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Venerdì, 02 Aprile 2010 09:44

Vangelo (Luca 21,25-36)

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Comprensione del testo (Cosa dice la Parola in sé)

 

[25] Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti,

[26] mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.

[27] Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande.

[28] Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.

[29] E disse loro una parabola: “Guardate il fico e tutte le piante;

[30] quando già germogliano, guardandoli capite da voi stessi che ormai l’estate è vicina.

[31] Così pure, quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino.

[32] In verità vi dico: non passerà questa generazione finché tutto ciò sia avvenuto.

[33] Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

[34] State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso;

[35] come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra.

[36] Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”.

 

La venuta del Figlio dell’uomo è nel tessuto concreto delle vicende umane, dentro la nostra storia di male e in continuità con essa. Il discepolo vive la propria testimonianza in mezzo alle contraddizioni del mondo, e in essa vede il luogo della sua liberazione e del Regno.

Questo brano contiene una parabola sul discernimento (vv. 29-31) necessario per vedere la sua venuta gloriosa nella nube della croce. Precede un’affermazione sul suo significato di salvezza per l’uomo (v. 28) e seguono due sentenze, una sulla contemporaneità e l’altra sulla certezza di tale venuta (vv. 32.33).

Luca insegna al suo lettore a leggere con fede ciò che avviene. Alla luce della storia di Gesù, anche la nostra storia diventa trasparente, e lascia vedere in filigrana i lineamenti del Figlio dell’uomo nel suo mistero di morte e risurrezione. Al di là delle apparenze, il credente scorge nel travaglio della vicenda umana il destino stesso del seme gettato che muore e porta frutto.

Impariamo la lezione dal fico e da tutti gli altri alberi. Soprattutto dall’”arbor una nobilis”, quel legno verde che è la croce di Gesù. Gli. sconvolgimenti e tutte «queste cose» di cui si è parlato, sono da vivere non con angoscia mortale, ma come le doglie del parto (Mc 13,8; Rm 8,22). La parabola fa luce su molte questioni dei discepoli circa il quando, il che cosa e il come è la fine del mondo. Il «quando» è l’accadere di tutte queste cose, che corrisponde al germogliare del fico (vv. 28.31.30). Il «che cosa» consiste nella venuta del Figlio dell’uomo nella sua gloria, cioè in croce: egli è la nostra liberazione, il Regno che corrisponde all’estate, la stagione dei frutti (vv. 27.28.31). Il «come» è l’essere «vicino»: come il frutto è nella gemma, così il Regno e la salvezza sono nelle contrarietà del presente. Il regno di Dio infatti è in mezzo a noi in modo da non attirare l’attenzione (17,21). Per questo dobbiamo guardare bene, per discernere la venuta del Figlio dell’uomo: egli sulla croce si è fatto vicino ad ogni uomo e proprio lì lo salva, dandogli il suo regno.

Il contadino guarda il fico che germoglia; l’esperienza gli fa capire che l’estate è vicina. Noi dobbiamo guardare l’albero del maestro che germoglia nelle croci quotidiane del discepolo; se, come Paolo, abbiamo la sapienza di Dio, l‘esperienza ci fa capire la vicinanza del suo regno.

L’albero della croce non è solo indizio: è la realtà del giudizio di Dio che salva il mondo. Da lì impariamo a discernere il Regno e a vivere «con giudizio», cioè secondo il pensiero di Dio.

La prima comunità chiedeva con ansia: «quando sarà la fine?». Marco, il primo evangelista, dice di lasciar perdere (cf. 13,32; cf. At 1,7): il problema è come vivere il presente.

La nostra comunità, come quella di Luca, si chiede con delusione: «Ci sarà una fine? che senso ha il futuro?». Luca risponde che ciò che attendiamo è dato qui e ora nella nostra testimonianza: il Regno nella storia è sotto il segno dell’albero della croce. Come per il maestro, così per il discepolo.

Se Marco indirizza e corregge l’attesa di chi spera ancora, Luca dà animo a chi sperava e non spera più («speravamo»: 24,21). Per questo sottolinea il valore salvifico della nostra storia. In essa si attua il «dei» di Gesù, il passaggio necessario dalla vecchia alla nuova creazione. In Luca l’escatologia ha un carattere di quotidianità, come la croce (9,23). Questa contiene la risurrezione come la gemma del fico contiene il frutto. E senza fiori in mezzo!

