1. Dal tempio di Gerusalemme al tempio spirituale
Il culto del popolo di Dio nell’Antico Testamento ha luoghi privilegiati. Al tempo dei Patriarchi sono i santuari di Sichem, Bethel, Mambrè, cui è legato il ricordo di particolari manifestazioni divine. Durante il viaggio e il soggiorno nel deserto, la “tenda dell’incontro” è il segno della presenza del Signore fra il suo popolo, ed il luogo ove Mosè parla con Dio, Aronne offre i sacrifici, il popolo convocato prega. Aspirazione di Davide è dare stabilità al luogo santo ove il Signore si incontra con il suo popolo. Tale aspirazione sarà realizzata da Salomone, che lo inaugura con solenne cerimonia e con ispirata preghiera (1 Re 8).
La legge dell’unità del culto e dell’unicità del luogo sacro (cfr. Deuteronomio cap. 12) porta ad una centralizzazione del culto che si può ormai svolgere solo a Gerusalemme. Il tempio è segno della presenza di Dio fra il suo popolo, abitazione del Signore che ha scelto Gerusalemme come trono della sua gloria, luogo ove Dio ascolta la preghiera dei suoi fedeli e la esaudisce. Con i pellegrinaggi annuali al tempio fiorisce una suggestiva spiritualità intorno alla casa di Dio. Ma vi è anche il pericolo di materializzare la religione; contro di esso reagiscono i profeti, affermando che “l’Altissimo non abita in case fatte da mano d’uomo” (Is. 66,1).
Con la venuta del Cristo il tempio perde la sua funzione. “Distruggete questo santuario; in tre giorni io lo ricostruirò. Egli parlava del santuario del suo corpo” (Giov. 2,19). Il luogo privilegiato della presenza del Signore è ormai l’Umanità di Gesù; dopo la Ascensione nella gloria, l’Umanità gloriosa rimane il luogo dell’incontro degli uomini con Dio. L’economia antica è superata, anche nel culto; Gesù dice alla Samaritana che è venuto il tempo in cui non si adorerà più Dio “in questo o in quel luogo”. I veri adoratori del Padre sono ormai coloro che, santificati dallo Spirito, sono uniti al Cristo. Sulla terra la presenza del Signore è assicurata alla comunità dei suoi fedeli: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro” (NT. 18,20; cfr. C.L. art. 7).
Nel culto nuovo ciò che vale innanzitutto non è il luogo ma la comunità riunita, l’assemblea dei fedeli. Essi costituiscono il tempio del Dio vivente (2 Cor. 6,16); come pietre vive, essi formano il tempio spirituale, costruito su Cristo, pietra angolare (1 Pt. 2,4 s). In questo tempio vivo, santificato dallo Spirito, Dio cerca la sua gloria. Sulla terra la Chiesa è ancora in costruzione, in cammino; in Cielo, nella Gerusalemme celeste, l’assemblea dei beati non avrà bisogno di un tempio: “In essa non vidi alcun Tempio, perché il suo Tempio è il Signore, Dio onnipotente e l’agnello” (Apoc. 21,2).
2. L’assemblea liturgica
“Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è ‘sacramento di unità, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi” (C.L. art. 26). Le azioni sacre della liturgia appartengono all’intero Corpo della Chiesa; concretamente però esse si celebrano in un gruppo di fedeli riuniti intorno al ministro celebrante. “Ogni volta che i riti comportano, secondo la particolare natura di ciascuno, una celebrazione comunitaria caratterizzata dalla presenza e dalla partecipazione attiva dei fedeli, si inculchi che questa, per quanto è possibile, deve essere preferita alla celebrazione individuale e quasi privata” (C.L. art. 27). Anche se in certe situazioni le azioni liturgiche si possono celebrare senza l’intervento di una comunità di fedeli, rimane vero che esse sono, di diritto, ecclesiali e che per loro natura richiedono di essere svolte in una assemblea.
L’assemblea liturgica è la riunione dei fedeli, convocati dalla Parola di Dio annunciata da un suo ministro, per celebrare i misteri della salvezza, per parteciparvi in un eventuale atto sacramentale (specialmente l’Eucaristia), per pregare in comune e impegnarsi nella carità. Ogni assemblea liturgica è una porzione di Chiesa, riunita in un certo luogo; in essa si esprime la Chiesa nella sua realtà di comunità di redenti, chiamati alla salvezza, sotto la guida di ministri gerarchici che hanno missione e poteri da Dio per condurre a questa salvezza. Essa è veramente “Ecclesia”, nel senso greco di adunanza di convocati, riunione di chiamati.
