Primo momento
Secondo momento
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Il corpo e la preghiera I
Occorre allora non solo pensare ma anche agire, in questo campo, in modo giusto.
E cioè non dobbiamo trattare il corpo con disinvoltura, né essere schiavi.
Occorre amare il proprio corpo come d’altra parte abbiamo il dovere di amare noi stessi. Ciò significa averne cura: cibo, igiene, riposo, sonno, cultura fisica.
Dobbiamo educarlo con intelligenza, pazienza, perseveranza, correggerne i difetti e coltivarne la virtualità.
Per il cristiano non basterà realizzare un matrimonio del corpo e dell’anima, avrà un ambizione superiore: acquisire un “corpo spirituale”, come dice S. Paolo nella prima lettera ai Corinzi 15/44, impregnato dello Spirito Santo. Agli stessi corinzi (1 Cor. 6/13) S. Paolo proporrà questo ideale incredibile: “Il corpo è per il Signore, ed il Signore è per il corpo”.
Ma …. il cristiano non si nutre forse del Corpo risuscitato di Gesù?
Partecipazione del copro alla preghiera allora, ma …. Il corpo non deve opporsi alla preghiera, ad esempio con un eccessiva tensione o nervosismo che talvolta è tale da disturbare anche il ritmo della respirazione.
Comincia allora ad imparare a superare questo ostacolo seguendo un metodo semplice, troverai in questo sito
Nell’area Esperienze formative
Nella rubrica Percorsi spirituali
Alla voce deserto
Vuoi fare deserto on line I
E’ un metodo di respirazione che ti aiuterà a superare la tensione, esercitati un poco. In un prossimo articolo diremo ancora qualcosa sul corpo poi passeremo agli esercizi pratici.
Il corpo e la preghiera II
Chi apprende a ridurre l’agitazione biologica del suo corpo constata rapidamente che si placa in lui anche l’agitazione del pensiero, il fluttuare inquieto della sua mente, delle sue idee ed emozioni .
Occorre dunque desiderare di ottenere dal proprio corpo un aiuto positivo per la preghiera, cosi che possa far beneficiare lo spirito della sua vitalità, del suo equilibrio, della sua pace.
Il corpo può iniziare lo spirito , allo slancio, all’abbandono, all’offerta a Dio.
Teniamo presente che la più alta vocazione del corpo è quella di essere un linguaggio. Mettere in opera le risorse del proprio corpo per esprimere la propria vita profonda è una grande arte e se ciò è vero nelle relazioni umane è ugualmente vero per i rapporti con Dio.
Per questo presenteremo in questa rubrica, accanto agli atteggiamenti che favoriscono la stabilità e l’attenzione del corpo, anche degli atteggiamenti che esprimono i differenti atteggiamenti interiori di chi prega.
A ciascuno poi il compito di scoprire quelli che corrispondono meglio alla sua preghiera interiore.
E’ dunque desiderabile che l’uomo, la donna, di preghiera giungano ad una sinfonia del corpo e dello Spirito.
Naturalmente occorre essere convinti che è possibile, volerlo ed esercitarsi.
Perciò questa rubrica vuole essere semplicemente un aiuto per fare conoscere i modi per raggiungere, come meta, questa armonia.
Occorre evidentemente distinguere ciò che è primario da ciò che è secondario.
Quando si tratta di preghiera, primaria è l’attività dello spirito, e del cuore in senso biblico, ma questo non impedisce che il trascurare la parte che riguarda il corpo può compromettere l’attività primaria che è quella dello spirito.
Ciò non significa che non si possa avere un elevato livello di preghiera essendo ammalati, teniamo però sempre presente che sano o ammalato, felice di vivere o addolorato il corpo deve essere come un ostensorio dell’anima che prega, una trasparenza di Dio.
“Glorificate Dio nel vostro corpo” scriveva S. Paolo ai Corinzi ed ai Romani diceva: “Vi esorto, fratelli, per la tenerezza di Dio ad offrire i vostri corpi come ostia vivente, santa, gradita a Dio: questo è il culto spirituale che dovete rendere”.
Primo momento
Tuttavia, avere una sana concezione del corpo, concepito come un tutt’uno con l’anima, non basta: bisogna anche agire coerentemente con questa convinzione.