In tutto questo discorso del c. 21 non è corretto chiedersi se l’evangelista intende parlare del futuro - personale e collettivo - o del passato o del presente. Luca, da buon cattolico, preferisce congiungere con «e» invece che dividere con «o». Parla infatti del nostro presente, da vivere nella «memoria» del passato di Gesù, che ci apre «oggi» la novità del suo futuro.

Queste parole precedono il racconto della sua morte e risurrezione, che celebriamo nell’eucaristia. Essa rapisce il discepolo in Dio, e gli dà forza per vivere al presente il passato del suo Signore, nell’attesa del suo ritorno.

La promessa di Dio è contemporanea a ogni generazione e dura in eterno (vv. 32-33). Con il malfattore, siamo chiamati a riconoscerla «oggi», realizzata nella vicinanza della sua alla nostra croce.

Il discernimento ci impedisce di cadere in facili deviazioni. Ci sono e ci sono sempre state molte sette che, promettendo una salvezza futura, alienano dal presente. Il cristiano non è ansioso della salvezza: sa che è il dono gratuito che Gesù, vero uomo e vero Dio, gli ha fatto, dandogli il suo Spirito. Questo ci permette di vivere già ora la vita eterna, come figli del Padre, fratelli del Signore e di tutti. Questa nostra vita, con le sue piccole cose quotidiane, è come un mercato. Il mercante avveduto ci guadagna il suo patrimonio; lo sprovveduto perde tutti i suoi averi.

 

 

MEDITAZIONE (Cosa dice la Parola oggi a me)

 

v. 25: «E vi saranno». I segni cosmici sono collegati con un semplice «e» ai mali storici accaduti. Sono quindi in continuità, e vanno letti allo stesso modo, ossia come avvenimenti del cammino della storia. L’attenzione di Luca è più concentrata sulla vicenda umana che su questi. Sono semplice cornice esterna di uno sconvolgimento interiore ben più grave: le paure dell’uomo.

 

«segni in sole e luna e astri». Sono l’orologio cosmico, che ritma il tempo dell’uomo Si rompe e s’arresta perché è finito il tempo dell’uomo ed è iniziato l’oggi di Dio. Ciò avviene nella morte di Gesù: il sole viene meno quando il malfattore entra nel Regno di luce che non ha più bisogno del sole (cf. .Ap 22,5).

 

«sulla terra angoscia di popoli senza scampo». L’uomo è sospeso su una tenue superficie fluttuante, col cielo che crolla e l’abisso che inghiotte. Stretto dal vuoto e: posseduto dall’angoscia, è senza possibilità di scampo: cade nel nulla. È la condizione di chi non conosce la paternità di Dio, e ignora di venire da lui e di tornare à lui.

 

«a causa del fragore del mare e dello scuotimento». Crollano le sicurezze, si infrange il confine tra cielo e terra, e questa scompare. Tutta la creazione, divorata dalle tenebre, regredisce nel caos. Essa è stata sottomessa a caducità non per suo volere, ma per volere di colui che, col suo peccato, l’ha sottomessa al vuoto. Fatta per l’uomo, e, attraverso lui, per Dio, quando l’uomo non è più per Dio, anch’essa perde la sua destinazione e il suo senso. Come canta la gloria di Dio (SaI 19), così piange il peccato dell’uomo. Anch’essa geme e soffre in attesa che noi torniamo ad essere figli (Rm 8,22).

 

v. 26: «mentre uomini tramortiranno per la paura e la previsione». L’uomo tramortisce già in vita per la paura di morire, Prevede che sia la fine di tutto. La sua reazione davanti al Figlio dell’uomo che viene è la stessa di Adamo al rumore dei passi di Dio nel giardino. Teme la sua Vita come la propria morte.

 

«di quanto incombe sull’universo». L’uomo pensa che il nulla incomba sovrano sull’universo. Per questo cerca di salvarsi, e prende come guida della vita la paura della morte. Così diventa egoista e uccide la propria vita.

 

«le potenze dei cieli saranno scosse». Come l’abisso si scuote e fluttua, così anche le potenze dei cieli che vi cadono dentro. Sono le potenze del nemico, che Gesù vide cadere dal cielo come folgore durante la predicazione dei discepoli (10,18s; cf. Ef t3,12s). Esse dominano l’uomo, il quale, al loro dissolversi, si angoscia. Infatti si è identificato con esse, e non sa che la loro morte è la sua vita.