L’assemblea è riunione dei cristiani nella fraternità, quindi senza esclusioni e senza distinzioni: chiunque è battezzato ed in comunione con la Chiesa può accedervi e partecipare alla comune celebrazione. Per lo più le assemblee si caratterizzano per località: riunione di fedeli che abitano in un certo territorio; ma senza chiusura a quelli che vengono da altra località. Per certi atti però è necessaria l’appartenenza giuridica ad una certa comunità, come nel caso del Matrimonio. Nella assemblea del culto si stabilisce un legame intimo fra i partecipanti, esso dovrebbe rimanere come vincolo di carità e pegno di collaborazione anche al di fuori dell’azione sacra. Per questo si preferisce che ciascun fedele partecipi alla assemblea liturgica della comunità parrocchiale cui appartiene. Ma si danno assemblee anche di comunità religiose, di istituti di educazione, di associazioni, ecc.
L’assemblea cultuale cristiana è gerarchica, presieduta da un ministro sacro che, per propria autorità o per delega, guida la celebrazione ponendo gli atti principali, specialmente quelli sacramentali. In una Chiesa diocesana, il grande sacerdote del popolo cristiano è il vescovo. La piena espressione della Chiesa si ha infatti “nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle stesse celebrazioni liturgiche, soprattutto alla stessa Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri” (C.L. art. 41). “Poiché nella sua Chiesa il vescovo non può presiedere personalmente, sempre e dappertutto, l’intero suo gregge, deve costituire dei gruppi di fedeli”; i sacerdoti che presiedono le assemblee liturgiche di questi gruppi più ristretti “fanno le veci del vescovo”. Fra questi gruppi hanno un posto preminente le parrocchie. (C.L. art. 42).
Nell’esercizio del suo ministero sacerdotale il vescovo è segno del Cristo sacerdote presente alla comunità dei suoi fedeli; così anche il prete celebrante è segno del Cristo, in quanto agisce in suo nome e per sua autorità (C.L. art. 7; 33). Gli abiti sacri che i celebranti indossano esprimono questa posizione di preminenza nei riguardi della assemblea dei fedeli e la sacralità delle funzioni che essi compiono.
Nello svolgimento della celebrazione il celebrante è coadiuvato da ministri che compiono diverse funzioni:
- i ministri della lettura: lettori e diacono;
- ministri del celebrante: i ministranti, nelle celebrazioni solenni il celebrante è coadiuvato dal diacono, e da accoliti;
- ministri al servizio del popolo: un tempo il diacono aveva il compito di rivolgersi al popolo, indicandogli ciò che doveva fare; oggi vi è il commentatore che aiuta i fedeli a partecipare consapevolmente e armoniosamente alla celebrazione;
- i cantori: distinti dall’assemblea, ma con la funzione di guidare questa nel canto.
“Anche i ministranti, i lettori, i commentatori, e i membri della schola cantorum svolgono un vero ministero liturgico” (C.L. art. 29).
L’azione sacra compiuta dalla assemblea comporta la collaborazione armoniosa di più persone, senza sovrapposizioni e duplicazioni, come purtroppo è avvenuto nei secoli scorsi. “Nelle celebrazioni liturgiche ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio, si limita a compiere tutto e soltanto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza” CC. 1. art. 28). I prossimi libri liturgici dovranno indicare chiaramente le parti spettanti ai fedeli, che troveranno nel rito le forme adatte ad esprimere la loro attiva partecipazione (C.L. art. 30).
Tutto ciò che si fa nella celebrazione deve manifestare l’organica collaborazione di tutti nella azione sacra. Questa si esprime particolarmente nelle orazioni che il sacerdote fa a nome ed in favore dell’assemblea. Precedute da un saluto e da una risposta (Il Signore sia con voi - e con il tuo Spirito), sono introdotte da un invito che il celebrante rivolge a tutta l’assemblea (Preghiamo; Pregate, fratelli; Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio) e vengono formulate al plurale. A conclusione della recitazione della formula, l’assemblea interviene a ratificare, approvare, sottoscrivere quanto è stato detto dal suo “presidente”, con l’Amen. Questa acclamazione, derivata dall’ebraico e presente in tutte le liturgie, nonostante le diverse lingue, è formula di adesione, approvazione, consenso, partecipazione. In essa la assemblea manifesta la sua partecipazione all’orazione che ha seguito in silenzio, ma con intelligenza ed interiore adesione.
Anche il comune comportamento esprime la partecipazione vigile, pronta e comunitaria all’azione sacra. Le posizioni del corpo hanno pure un loro significato. Lo stare in piedi è la posizione tipica della preghiera cristiana, poiché il fedele è redento da Cristo, con lui risorto, da lui elevato alla dignità di figlio di Dio. Come il sacerdote sta in piedi, all’altare, così i fedeli stanno ritti davanti al Padre, con rispettosa fiducia e confidente sicurezza; essi mostrano di attendere vigilanti e pronti il ritorno del Signore. Lo stare in ginocchio è segno di pentimento e di umile supplica, oltre che di profonda adorazione. L’assemblea si inginocchia nei momenti penitenziali, durante le umili invocazioni, e per esprimere adorazione al Signore presente nell’Eucaristia. Per l’ascolto della Parola di Dio, anche per il canto di meditazione, nei periodi di attesa, ci si pone a sedere.