Non si deve trattare il proprio corpo con superficialità, come un semplice strumento di cui ci si serve e che poi si butta via; e nemmeno rendersene schiavi, come si fa con un cane al quale si getta un osso per essere lasciati in pace:
Amare se stessi vuol dire amare il proprio corpo. Per prima cosa, bisogna averne cura, nutrendolo convenientemente, curandone l’igiene, preoccupandosi affinché abbia un sano riposo, dorma a sufficienza faccia attività fisica. ….Quanto numerosi sono i peccati di omissione, in questo campo, e di cui non ci rendiamo conto! Aver cura del proprio corpo, ancora non basta: bisogna educarlo con intelligenza, pazienza, perseveranza, il che vuol dire correggere i suoi errori e coltivare le sue potenzialità. Ancora meglio: bisogna ”abitare il proprio corpo” realizzare ”il matrimonio del corpo e dello spirito”, espressioni queste che però non diranno nulla a colui che non ha fatto questa esperienza. Il cristiano vuole andare ancora più in là: si tratta per lui di conquistare un”corpo spirituale” (1 Cor,15,44) tutto ”impregnato” di Spirito Santo. Sempre ai Corinti, San Paolo propone questo incredibile ideale: ”Il corpo è per il Signore e il Signore per il corpo.” (1 Cor,6,13). Ciò, a ben vedere, non è poi così sorprendente, poiché il cristiano si nutre del corpo risuscitato di Gesù Cristo:
Questo preambolo un po’ lungo, era tuttavia necessario prima di arrivare a parlare della partecipazione del corpo alla preghiera.La prima cosa essenziale è che il corpo non ponga resistenza alla preghiera, come farebbe un ragazzo maleducato, sensuale, prepotente. Anche questo però non basta e occorre un’altra cosa:la preghiera non deve essere distratta e resa difficoltosa dai suoi mali, dalla stanchezza, da un’eccessiva tensione fisica e nervosa, (mali dell’uomo moderno). Un impedimento è spesso rappresentato da un modo scorretto di respirare: la respirazione è spesso superficiale, spezzata, irregolare.
Anche la postura è importante: se il corpo non è diritto, immobile, nemmeno lo spirito potrà conseguire la vera distensione necessaria; da qui si deduce quanto sia importante l’atteggiamento corporeo che però, si badi bene, deve essere di attenzione, perché altrimenti si corre il rischio di cadere in uno stato di sonnolenza..
Chi impara a dominare il proprio corpo, constata molto presto che anche la mente ne viene positivamente influenzata.
Ti suggeriamo di imparare a superare l’ostacolo di una respirazione adeguata seguendo le informazioni sotto indicate:
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nell’Area: “esperienze formative”
nella rubrica: “percorsi spirituali”
nel tema: “deserto”
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Secondo momento
Ma si può ottenere ancora di più, e cioè che il corpo dia esso stesso un apporto positivo alla preghiera e ciò si verifica se esso riesce a trasmettere allo spirito la sua vitalità, il suo equilibrio, la sua pace. Lo spirito allora andrà verso la distensione,lo slancio,l’abbandono, l’offerta a Dio. Bisogna inoltre essere consapevoli del fatto che il corpo è ricco di energie che, canalizzate,fortificano lo spirito e lo sostengono nell’atto della preghiera.
La più alta vocazione del corpo,è però quella di farsi parola e lo si capisce in modo straziante,quando ci si trova al capezzale di una persona cara che ha perduto l’uso della parola e delle membra. Mettere in opera le risorse del proprio corpo per esprimere la propria vita intima è un’arte difficile: se ciò è vero nelle relazioni umane,tanto più lo è nei rapporti con Dio..È per questo motivo che,accanto alle attitudini che favoriscono la stabilità e la vitalità del corpo,indichiamo come molto importanti le posizioni che traducono i diversi atteggiamenti interiori di colui che prega..Ciascuno poi scoprirà quelle che meglio si addicono,secondo le disposizioni del momento,alla sua preghiera interiore.
Torniamo così al punto di partenza:è bello vedere un uomo che prega,con il corpo da cui l’anima traspare,i cui movimenti, gesti, sono la completa espressione di un’anima viva,ardente,adorante,innamorata.Vi sono momenti,che fanno pensare alla bellezza di una danza…
Come sarebbe bello se ogni uomo di preghiera potesse pervenire a questa sinfonia del corpo e dello spirito! Ciò può avvenire, se egli si convince che è possibile, se lo vuole e se poi mette in atto le strategie necessarie per riuscirvi.
