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Domenica, 05 Ottobre 2008 16:59

“GESÙ E I MALATI - da 3° Incontro con il Vangelo (Lc)” - Percorsi formativi

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C) Incontro con il Vangelo di Luca:

GESÙ E I MALATI

Il nostro itinerario nel Vangelo di Luca è iniziato con un incontro assolutamente particolare, quello tra Gesù e il Battista. Riprendiamo un passaggio molto importante. Il Battista si trova in carcere e sente le prime notizie che riguardano Gesù e la sua attività. Esse suscitano la perplessità di Giovanni, che manda a chiedere dai suoi seguaci: «Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro?»

La risposta di Gesù è duplice.

Prima, rivolto agli uomini inviati dal Battista, dice loro:

«Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella». Lc 7, 22

La verità su di me - spiega il Signore - cercatela nei segni che io compio tra i malati e i poveri.

Poi, rivolto a tutti, Gesù completa la sua risposta.

«È venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve, e voi dite: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figli». Le 7,34-35

La verità su di me - spiega il Signore - cercatela anche nei segni che io compio tra i peccatori.

Gesù mostra dunque un interesse privilegiato per queste tre categorie di persone: malati, poveri, peccatori.

I segni del Regno di Dio che viene, i segni che manifestano il volto inimmaginabile di Dio... sono quelli che Gesù manifesta tra queste persone ferite. I gesti e le parole che Gesù rivolge loro, raccontano il cuore di Dio, del suo Abbà.

Il modo essenziale queste tre categorie di persone riprendono anche le tre dimensioni fondamentali del nostro vivere.

Malati. Il rapporto con se stessi.

Poveri. Il rapporto con i beni della vita.

Peccatori. Il rapporto con gli altri e con Dio.

Vedremo dunque come questi tre incontri toccano al cuore anche ciascuno di noi, nelE dunque... perché il dolore? concreto della nostra esistenza. In ciascuno di noi infatti queste tre dimensioni fondamentali della vita sono ferite... e attendono l’incontro con il Signore.

È importante ora fare una precisazione come premessa. Parlare di malattia significa accostarci a un mistero molto delicato e vastissimo: il mondo del dolore e della sofferenza. I brani evangelici e le riflessioni susciteranno in ciascuno una moltitudine di interrogativi nelle più svariate direzioni. C’è la sofferenza, che ci colpisce per responsabilità nostre o di chi ci vive accanto... C’è la sofferenza che ci colpisce senza un’evidente responsabilità di nessuno. Ancora: la sofferenza legata alla malattia è solo una parte del ben più vasto peso di dolore che grava sul mondo.

Più in generale la domanda bruciante che c’è nel cuore di ogni persona si può sintetizzare in questo modo:

Dio può tutto (è onnipotente...).

Dio è buono (si prende cura della nostra vita...).

E dunque... perché il dolore?

Quando una domanda come questa si affaccia prepotentemente nella nostra vita, le reazioni possono essere le più varie. Qualcuno, che fino a quel momento poteva ritenersi un credente, non trovando una risposta, può arrivare addirittura a rinnegare la propria fede. Qualcuno, che fino a quel momento poteva ritenersi un non credente, di fronte al mistero e alla fragilità della vita, può aprirsi sorprendentemente alla fede. E’ molto utile allora un chiarimento, che dovrà essere richiamato costantemente nelle nostre riflessioni. Gesù e il suo Vangelo non intendono “spiegare” la sofferenza!

Essa è e rimane un mistero. Gesù e il Vangelo vogliono invece indicare la via, per attraversare le prove della vita aggrappati a Dio. Ricordando che Gesù per se stesso non l’ha evitata! L’ha affrontata, ci è entrato dentro fino in fondo, senza sconti... come noi! E l’ha superata nella resurrezione. Non dimentichiamo che nel Vangelo di Marco Gesù è morto con un grido drammatico sulle labbra: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”

La sapienza che ci offre il Vangelo non è dunque un sistema di pensiero che mette in ordine tutti i tasselli del quadro... che offre una risposta logica a tutte le nostre domande. La sapienza del Vangelo offre ragioni per credere che vale la pena fidarsi del Padre di Gesù.

Gesù e i malati

Proviamo ad interrogare il Vangelo, per riconoscere la promessa che Gesù rivolge loro. Questa condizione tocca direttamente tutti: o perché è già la nostra esperienza personale o perché è l’esperienza di qualche persona che amiamo.

Nell’opinione pubblica sembra crescere sempre più l’attenzione per i miracolosi progressi della medicina, ma come ogni singolo malato affronti la malattia è un problema personale, da risolvere indipendentemente (ed in assenza!) di valori condivisi, socialmente riconosciuti. Di fronte alla malattia la domanda è diventata tecnica: “Come si fa guarire?” Ed ha perso ogni importanza la domanda esistenziale, di senso: “Cosa vuoi dire essere malati?” La solitudine, che oggi accompagna la persona davanti a tutte le domande di senso... diventa ancora più drammatica nella malattia.

