che lui non è venuto a restaurare il defunto regno di Israele, ma ad inaugurare il Regno di Dio. Scrive l'evangelista che "lo stesso giorno", dopo che Gesù ha paragonato il Regno di Dio all'albero della senape dove tutti possono trovare rifugio, "venuta la sera ...[cinque volte c'è questa espressione in Marco, ed è sempre in senso negativo, indica contrarietà, incomprensione verso Gesù e il suo messaggio] ... Gesù dice ai suoi discepoli: 'passiamo all'altra riva' ".
'Passare all'altra riva' significa andare in terra pagana, ma ogni volta che Gesù invita i suoi discepoli ad andare all'altra riva, questi fanno sempre resistenza: essi pensano al dominio di Israele sopra tutte le altre nazioni, non al Regno di Dio per tutti.
"congedata la folla, lo presero con sé": non vogliono condividere Gesù con gli altri; ma si scatena "una grande tempesta di vento". L'evangelista si rifà alla storia di Giona che resiste all'incarico divino e la sua resistenza provoca una grande tempesta. Questa tempesta, figurativamente, è la resistenza dei discepoli ad andare in terra pagana. Ma la tempesta riguarda soltanto i discepoli, non Gesù.
"le onde si rovesciavano sulla barca ..." e Gesù a poppa dormiva: impossibile dormire con una tempesta del genere, ma l'evangelista vuol dire che questa tempesta non riguarda Gesù perché lui vuole andare verso i pagani. I discepoli svegliano Gesù e "Gesù si destò, minacciò il vento e disse al mare: «taci, calmati!»". Dicono i salmi 107 e 89 che Dio domina il mare e le tempeste, quindi Gesù mostra la sua condizione divina perché vuol far comprendere che andare incontro ai pagani non è andare contro la volontà di Dio, ma è proprio manifestarne l'amore. E Gesù li rimprovera, dice loro che non hanno ancora fede come il chicco di senape per portare l'amore di Dio all'umanità. E i discepoli commentano: "chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?": si rendono conto che in Gesù c'è qualcosa di straordinario, di nuovo, che lungo il corso del vangelo si chiarisce man mano.
L'episodio dell'indemoniato è di difficile comprensione, ma un esame dei termini usati ci illustra un suo possibile significato, diverso da quanto di solito viene spiegato.
Il termine "spirito impuro" compare qui e nell'episodio della sinagoga (Mc 1,21-28), e in nessun altro testo del NT: significa che Marco mette in relazione i due episodi: anche là si trattava di una persona non libera, e l'uso del plurale ("che c'è fra noi e te?") e la persona senza nome ci indicano che si tratta di una categoria di persone.
Lo spirito immondo indica una ideologia fanatica e violenta, e la descrizione del posseduto e dell'ambiente in cui vive fa riferimento al mondo pagano.
Si capisce che l'uomo è uno schiavo che si è ribellato con la violenza, ed è violento anche con se stesso: questo schiavo, che si è ribellato a chi lo tiene in schiavitù, viene mantenuto dalla violenza stessa in una situazione di autodistruzione, in un ambiente di morte (sepolcri). L'indemoniato corre incontro a Gesù, ma poi lo respinge perché teme che Gesù lo voglia rigettare nella condizione di schiavitù: non vuole rinunciare allo spirito impuro grazie al quale è riuscito a liberarsi da ceppi e catene, anche se questa liberazione attraverso la violenza lo sta distruggendo; non vuole che la liberazione si compia come l'antico Esodo di Israele che dovette uscire dall'Egitto ("pregava che non li mandasse fuori dal paese"): uscire dalla schiavitù e vivere secondo Gesù non comporta uscire dal proprio ambiente, l'evangelista vuol farci capire che si può vivere in mezzo alla società ingiusta.
E questo uso del plurale, insieme a "legione", conferma che l'indemoniato rappresenta una moltitudine di uomini sottomessi dagli stessi violenti "spiriti impuri". Gesù dicendo "esci spirito impuro da quest'uomo" non indica due esseri distinti e contrapposti, ma distingue solamente tra l'uomo ed il fanatismo che lo spersonalizza: l'uomo è una cosa sola con la sua violenza, ma può rinunciare ad essa.
Alla fine il posseduto cede e accetta la liberazione insita nel messaggio di Gesù.
Vediamo la seconda parte dell'episodio.
Un altro termine chiave utile per la comprensione dell'episodio è il porco. Al tempo di Gesù con la figura del porco, animale impuro per gli ebrei, si indicavano i romani in quanto occupanti la terra di Israele, raffigurata come una vigna devastata dal cinghiale del bosco (Sal 80,14). La ricchezza degli occupanti romani avveniva mediante la violenta sottomissione dei popoli al loro potere, che a loro volta reagivano attraverso la violenza (spirito impuro).
