Del libro di Giobbe si ignorano autore e tempo.
Giobbe era un uomo colmo di felicità e ricchezza, stimato da tutti ( 1.1) Improvvisamente su di Lui piovono una serie di disgrazie che lo privano di tutti i beni, dei figli e della salute. Tutto questo avviene come descritto nel prologo, in cui si racconta di un’immaginaria riunione in cui Satana discute con Dio della fede di Giobbe.(1,9-21 2,4-7)
E’ certamente uno dei libri più appassionanti poiché tratta in modo drammatico il problema dei rapporti tra Dio e l’uomo, del perché della vita e del perché della sofferenza. Ci spiega come Dio agisce con l’uomo. E’ da sottolineare che, essendo il libro di Giobbe ambientato fuori di Israele, significa che il messaggio che se ne coglie è al di là dell’ambientazione storica e quindi è per tutti.
Nella sofferenza e nell’angoscia di Giobbe c’è infatti tutto il dramma umano: malattia, emarginazione, ecc..
Perché? Il perché di Giobbe è il perché di tutti.
Dal cap. 4 al cap. 7 Giobbe discute con tre amici: Elifat, Bildad e Sefar.
I tre amici rappresentano le idee più tradizionali:
Dio premia il bene e castiga il male, per cui chi è buono gode di una vita serena, chi è cattivo soffre. ( E’ da notare che questa visione di giustizia divina deriva dal bisogno distaccarsi da una tradizione culturale tribale in cui era normale che il male di uno ricadesse sull’”altro” (Giosia 7,1-26 Es 18,2).
Giobbe, pur disperato, (ai tempi di Giobbe non c’era ancora la promessa messianica di una vita al di là della morte, Ecc.le 9.1-2) e sofferente replica con tutta la sua forza demolendo questa teoria:
non è vero che lui è un peccatore, il suo cuore è buono e retto e quindi il male non è un castigo di Dio (13,13-28; 28; 23; 31).
A questo punto gli interrogativi sul perché del dolore sono sempre più incalzanti. Vuol parlare con Dio, difendersi, è sicuro di se stesso.
Nei Cap. 32- 37 si inserisce una figura di giovane: Elibu. Dio non è sordo, dice, non è muto, ma parla col dolore. Richiama così il peccatore per salvarlo dalla sua superbia. (33,13-33)
Giobbe, dice, non ha fatto cose cattive, ma non ha avuto fiducia in Dio. (33,9)
Elibu afferma che a volte Dio colpisce i buoni perché essi fanno il bene solo per richiamare i suoi favori (35,5-8).
Giobbe viene richiamato all’umiltà (36,8-10-16).
A questo punto Dio si mostra a Giobbe con tutta la sua sapienza ed onnipotenza (38; 41; 42,5-6). Giobbe ne rimane sconvolto e ridimensionato e vede la sua piccolezza ed incapacità di capire la Sapienza di Dio (38; 41; 42,5-6).
Davanti alla grandezza di Dio Giobbe è ad un bivio: o la ribellione e quindi disperazione o accettazione dei propri limiti e la confessione pentita di aver peccato e credersi in “credito” con Dio. Giobbe sceglie l’umiltà della seconda strada. Abbandona la fiducia in se stesso per rimettersi fiduciosamente, annullandosi, nelle mani della saggezza e potenza di Dio. Il problema della vita non viene da Dio ma dalla falsa immagine di Dio. Giobbe è tornato quello dei primi capitoli: rivolto a Dio con la massima apertura e disponibilità.
Nel cap. 42 (epilogo in prosa) Dio ricostruisce Giobbe.
Ne esce chiaro un messaggio preceduto da un interrogativo:
Come si deve porre l’uomo nei confronti di Dio?
Leggere
Giobbe Cap.li :
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32; 33; 35; 36; 38,1-18
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39,19-30; 40,1-5
Domande
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Come si deve leggere e ascoltare questo libro?
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Perché questo libro è così suggestivo?
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Perché Giobbe soffre?
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Come si deve porre l’uomo nei confronti di Dio?
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Qual’è il significato della sofferenza per un cristiano?
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Quale può essere il significato delle sofferenze nel mondo?
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“Cammino di Fede”