La promessa di Gesù è stata: «Voi mi sarete testimoni e io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso ... potenza dall'alto» (Lc 24,48-49), e anche nel vangelo di Giovanni le parole di Gesù indicano che lo Spirito abilita innanzitutto alla testimonianza (Gv 15,26-27).
Questo avviene con una serie di energie dispiegate dallo Spirito: egli innanzitutto, come «compagno inseparabile» della Parola, dona la parola di Dio al cristiano e gli permette di accoglierla quale veramente è: parola di Dio, anche se detta dagli uomini (cf. 1Ts 2,13), anche se contenuta nelle Scritture (2Tm 3,16) o nella parola letta nella chiesa (Ap 1,3). Suo compito preciso è soprattutto rendere «vita» la parola del Signore (Gv 6,63), è ricordare le parole di Gesù (Gv 14,26), è insegnare, diventare il maestro interiore riguardo a tutte le cose del Padre. Lo Spirito santo che scende nello spirito del cristiano, che apre la sua mente all'intelligenza delle Scritture (Lc 24,45) risuscita la lettera morta delle Scritture in Parola del Signore perché l'anàgnosis diventi anàmnesis, cioè ciò che è stato detto nei tempi passati venga ricordato in modo vivo ed efficace nell'oggi. La stessa dinamica pasquale dello Spirito santo che ha risuscitato Gesù, risuscita la parola e fa dell'ascoltatore cristiano un testimone e un servo della Parola. «Dove c'è la parola, là c'è lo Spirito santo, sia in chi ascolta sia in chi evangelizza», scriveva Lutero 9 e dove c'è il servizio della parola (diakonìa toû lògou: At 6,4), c'è anche la diakonìa toû pneùmatos (2Cor 3,8).
Nel tempo che va dalla resurrezione di Gesù fino alla parusia, il tempo dei gojim e della chiesa (Lc 21,24 e Ap 11,2), è lo Spirito santo il grande protagonista della testimonianza, così come lo è dell'evangelizzazione e della missione. Egli parla ancora oggi alle chiese - e andrebbe ascoltato con attenzione e vigilanza escatologiche (Ap 2,7.11.17 ecc.) - e fa parlare nelle chiese e al mondo i testimoni di Cristo risorto che di lui sono ricolmi. E infine, in questo agire testimoniale dello Spirito, non può essere dimenticato il frutto decisivo: il martirio. Il martire è l'opera per eccellenza dello Spirito santo, una vera epifania della sua vita e della sua potenza. E non solo lo Spirito santo parla nel cristiano perseguitato che non deve né temere né prepararsi una difesa (Mt 10,19-20 e Lc 12,12), ma rende capace il cristiano di testimoniare la realtà della resurrezione di Gesù. Nella chiesa antica i cristiani non ricorrevano ad argomenti apologetici come la tomba vuota o le apparizioni di Gesù per annunciare la sua resurrezione, ma mostravano la verità di questo evento attraverso il martirio. Dicevano che Gesù era il Signore non confessandolo a voce, ma mostrando che soltanto lui regnava su di loro nella vita e nella morte. Tertulliano poteva perciò consolare i condannati al martirio ricordando loro che lo Spirito santo era il loro allenatore nel combattimento (Ai martiri III) e sarebbe stato premio e gloria perché lo Spirito santo è il Regno di Dio stesso. Oggi che «la chiesa è diventata nuovamente chiesa di martiri, essa vive la sua pentecoste rinnovata perché dove c'è il martire, là c'è lo Spirito di Dio che riposa su di lui (1Pt 4,14) e si manifesta in tutta la sua potenza»10.
Come acqua zampillante che attira a sé, così lo Spirito, nel cuore del martire, dice: «Vieni al Padre!»11
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