 

v. 27: «E allora vedranno». Questa visione squarcia l’angoscia della previsione. È la luce che dissolve le tenebre, la verità che vince la menzogna. Questa «visione» è la theoria della croce, che tra pochi giorni tutte le folle vedranno (23,48): è il «segno del Figlio dell’uomo» (Mt 24,30), che rivela sulla terra l’essenza di Dio nel suo amore per noi. Gesù non dice: «ma dopo vedranno», ma semplicemente: «e allora vedranno». Ciò significa che la sua venuta è da vedere contemporaneamente agli sconvolgimenti di cui ha appena parlato.

 

«il Figlio dell’uomo che viene». Ciò che temiamo è l’incontro con uno che viene verso di noi e ci si è fatto solidale fin nella morte: è il Figlio dell’uomo. Egli perdona i nostri peccati (5,24), ci introduce nel sabato (6,5), mangia e beve con noi (7,34), dovrà patire molto per noi (9,22), si consegna nelle mani dei peccatori (9,44), non vuole che alcuno perisca (9,55), non ha dove posare il capo (9,58), è il segno di Giona. cioè della misericordia per tutti (11,30), è colui che desideriamo vedere (17,22.24.26.30), è il compimento delle Scritture (18,31). è venuto a salvare ciò che è perduto (19,3). Tutti quelli che si sentono perduti lo vedranno venire, e il discepolo starà diritto innanzi a lui (vv. 27.36). Giuda lo tradisce (22,22.48). ma proprio quando si consegna per noi nella morte, lo vediamo nella sua «gloria» (22,69). Infatti era necessario che venisse consegnato (24,7). Questo è il volto del Figlio dell’uomo che Luca ci presenta, il giudice che decide l’esito della nostra storia (6.22; 9,26; 12,8.10.40; 18,8). In una parola, il Figlio dell’uomo che viene è il Signore che mi ha amato e ha dato se stesso per me (GaI 2,20), che mi ha amato quando ancora ero peccatore (Rm 5,6ss). Luca qui non parla del giudizio. Certo è che, quale il giudice, tale il giudizio. Il suo giudizio sarà il perdono ai crocifissori (23,34), l’offerta del Regno al malfattore (23,43). Il nostro giudice infatti è colui che ha detto di amare i nemici, di non giudicare, di non condannare, di perdonare e donare. E misericordioso come il Padre suo (6,27-38). Per questo il suo giudizio è la «sua» croce. E noi viviamo oggi «con giudizio» quando lo vediamo venirci incontro in questo modo.

Questo Figlio dell’uomo che viene allude a Dn 7,13. Viene così perché è il Benedetto, colui che viene nel nome del Signore per ridare vita alla nostra casa deserta (13,35; 19,38). Stefano lo vedrà proprio nel suo martirio, come Signore della sua vita (At 7,56).

 

«che viene in una nube». La nube è il luogo della presenza di Dio, che in essa si rivela (9,34; Es 24,16) e si nasconde (At 1,9). La luce di Dio si riveste della nostra ombra per stare con noi e camminare con noi nel deserto. Questa nube si farà luce proprio quando viene la notte (Es 13,21s; Is 4,5). Dio, nella sua condiscendenza, si vela del nostro male per offrirci il suo bene. La croce sarà la nube che lo nasconde e lo rivela, la theoria di Dio in questo giorno presente.

 

