l’arresto.
La critica di Gesù al Tempio, comunque venga interpretata, non poteva non allarmare le autorità di Gerusalemme, perché prendeva di mira un’istituzione fondamentale: il Tempio non era solo un’istituzione religiosa, ma era anche un centro di potere economico (con le enormi somme che vi entravano per imposte, offerte, interessi di prestiti, affitti, vendite), era una grande “banca”. E tutta Gerusalemme ne traeva profitto:
- i poveri per le elemosine legate al pellegrinaggio al Tempio (una pratica che era lodata e incoraggiata);
- il personale legato al culto: la gestione del culto occupava durante tutto l’anno circa 7000 sacerdoti e 10.000 leviti (cantori, musici, servi, guardie);
- allevatori e commercianti di bestiame dovevano il loro sostentamento (e alcuni anche un guadagno non da poco) ai sacrifici ordinari e straordinari che si compivano nel Tempio;
- molti produttori e artigiani (ortolani, cuochi, panettieri, tessitori, falegnami, vasai, venditori di souvenir, cambiavalute, ecc.) vivevano grazie al flusso annuale di pellegrini al Tempio;
- l’aristocrazia sadducea con al vertice il sommo sacerdote traeva dal Tempio enormi profitti grazie al controllo e all’utilizzo delle finanze (sia come percezione diretta di somme che come utilizzo di capitali per investimenti produttivi e finanziari).
Insomma, chi toccava il tempio si tirava addosso tutta Gerusalemme: non era visto solo come contestatore religioso ma anche come sovvertitore dell’ordine economico-politico. La critica al Tempio faceva di Gesù agli occhi di molti esponenti del Sinedrio un pericoloso provocatore.
2. La professione messianica
La protesta di Gesù contro il Tempio ha avuto certamente un ruolo nell’interrogatorio ma non è stata il punto decisivo per consegnarlo a Pilato. Il sommo sacerdote non portò avanti fino in fondo quest’accusa perché i testimoni si contraddicevano a vicenda. Quando l’interrogatorio sembrava finire in un vicolo cieco, il sommo sacerdote sferrò un “attacco frontale”: chiese a Gesù se era il Messia e Gesù rispose di esserlo (Mc 14,61-63).
Quali idee coinvolgeva nella mentalità ebraica di allora la domanda di Caifa “Sei tu il Messia, il Figlio del Benedetto?” (Mc 14,61)?
Nella figura del Messia si vedevano due aspetti:
- politico: un re della stirpe di Davide che avrebbe liberato Israele dagli occupanti romani e fondato un regno di persone giuste e pie;
- religioso: uomo puro e senza peccato, dotato di sapienza, ripieno di Spirito di Dio; comunque solo un uomo e non un essere divino.
E’ ben difficile che Gesù stesso nella sua predicazione si fosse definito Messia; ma tra il popolo e tra i suoi seguaci c’era chi lo chiamava così.
Il duplice aspetto del titolo poteva permettere al Sinedrio di consegnare Gesù a Pilato come politicamente pericoloso con l’accusa di avere rivendicazioni messianiche.
Avanzare una rivendicazione messianica come fa Gesù nella risposta al sommo sacerdote, non era nell’ebraismo un delitto né un’offesa a Dio; ma è la seconda parte della sua risposta che scatenò la reazione, perché allargava l’idea di Messia a una dimensione e a una pienezza di poteri di tipo divino.
Certo, anche qui non si può essere sicuri dell’esatta formulazione della risposta di Gesù; ma è presumibile che la comunità primitiva abbia cercato di tramandarla il più vicino possibile all’originale, visto che era il punto che più aveva fatto scalpore davanti al Sinedrio.
La reazione del sommo sacerdote è immediata: l’affermazione di Gesù è vista come bestemmia contro Dio e va punita con la morte. Il Sinedrio concorda.
Su questo s’impongono due osservazioni critiche:
- il Sinedrio giudicò troppo in fretta: di fronte a una condanna come bestemmiatore, la rivendicazione di Gesù avrebbe dovuto essere sottoposta a un esame dettagliato; invece non si tentò neppure un’indagine obiettiva: evidentemente si voleva farla finita con Gesù;
- i sinedriti non erano liberi da fattori emotivi: convocati in fretta, mancò loro la serena obiettività che sarebbe stata necessaria.
I MALTRATTAMENTI A GESU’
Tutti e 4 gli evangelisti sono concordi nel riferire che Gesù nelle ore di custodia nel carcere ebraico venne schernito e maltrattato.