Affogare nel mare indica la distruzione totale e definitiva (Mc 9,42) ed è espressione con la quale Israele ricordava la sua liberazione dalla schiavitù dell'Egitto e l'annientamento dell'esercito del Faraone: "ha gettato in mare cavallo e cavaliere".
La liberazione dell'uomo implica la rovina del sistema oppressore che basava la sua fortuna (mandria) sul suo sfruttamento. Riguardo al numero dei porci affogati "circa duemila" (un po' troppi per una mandria nell'Israele di quei tempi...) questa cifra appare nell'AT per indicare i nemici d'Israele sconfitti dai giudei (1 Mac 9,49; 16,10).
L'allarme generale denota che l'interesse (mandria) era comune (città/campagne). Nessun segnale di allegria da parte della gente vedendo sano di mente colui che era stato posseduto dalla Legione, ma solo paura. Paura che nasce dal veder minacciato il proprio interesse dagli effetti del messaggio di Gesù.
Ironia dell'evangelista: all'inizio della narrazione era lo spirito impuro che possedeva l'uomo a scongiurare Gesù di poter entrare nei porci (v. 10). Ora sono i proprietari dei porci che scongiurano Gesù di allontanarsi. Questa loro richiesta li smaschera e manifesta che è da costoro che procedeva lo spirito impuro. La liberazione dell'individuo nuoce agli interessi dei potenti. Dovendo scegliere tra il bene dell'uomo e il proprio capitale senza esitazione scelgono quest'ultimo. Tra il Dio che libera l'uomo e il dio denaro che lo schiavizza preferiscono adorare quest'ultimo.
"Colui che era stato indemoniato" è il primo annunciatore pagano del vangelo inviato da Gesù ad annunziare a quelli come lui "ciò che il Signore ti ha fatto". La sua missione riguarda quanti sono ancora "posseduti dallo spirito impuro" e non la gente delle città e campagne già al corrente dell'accaduto e che hanno agito negativamente (v.14). Gesù invia l'uomo che era stato posseduto dallo spirito impuro ad annunziare ciò che il Signore ti ha fatto. L'uomo va a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù gli aveva fatto, riconoscendo nell'azione di Gesù quella del Signore.
"Di nuovo cominciò a insegnare vicino al mare". Abbiamo già visto che non è un mare, ma è il lago di Galilea. Questo termine mare ricorda che, come Israele ha dovuto attraversare il mare per entrare nella terra della libertà, ora la terra della libertà è simboleggiata dal mare, ed è il mondo pagano.
"Egli allora salì su una barca e si mise seduto in mare". Quindi Gesù, non solo va verso il mare, ma sta nel mare (dai pagani), invitando la folla a seguirlo. Ma la folla non se la sente di seguire Gesù, di andare con i pagani, "tutta la folla rimase a terra di fronte il mare".
E Gesù insegna: "Ascoltate", che ci richiama il famoso "Ascolta Israele", la formula con la quale Mosè si rivolgeva al popolo per fargli conoscere la volontà di Dio: e racconta la parabola del seminatore: leggiamola attentamente sul Vangelo. Anche se poi Gesù la spiega, vediamo alcuni particolari da approfondire.
Il satana, nel Vangelo di Marco, è l'immagine del potere, ma dobbiamo distinguere tra potere e autorità: il potere è sempre diabolico, viene sempre dal satana; l'autorità viene da Gesù; la parola di Dio è incompatibile con il potere, il dominio sugli altri.
"Altri caddero nella terra buona e ... diedero frutto, producendo ..." Qui dobbiamo sapere alcune notizie agricole dell'epoca. Quando un raccolto era abbondante, normalmente ogni spiga aveva 13, massimo 15 chicchi; in anni eccezionali capitava che una spiga avesse 30 chicchi. Ma quello che è eccezionale, per chi accoglie il messaggio di Gesù è soltanto la base di partenza: infatti dice "resero trenta per uno, sessanta per uno, cento per uno" dove il "cento" non è solo una produzione incredibile, ma il numero cento nella Bibbia è immagine di benedizione.
I quattro terreni poi non significano necessariamente quattro categorie di persone, ma quattro atteggiamenti che possono convivere in ognuno di noi, in ogni credente.
Gesù aggiunge: "Chi ha orecchie per udire, ascolti!" La parabola è iniziata con l'invito all'ascolto e termina con un'esortazione all'ascolto che ricorda il rimprovero di Mosè al popolo, che non ha voluto ascoltare la voce del Signore.
Gesù mette anche sull'avviso la comunità cristiana, chi trasmette il messaggio non si faccia illusioni: su un solo terreno la parola metterà radice e fruttificherà.