«con potenza e gloria grande». Gesù davanti al sinedrio ripeterà le sue parole sul Figlio dell’uomo (22,68). La sua condanna sarà la proclamazione della potenza e gloria grande del suo amore infinito per noi. Da quel momento in poi sarà seduto alla destra: Dio sarà visibile all’uomo in tutto il suo splendore, sul volto del Figlio che s’è fatto trasparenza perfetta della misericordia del Padre. Noi aspettiamo che l’amore rivelato sulla croce tolga definitivamente il suo velo e conquisti tutti gli uomini, fino agli estremi confini della terra. Allora la storia avrà raggiunto il suo compimento. Aspettiamo la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. Egli ci confermerà fino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo: fedele è Dio, dal quale siamo stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro (1Cm 1,7b-9). Carestie, i terremoti, le pesti, la persecuzione, la morte dei discepoli, la distruzione di Gerusalemme, gli sconvolgimenti cosmici, il timor panico dell’uomo, le sue angosce senza via d’uscita, quando «cominciano», non attendere che finiscano. Vedi e vivi in esse la storia della salvezza. E il mistero del male del mondo, di fronte al quale il discepolo si comporta allo stesso modo del suo Signore. Infatti «è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel Regno» (At 14,22). Così, insieme ai suoi compagni, tra cui c’è anche Luca, dice Paolo. A lui è stato mostrato quanto dovrà patire per il nome di Gesù (At 9,16), fino a compiere in sé quello che ancora manca alla sua passione (Col 1,24). Ma affronta tutto con gioia, in forza della risurrezione e della conoscenza sublime che ha del suo Signore (Fil 3, 8ss). «Queste cose» sono come il germinare dell’albero, la prossimità della stagione dei frutti.

 

«drizzatevi». L’uomo «tramortito dalla paura» (v. 26) è curvato dall’angoscia, schiacciato dall’alto sull’abisso. Come la donna nella sinagoga, ignora di essere già stato liberato (13,10ss). Il discepolo non deve cadere in preda del terrore che prende tutti: si drizza, pieno di speranza, e volge gli occhi al Signore che libera dal laccio il suo piede (Sal 25,15). Nel momento della morte Stefano fissa gli occhi al cielo e vede la gloria di Dio e Gesù, il Figlio dell’uomo che sta alla sua destra (At 7,55). Se la croce è la salvezza del mondo, le tribolazioni sono il prezzo della liberazione….

 

«levate le vostre teste». E ora rialzo la testa sui nemici che mi circondano (Sal 27,6), perché lui stesso solleva il mio capo (Sal 3,4), lui che per primo l’ha sollevato dopo aver bevuto al torrente (Sal 110,7). È la vittoria definitiva sul male. Dalla bocca degli umili si leva il canto del Magnificat. Infatti chi si umilia sarà esaltato, e chi si esalta sarà umiliato (18,14).

 

«si avvicina la vostra liberazione». Il male che subiamo e non facciamo ci associa alla passione del Signore: è l’avvicinarsi storico del Regno, l’estate di Dio. La sua croce è seme di risurrezione. Il malfattore vedrà il re vicino a sé sul patibolo; Stefano, mentre viene giustiziato, vedrà il Figlio dell’uomo. Il discepolo sa che nella morte gli si è fatto vicino il Signore della vita. Per questo conduce una vita che non è più schiava della paura della morte. Non teme il futuro e non cerca di salvarsi. Libero dall’egoismo, vive da uomo nuovo, capace di amare come lui ci ha amato.

 

v 29: «disse loro una parabola». È vera l’attesa di chi pensava che il Regno si sarebbe mostrato in Gerusalemme da un momento all’altro (19,11). Si manifesta però in modo inatteso, in ciò che accade a Gesù. Questa parabola ci insegna come il- conoscerlo, per non essere tra quelli che guardano la realtà senza vedere e ascoltano la verità senza capirla (8,10).

 

«Vedete». Si parla due volte di «vedere» e di «conoscere» e una volta di «guardare». È un invito a tenere aperti gli occhi dell’intelligenza. L’ultimo miracolo di Gesù è proprio l’illuminazione del cieco. Il credente è chiamato a vedere «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo», e che «Dio ha preparato per coloro che lo amano» (1Cor 2,8s). La Pentecoste aprì ai discepoli gli occhi sul mistero della morte di Gesù (At 2,36). Ma è necessaria una seconda Pentecoste, perché i loro occhi si aprano sul mistero della loro croce, continuazione storica di quella del maestro (At 4,24-31). Solo lo Spirito che «scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio» (1Cor 2,10). può farci conoscere nel crocifisso il Signore della gloria.

 

«il fico». Il fico è come la croce. Germina direttamente i frutti, senza passare attraverso lo splendore dei fiori. La parabola. del fico (13,6-9) ci mostra come il presente è l’anno di grazia, il tempo in cui egli si prende cura di noi, e si prodiga fino alla fatica estrema.