Tuttavia,in questo campo,come in ogni altro,bisogna ben distinguere ciò che è più importante da ciò che lo è meno.Quando si tratta della preghiera,al primo posto viene naturalmente l’attività dello spirito, del”cuore”nel senso biblico del termine-non dimentichiamo la parola del profeta:”Questo popolo mi onora con le labbra,ma il suo cuore è lontano da me” (Isaia,29,13)Se però si trascura l’aspetto che riguarda il corpo,anche l’attività primaria,quella dello spirito,può esserne compromessa.
Consideriamo però che si può pregare,e in maniera sublime,anche nella malattia e nell’infermità.Al corpo torturato dalla sofferenza,viene offerto un altro modo di partecipare alla preghiera-offerta,quella del Cristo sulla croce.
Sano o ammalato,felice di vivere o sprofondato nel dolore,il corpo dell’uomo deve essere l’ostensorio dell’anima orante, attraverso il quale si mostra Dio: ”Glorificate dunque Dio nel vostro corpo” scriveva san Paolo, ai Corinti(1 Cor,6,20) e ai Romani (12,1):
“Vi esorto, fratelli,per la misericordia a di Dio,a offrire il vostro corpo(è proprio la parola corpo che vi è nel testo greco) quale sacrificio vivo, santo, gradito a Dio: questo è il culto che dovete rendergli”
Tradotto e adattato da M.Grazia Hamerl
In attesa di sviluppare il programma, anche attraverso immagini corporee, vi presentiamo alcuni stimoli di approfondimento su cui riflettere.
Input di approfondimento - 1
Da " Jesus"/ maggio 2003
IN PRINCIPIO… ERA IL RESPIRO
Chiunque pratichi uno sport sa qual è l'importanza del fiato, del respiro. Anche per la "ginnastica dell'anima" il respiro è forse l'elemento principe. Pregare lasciandosi guidare dal ritmo della respirazione è pratica diffusa in Oriente e in Occidente, nei monasteri zen o tra i monaci ortodossi del Monte Athos. Auscultare e "addomesticare" il respiro, per raggiungere l'armonia completa, la fusione con il cosmo, è un ideale ascetico in molte religioni orientali. E anche la tradizione biblica, con il soffio creatore di Dio (ruah), con lo spirito che infonde vita al creato, sembra sottolineare il ruolo decisivo del respiro, il suo potere, la sua forza creatri-ce. Nella pratica ascetica - come nello sport - il fiato aumenta con l'allenamento. Per questo, i veri maestri insistono sul valore della perseveranza, dell'assiduità. Ciò che conta è non perdere di vista l'obiettivo, adattando gli sforzi al suo raggiungimento. Ma il paragone tra l'ascesi e la ginnastica o la corsa si ferma qui. Perché l'ascesi cristiana non è una tecnica o un insieme di tecniche e di metodi più o meno sofisticati. È una disposizione dello spirito e del corpo alla ricerca dell'essenziale, cammino di pacificazione e di unificazione interiore, per riconoscere nel proprio respiro il respiro di Dio, come scriveva un vescovo dei primi secoli del cristianesimo, Teofilo di Antiochia: «Dio ha dato alla terra il respiro che la nutre. È il suo alito che da vita a ogni cosa. Senza il suo respiro, tutto sarebbe annientato. Questo respiro vibra nel tuo, nella tua voce. Quello che tu respiri è il Soffio di Dio» (AdAutolico 1, 7).
Piero Pisarra
Input di approfondimento - 2
Da " Jesus"/ maggio 2003
LA PREGHIERA?
COMINCIA DAI PIEDI
La ginnastica dell'anima comincia dai... piedi. Non soltanto nell'India del dio Shiva, re dei danzatori. Disprezzati nel linguaggio comune («è fatto coi piedi!»), considerati in molte culture come cosa "bassa", indecente, da nascondere, i piedi sono gli organi forse più spirituali (con buona pace degli psicoanalisti che in essi vedono un simbolo erotico o sessuale). «Avere i piedi per terra» è prova di realismo, ma anche di sana spiritualità. L'uomo biblico sta in piedi «nella casa del Signore» (Sai 133,1): la stazione eretta è l'atteggiamento più frequente di preghiera, segno dell'unione tra cielo e terra e del protendersi, con tutto il corpo, verso l'Altissimo. «Alzatevi e pregate», dice Gesù, profeta itinerante, ai suoi discepoli (Le 22,46). Alzarsi, mettersi in cammino: l'invito risuona in molte altre pagine dei Vangeli e negli scritti dei Padri. Perché il cristiano è homo viator, pellegrino dell'assoluto, in viaggio verso la patria dei cieli: tutt'altro che un sedentario. Attenti, però, a non inciampare, ammonisce l'autore della lettera agli Ebrei (12,13), «perché il piede zoppicante non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire». Coi piedi si danza e, danzando, si prega. Talvolta, fino all'estasi. Come nei rituali dei dervisci e di altre confraternite musulmane. E se in passato cadere ai piedi di qualcuno poteva essere gesto di rispetto o di supplica, oggi - nell'imperversare dei venti di guerra - torna di attualità l'esclamazione del profeta Isaia (52,7): «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annunzia la pace».