3. Il tempio cristiano
Una riunione richiede uno spazio; una assemblea religiosa esige un ambiente protetto e raccolto; una celebrazione sacra si deve svolgere in una assemblea di fedeli, sottratta a sguardi curiosi, increduli o beffardi. Fin dagli inizi la comunità cristiana ha cercato i luoghi della sua adunanza: a Gerusalemme nel Cenacolo, o nella casa di Maria madre di Marco; nelle altre città presso qualche casa privata. Ben presto si adatteranno locali, o se ne costruiranno di nuovi, per i servizi cultuali e caritativi della comunità. Gli edifici di culto si moltiplicheranno con la libertà concessa alla nuova religione.
E’ interessante notare come gli edifici per il culto cristiano differiscano notevolmente dai templi pagani, e dallo stesso tempio ebraico. I templi pagani consistevano essenzialmente nella “cella dell’idolo”, indicante l’abitazione della divinità. Anche il tempio di Gerusalemme era strutturato sul “sancta sanctorum”. I fedeli rimanevano all’esterno. Il tempio cristiano invece è una vasta sala che ospita l’assemblea; è la casa dell’assemblea (domus ecclesiae) prima ancora che casa di Dio (domus Dei). Non v’è culto senza assemblea dei fedeli, mentre vi può essere anche indipendentemente da un apposito locale sacro. Il termine che designa il popolo cristiano raccolto per il culto (ecclesia) verrà un po’ alla volta ad indicare anche l’edificio che l’accoglie. I templi cristiani si chiameranno: ecclesiae, chiese.
Non solo viene trasferito all’edificio il termine, ma anche la qualità sacra della comunità che in esso si aduna. Il luogo del culto viene considerato sacro, perché in esso si riunisce un popolo santo, perché è santificato dalla presenza del Signore, perché vi si svolgono le celebrazioni degli augusti misteri cristiani. Per distinguerlo dalle altre costruzioni ed indicare che ormai è adibito esclusivamente al culto, esso viene consacrato con apposito rito. Come il popolo cristiano è purificato dall’acqua battesimale e consacrato nell’unzione crismale, così anche il tempio viene purificato con una cerimonia di lustrazione e viene consacrato con unzioni di sacro crisma (cfr. il rito della dedicazione di una chiesa nel secondo libro del Pontificale romano).
Nella spiritualità cristiana e nella preghiera liturgica l’edificio sacro, materiale e visibile, diviene simbolo dell’edificio spirituale ed invisibile che si forma nelle celebrazioni sacre. La liturgia applica al tempio cristiano ciò che il Nuovo Testamento dice della Chiesa vivente, costruzione di Dio e tempio dello Spirito Santo. I testi della Messa per la dedicazione della chiesa, come gli inni e le antifone dell’Ufficio corrispondente, sono permeati di un simbolico suggestivo che vede nel tempio l’immagine della Chiesa che si edifica e che si prepara ad essere il tempio della gloria di Dio per l’eternità.
Lungo i secoli l’edificio sacro ha assunto forme varie, secondo gli stili architettonici dominanti, ma ha sempre conservato alcune caratteristiche fondamentali: uno spazio per l’assemblea del popolo cristiano ed uno spazio per l’azione dei ministri sacri. Il distacco dei fedeli dal culto ha dato origine a soluzioni architettoniche in cui il “presbiterio” risultava quasi separato dalla “navata”, rendendo difficoltosa la partecipazione attiva del popolo. Oggi si tende a costruire le chiese con criteri di funzionalità, comprendendo che l’edificio sacro è la casa della assemblea liturgica, che deve svolgere le celebrazioni in uno spazio convenientemente articolato (C.L. art. 124).
Nella Istruzione del 26 sett. 1964 si danno disposizioni precise (nn. 90—99) sulla “costruzione delle chiese e degli altari, in modo da facilitare la partecipazione attiva dei fedeli”. Nel “presbiterio” prendono rilievo la sede presidenziale, da cui il celebrante presiede l’assemblea e dirige le celebrazioni, e l’ambone, luogo della proclamazione della Parola di Dio. La posizione dell’altare verso il popolo, e la collocazione in luogo dignitoso e adeguato del tabernacolo, rendono più visibile e funzionale la celebrazione eucaristica.
Infatti non si deve mescolare il senso della Riserva Eucaristica con il senso della Celebrazione Eucaristica e non si deve sovrapporre la venerazione per la Riserva alla Celebrazione Eucaristica.
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