 

«e tutti gli alberi». Gesù ci chiama a osservare gli altri alberi del Vangelo. Il Battista parla della scure che taglierà le radici degli alberi (3,9). Reciso il Libano e tutta la sua magnificenza (Is 10,34), resterà solo il germoglio di Jesse. Egli ci parlerà dell’albero che nasce dal chicco di senape, un seme piccolo preso e gettato (13,19). Anche il «gelso» può essere sradicato e trapiantato in mare dall’apostolo che abbia fede come un chicco di senape (17,6s). Il «sicomoro», dal quale Gesù fa scendere Zaccheo, è l’albero sotto il quale sta per passare il Figlio dell’uomo (19,4). Gli «olivi» sono spettatori del suo umile ingresso, del suo pernottare e del suo lottare in preghiera (19,37; 21,37; 22,39). Tutte queste piante hanno qualcosa da dirci sul discernimento: alludono all’albero della croce, il mistero del Regno, il legno verde che porta su di sé la maledizione del legno secco (23,31). Li si manifesta la sapienza e la potenza del Signore, e impariamo a conoscere la sua vera gloria. Per questo Paolo dice: «Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi, se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1Cor 2,2).

 

v. 30: «quando già hanno germogliato». L’accadere di «queste cose» corrisponde al germogliare del fico e degli altri alberi del Vangelo. Ciò che l’uomo teme come male, è visto dal credente come principio di speranza. La croce di Gesù è il legno in cui genuina il frutto della storia: è la vicinanza del Figlio dell’uomo ad ogni uomo. Lì la nostra terra dà il suo frutto (Sal 85,13). Il fico sterile diventa fecondo. Le sue foglie, invece di coprire le nudità, servono a guarire tutte Le nazioni (cf. Gn 3,7; Ap 22,2).

 

«guardando da voi stessi». «Ipocriti! Sapete giudicare il volto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete discernerlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?» (12,56s). Luca ci offre il modello del buon discernimento proprio sull’albero della croce: mentre un malfattore si ostinerà a voler salvare la propria vita dalla morte, l’altro riconoscerà come giusto il proprio male, si volgerà al Giusto che gli è ingiustamente vicino e comprenderà il mistero ditale vicinanza.

 

«conoscete che l’estate». È la stagione dei frutti: la liberazione, il regno di Dio (vv. 28-31). Quando avvengono «queste cose», è l’ora di alzarsi e di andare incontro a lui. Già l’inverno è passato: il fico ha messo fuori i primi frutti, il tempo del canto è tornato (Ct 2,10ss).

 

«è vicina». L’estate è vicina, come la liberazione e il regno di Dio (vv. 28.31). Il Vangelo ci presenterà due frutti maturi sull’albero: il frutto benedetto del grembo di Maria (1,42), figlio dell’Altissimo, e il malfattore appeso. Questi lo vede accanto a sé, condannato alla sua stessa pena; lo chiama per nome ed entra nel paradiso.

 

v. 31: «quando avrete visto avvenire queste cose». Tutte «queste cose» sono i mali dell’uomo, che hanno la loro consumazione sulla croce. Questa è l’albero sul quale viene il Figlio dell’uomo per salvare ciò che è perduto. Ormai «queste cose» sono - diventate come le gemme del legno verde, da cui il nostro legno secco prende linfa e vita.

 

«conoscete che il regno di Dio». Il Regno è ciò che il malfattore chiede a Gesù, vicino a lui sull’albero.

Luca pone una continuità, quasi una contemporaneità, tra l’accadere di queste cose e la venuta del Figlio dell’uomo con la nostra liberazione e il suo regno. La sua croce infatti è la nostra salvezza, sia allora che ora e sempre.

 

«è vicino». Quando la «devastazione è vicina» (v. 20), allora s’avvicina anche la nostra liberazione. L’albero della croce è infatti la «prossimità» di Dio a noi. Da buon samaritano, egli ci si è fatto «vicino» (cf. 10,27b.29.36) e ci ha amato con tutto il cuore, perché lo potessimo riamare ed entrare così ne! suo regno.

 

v. 32: «Amen, vi dico». L’affermazione di Gesù è detta con autorità divina.

 

«non passerà affatto questa generazione finché tutto ciò non sia avvenuto». Tutte le cose dette prima si sono avverate durante la generazione di Gesù, nel mistero della sua croce. La storia del Figlio dell’uomo è il centro del tempo: è l’oggi eterno di Dio, contemporaneo a ogni carne e salvezza per tutti. In lui ogni uomo ritrova il proprio volto di figlio, ed è chiamato a viverlo nella propria generazione: «siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo a una generazione perversa e degenere, nella quale dovete splendere come astri nel mondo» (Fil 2,15).