Piero Pisarra
Input di approfondimento - 3
Da " Jesus"/ maggio 2003
Con le mani per benedire e per sporcarsi nella storia
«L'uomo è intelligente perché ha le mani», diceva il filosofo Anassagora. Ma ciò che vale per l'homo faber, per l'ingegnere e il tecnico, a maggior ragione vale per l'homo religiosus. In tutte le culture l'uomo esprime con le mani la relazione con il divino. Mani protese in segno di adorazione o alzate «per l'offerta della sera» (Sai 141,2), mani che benedicono o che maledicono, che assolvono o che condannano, che offendono, che uccidono o che curano. Nella Bibbia, la mano è simbolo della potenza divina (e in questa funzione la vediamo rappresentata, mentre spunta dal cielo, nella scena del sacrifìcio di Isacco, in un affresco della sinagoga di Dura Europos, in Siria, o sui timpani delle cattedrali). Con le mani, il Signore manifesta la sua benevolenza per gli uomini: «Tu apri la mano, si saziano di beni» (Sai 104,28). Dalle mani dell'Altissimo, scocca l'invisibile scintilla da cui nascono l'universo e il primo uomo, come nell'affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina. Nel monachesimo delle origini, tendere le mani verso l'alto era una delle forme più diffuse di preghiera. Non senza qualche inconveniente. Come veniamo a sapere da questo delizioso apofteg-ma dei Padri del deserto: «Di abba Sisoes raccontavano che se non faceva presto ad abbassare le braccia quando stava in preghiera, il suo spirito era rapito in alto. Perciò se accadeva che dei fratelli pregassero assieme a lui, si affrettava ad abbassare le braccia perché il suo spirito non venisse rapito e rimanesse a lungo in alto»* Tuttavia la mano non è soltanto un elemento importante di ogni "ginnastica dell'anima" o di ogni esercizio ascetico, essa è anche il segno di una Chiesa umile e povera, di una Chiesa col grembiule - come diceva don Tonino Bello -, di cristiani che non esitano a «sporcarsi le mani» nel fango della storia.
Piero Pisarra
Input di approfondimento - 4
Da " Jesus"/ maggio 2003
Piegati sul ventre, ma non per contemplare l'ombelico
Sarebbe facile liquidare il ventre come il centro degli istinti o degli appetiti più bassi. E ricordare che san Paolo condanna «coloro che hanno come Dio il loro ventre» (Fil 3,19). Sarebbe facile enumerare i misfatti, l'ingordigia, gli sprechi, i crimini compiuti ogni giorno in nome del "dio Ventre". Sarebbe facile, ma ingannevole. Perché le passioni e il peccato non nascono dal ventre, bensì dal cuore. Anche il peccato della gola, chiamato dai Padri orientali "gastrimargia". «Dal cuore degli uomini», dice Gesù nel vangelo di Marco (7,21-22), «escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità...». Qual è, dunque, il ruolo del ventre nella "ginnastica dell'anima"? Nelle religioni orientali, il ventre è la sede del soffio vitale, del respiro primordiale, simbolo di solidità e di impassibilità, come il ventre nudo di Buddha che vediamo in molte statue. Ma anche i grandi "esicasti", monaci e mistici della Chiesa d'Oriente alla ricerca dell'hesychia cioè della pace interiore e dell'unione con Dio, hanno adottato talvolta una postura rivolta verso il ventre, raggomitolandosi con la testa tra le ginocchia. Tanto da essere chiamati, dai loro nemici, "omfalolatri", adoratori dell'ombelico. Accusa superficiale e ingiustificata, perché anche in questo caso non è il ventre bensì il cuore - organo spirituale per eccellenza - l'oggetto delle cure. E lo scopo della pratica ascetica non è la discesa nelle profondità del ventre, ma la purificazione (prima di tutto dai "pensieri" che ingombrano lo spirito) e l'elevazione, la ricerca dell'unione con Dio.
Piero Pisarra
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