Tutti e 4 i testi hanno una tonalità teologica: i redattori avevano davanti l’immagine e il destino del Servo di Dio del 2° Isaia. Ma c’è indubbiamente un nucleo storico verosimile:
- Gesù venne schernito e insultato: induceva a questo trattamento la sua fama di profeta proveniente dalla Galilea, terra disprezzata dai Giudei;
- anche i maltrattamenti sono storicamente attendibili: risentimento, noia e disprezzo verso i prigionieri scatenano da sempre soldati e guardie in tutto il mondo; che Gesù sia stato sottoposto a sputi, percosse e angherie varie, non è difficile da immaginare;
- gli attori di questa scena indegna sono stati soldati di guardia e servi;
- nel racconto di Mc e Mt la scena non sembra però collocata nel momento giusto (alla conclusione dell’interrogatorio del Sinedrio al mattino), ma deve essere accaduta di notte nell’intervallo di tempo tra l’interrogatorio del concistoro e la comparsa davanti al Sinedrio.
IL RINNEGAMENTO DI PIETRO
Tutti e 4 gli evangelisti conoscono il rinnegamento di Pietro. Secondo alcuni studiosi, alla base c’è il racconto di Mc 14,66-72, il più antico, da cui bisogna partire per una ricostruzione storica.
La divisione del suo brano in 3 scene distinte è artificiosa: il narratore utilizza l’espediente popolare della triplice ripetizione per sottolineare la defezione totale dell’apostolo di fronte alla Passione di Gesù.
Il brano ha un chiaro intento parenetico (= di esortazione e ammonimento): i seguaci di Gesù sono richiamati al fatto che la loro fede, come quella di Pietro, è sempre a rischio. Ma il racconto ha senza dubbio un nucleo storico. Lo dimostrano tre elementi:
- vari dettagli (il palazzo del sommo sacerdote con cortile e atrio, i servi e le serve, il fuoco che scalda una fredda notte di inizio aprile, il dialetto Galileo di Pietro) sono coerenti con la situazione in cui la vicenda deve essersi svolta;
- l’episodio è così compromettente per Pietro che non può essere stato inventato;
- quanto narrato è coerente con ciò che sappiamo della figura di Pietro: spontaneo e facile a entusiasmarsi, ma anche impetuoso e millantatore, la coerenza non è una sua virtù.
Storicamente però è più verosimile un solo rinnegamento.
UNO SGUARDO D’INSIEME
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Dal Getsemani un gruppo composto da servi ebrei del Sinedrio e da guardie del Tempio conduce Gesù al palazzo del sommo sacerdote, dove si è radunato il “concistoro”: una dozzina di persone che hanno progettato la cattura. Un interrogatorio semi-ufficiale ha lo scopo di preparare un’accusa che venga accolta nella riunione del Sinedrio.
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Dopo l’interrogatorio Gesù viene schernito e maltrattato dalle guardie e dai servi del sommo sacerdote.
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In queste ore notturne Gesù è rinnegato da Pietro. Dev’essere stato lo stesso Pietro a raccontare il fatto increscioso alla comunità dopo Pasqua. La scena si svolge nel cortile del palazzo del sommo sacerdote; è credibile che una serva riconosca Pietro come Galileo in base alla sua parlata, e per paura di possibili guai Pietro nega.
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Di primo mattino Gesù viene trasferito dalla residenza del sommo sacerdote al tribunale, dove viene interrogato dal Sinedrio. Ma non viene condannato in un processo ufficiale. Al centro dell’inchiesta su di lui ci sono due questioni: la critica di Gesù al Tempio (che riecheggia nel cosiddetto “loghion del Tempio”) e la sua rivendicazione di poteri sovrani (dissimulata nella cosiddetta “professione messianica”); questa seconda per il Sinedrio equivale a una bestemmia meritevole di morte, determinante per la decisione di consegnare Gesù a Pilato perché lo condanni a morte. Difficilmente sono presenti tutti i 71 membri del Sinedrio. Non c’è una formale sentenza di morte.
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Probabilmente tra le 7 e le 8 del mattino Gesù, accompagnato da alcuni sinedriti, viene condotto da Pilato.
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Fino a questo momento sono coinvolte nell’iniziativa contro di lui, nell’insieme, dalle 50 alle 100 persone o anche meno (truppa per l’arresto e Sinedrio non al completo). Alla fine, poche ore dopo, non saranno molte di più. Dunque, parlare de ”gli” ebrei come responsabili della morte di Gesù è una rozza falsificazione della realtà storica.