Ci vuole il contadino per la semina, ma poi il seme del Regno di Dio si sviluppa secondo i suoi tempi, qualunque cosa faccia il contadino, che sia sveglio o dorma, ...
I Dodici e gli altri non hanno compreso la parabola, e neanche il motivo per cui Gesù si mette a parlare in parabole e non parli chiaramente. E Gesù spiega che "A voi è stato comunicato il segreto del Regno di Dio": il segreto è quanto abbiamo visto, cioè il Regno di Dio è per tutti, ed è il regno dell'amore universale di Dio.
Alla gente "di fuori" (abbiamo già visto chi sono quelli di fuori, scheda 5) invece parla in parabole, in modo che chi è in sintonia può capire; per gli altri la parabola sarà un pensiero che dovranno maturare.
Questa poi non è una parabola fra le tante, ma è la parabola che aiuta a comprendere sia le altre parabole che tutto il messaggio di Gesù. Ecco la spiegazione stessa di Gesù: "Il seminatore semina la parola" nel testo greco 'logos', che indica che in questa semina c'è tutto il messaggio di Gesù, che possiamo racchiudere in quello che abbiamo già visto: Dio è amore e non ha altra maniera di rapportarsi alle persone che non sia quella dell'amore.
Gesù è la luce del mondo, e non rivendica soltanto a sé stesso questa caratteristica, ma tutti quelli che accolgono il suo messaggio diventano luce: noi tutti siamo chiamati ad essere luce e questa luce non si mette sotto il moggio.
Il moggio era il recipiente che serviva per misurare il grano; la parola di Gesù, paragonata ad un chicco di seme che produce in noi il centuplo, non deve essere tenuta solo per noi, ma dobbiamo farne dono all'altro.
"Con la misura con la quale misurate...". In questo solo versetto c'è la dinamica meravigliosa della vita del credente che accoglie il messaggio di Gesù, che ci garantisce che quando mettiamo la nostra vita al servizio degli altri non perdiamo assolutamente niente. Anzi, non solo ci torna indietro quanto diamo, ma "... vi sarà aggiunto in più": è il regalo di Dio, l'individuo che mette la propria esistenza al servizio degli altri non solo non viene sminuito, ma si arricchisce.
"A chi ha sarà dato ..." Il verbo avere qui significa produrre: "a colui che produce sarà dato": chi produce amore riceve dal Padre una risposta superiore a quella che è stata capace di dare, ma a chi pur ricevendo questo amore non produce (non ha), a chi rifiuta di produrre amore sarà tolto, cioè si esaurirà, anche l'amore che aveva ricevuto.
Dio comunica il suo amore a tutte le persone indipendentemente dal loro comportamento e dalla loro risposta, ma questo amore diventa operativo ed efficace nella persona soltanto quando si traduce in altrettanto amore verso gli altri.
La parabola termina con la sicurezza che Gesù dà di fronte alla lentezza della realizzazione del suo regno: ancora oggi noi, dopo 2000 anni, ci chiediamo dov'è il regno di Dio? La parabola del granello di senape è la risposta, breve ma importante.
Quando Gesù paragona il Regno di Dio ad un granello di senape, gli uditori saranno stati sconcertati: invece di usare l'immagine di un grande cedro proposta da Ezechiele (cap. 17), spettacolare, straordinario, che attira l'attenzione, Gesù paragona il Regno ad un granello minuscolo. Quando è seminato, il granello dà origine una pianta che è la più grande ... dell'orto!!! Nulla di grandioso, non sull'alto monte, ma una pianta che in Palestina era infestante, il piccolo seme si posava e germogliava dappertutto.
Quindi Gesù ci dà una garanzia: il chicco di senape, cioè il regno di Dio, è un seme infestante ed il regno di Dio, essendo piccolo arriverà dappertutto.
Il regno di Dio anche nel suo massimo sviluppo non attirerà l'attenzione per la sua meraviglia e per la sua spettacolarità, ma come il chicco di senape, essendo un pianta infestante, si manifesterà ovunque e arriverà dovunque.
Poi Gesù prende i discepoli in disparte, è un termine "tecnico" nei vangeli: non è un favore che fa loro, un privilegio. Significa che essi non hanno ancora capito niente perché sono dominati dall'idea del successo e della ambizione, la loro idea di Messia come uomo di potere non corrisponde a quella che Gesù ha annunziato. Vedremo che non capiranno neanche quando annunzierà loro che andrà a Gerusalemme per morire.
Allora Gesù, proprio ai discepoli, deve rispiegare tutto quanto.
Filippo Giovanelli
Parrocchia di San Giacomo – Sala
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"Il Vangelo di Marco: ANNO B"
in "La Messa, occasione di ... catechesi della Parola"