Tutta la storia si fa storia di salvezza, Alla sua chiesa, tentata di non attendere più il futuro, Luca fa vedere come la salvezza definitiva si compie qui e ora, sotto il segno della croce quotidiana.

 

v. 33: «il cielo e la terra passeranno». Il cielo è la veste di Dio; la terra sgabello dei suoi piedi. «Essi periranno, ma tu rimani; tutti si logorano come veste, come un abito tu li muterai, ed essi passeranno. Ma tu resti lo stesso» (Sal 102,27s; cf. Eb 1,10ss).

 

«le mie parole non passeranno affatto». «La parola di Dio dura sempre» (Is 40,8). Fondiamo su di essa la nostra vita. Non su ciò che è transitorio e sulla paura di perdere la vita. Questa parola ci dà la certezza che il Signore viene. Viene ora come è venuto allora; e allo stesso modo verrà alla fine. «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre. Non lasciamoci sviare da dottrine diverse e peregrine» (Eb 13,8s). Istruiti dall’albero di ieri, discerniamo oggi la vicinanza di colui che vuol stare con noi per sempre.

 

 

APPLICAZIONE alla VITA (Cosa mi invita a fare la Parola)

 

E vi saranno segni: Gesù usa il linguaggio della Sua epoca, quello che capivano i Suoi interlocutori. Noi invece lo leggiamo con il nostro linguaggio, e pensiamo ai segni profondi che scandiscono ogni passaggio, come la nostra era: per esempio la caduta dei valori filosofici, sostituiti dal pragmatismo, dei valori etici, sostituiti dal libertarismo...

……si avvicina la vostra liberazione; umanamente ogni passaggio è fonte di ansia. Come penso alla fine della mia vita? La vedo con gli occhi di Gesù, che la chiama liberazione!

Attenti a voi stessi, che non si appesantiscano i vostri cuori..: questa vita che continua col Signore, la devo preparare ora, con l’attenzione a Lui, presente nella Parola, nei Sacramenti e nei fratelli. Mi sto preparando, o permetto al mio cuore di appesantirsi, di preferire altre realtà passeggere?

Pregate di aver forza d comparire davanti al Figlio dell’Uomo: la meta della vita. Arrivare a Lui, per essere con Lui per l’eternità? Lo credo, e vivo questa preparazione?

 

 

PREGHIERA (Cosa mi fa dire la Parola)

 

Parlo un po’ al Signore dì quello che ho capito nella meditazione

Credo che la preghiera non è tutto, ma che tutto deve cominciare dalla preghiera: perché l’intelligenza umana è troppo corta e la volontà dell’uomo troppo debole; perché l’uomo che agisce senza Dio non dà mai il meglio di se stesso.

Credo che Gesù Cristo, dandoci il “Padre Nostro”, ci ha voluto insegnare che la preghiera è amore.

Credo che la preghiera non ha bisogno di parole, perché la l’amore non ha bisogno di parole.

Credo che si può pregare tacendo, soffrendo, lavorando, ma il silenzio è preghiera solo se si ama, la sofferenza preghiera solo se si ama, il lavoro è preghiera solo se si ama.

Credo che non sapremo mai con sicurezza se la nostra è preghiera o non lo è.

Ma esiste un test infallibile della preghiera: se cresciamo nell’amore, se cresciamo nel distacco dal male. Se cresciamo nella fedeltà alla volontà di Dio.

Credo che impara a pregare solo chi impara a tacere davanti a Dio.

Credo che impara a pregare solo chi impara a resistere al silenzio di Dio.

Credo che tutti i giorni dobbiamo chiedere al Signore il dono della preghiera, perché chi impara a pregare, impara a vivere.

 

 

CONTEMPLAZIONE (Come gusto la Parola)

 

Guardo Gesù mentre mi annuncia che la mia liberazione è vicina. Lo immagino mentre allarga le braccia per accogliermi, per farmi passare ogni paura, e darmi invece la gioia dell’incontro definitivo con Lui. E mi fermo per riempirmi di questa certezza, e portarla nella mia giornata.

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