La crescita dei potere della medicina sulla malattia.

Effettivamente abbiamo assistito ad un’evoluzione della medicina davvero spettacolare. Pensiamo alla scoperta dei vaccini, degli antibiotici, alle tecniche del trapianto di quasi tutti gli organi; l’ingegneria genetica. Le tecniche di fecondazione artificiale, le ricerche sulle cellule staminali. Molte malattie, che fino a ieri erano mortali, oggi (purtroppo solo nei nostri paesi ricchi) possono essere curate. Ultimamente si è rinnovato il dibattito sull’eutanasia: nuove apparecchiature rendono possibile la sopravvivenza di malati in condizioni assolutamente impensabili un tempo. Sembra che sempre più la responsabilità della vita sia consegnata alle possibilità di medici e biologi.

La crescita del potere della malattia sull’uomo.

La vita media delle persone è notevolmente aumentata. Proprio perché di molte malattie oggi non si muore... ma neppure si guarisce: il malato cronico è tipico della nostra epoca. Tempi sempre più lunghi della nostra vita sono segnati dalla convivenza con la malattia. La distinzione fra tempo di salute e tempo di malattia appare sempre meno netta. Molti vivono come oppressi dal timore ossessivo che all’improvviso possa manifestarsi in lui / lei una malattia grave.

Spesso il medico è impreparato a rispondere a tutte le domande e i dubbi non solo intorno alla malattia, ma anche alle richieste di rassicurazione, al sostegno psicologico e/o spirituale.

Talvolta in malattie gravi e/o incurabili subentra la depressione. Essa non è solo spiacevole stato d’animo: piuttosto è incapacità a trovare nuovi motivi per sperare, per volere, per intravedere un nuovo progetto di vita. Il mondo intorno sembra non suscitare più in lui / lei nessun interesse.

È necessario dunque ricorrere a tutte le risorse disponibili per sostenere nel malato il senso della vita (compreso l’aiuto psicologico, che non è da sottovalutare) per poter vivere anche la malattia di fronte a Dio e nella speranza. Un esempio: una giovane donna può avere per sé anche una grande forza d’animo davanti alla morte; ma se deve lasciare bambini piccoli la prova può diventare insostenibile.

Ma cos’è “il miracolo di una guarigione”?

Leggi e prega con Lc 5,12-16/4,42-44/11,14-16

L’idea comune a proposito dei miracoli si può sintetizzare così:

È il rarissimo privilegio di una esperienza straordinaria, che mi convincerebbe una volta per tutte sulla realtà di Dio e la sua presenza nella mia vita.

Ma il Vangelo dice altro: tre brani ci aiutano a comprendere il segno che Gesù esprime quando opera una guarigione.

Il primo brano è l’incontro di Gesù con un lebbroso (Lc 5,12-16).

«Signore, se vuoi, puoi sanarmi». «Signore... puoi sanarmi!» è la confessione di fede di quest’uomo davanti al Signore!

«Signore, se vuoi... ?!» è la domanda angosciata di quest’uomo davanti al Signore!

È la domanda angosciata del malato di tutti tempi. Qual’è la volontà di Dio sul nostro male? Cosa fa Dio quando io sono malato? Dov’è Dio quando sono malato? Queste domande sono così radicali, che spesso affiorano anche quando si fosse vissuta un’intera esistenza più o meno indifferenti alla fede.

Gesù compie un gesto e pronuncia una parola.

Gesù stese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii risanato!».

Il gesto di Gesù è importante perché annulla quella prescrizione severa secondo cui il lebbroso non doveva toccare nessuno e nessuno doveva toccare lui (tanto meno un rabbi, un uomo di Dio). Era condannato all’isolamento, alla solitudine. Gesù cancella il suo isolamento e colma la sua solitudine prima di guarirlo.

La parola di Gesù è importante perché risponde alla più antica domanda dell’uomo sulla sofferenza. “Lo voglio, sii risanato!” Gesù non vuole altro: Dio non vuole altro!

E subito la lebbra scomparve da lui “. Questa è la volontà di Dio davanti alle nostre sofferenze!

Gli ingiunse di non dirlo a nessuno: « Va, mostrati al sacerdote e fà l’offerta per la tua purificazione, come ha ordinato Mosè, perché serva di testimonianza per essi».

Gesù chiede all’uomo risanato di non divulgare la notizia, ma di mostrarsi al sacerdote. Due richieste molto precise, quelle di Gesù. La seconda indica che è necessaria la conferma del sacerdote, che il malato è stato guarito da Dio: è Dio che opera nei gesti di Gesù!

Gesù guarendo, mostra il vero volto di Dio, la sua tenerezza spassionata per la vita degli uomini, soprattutto quando essi sono nella sofferenza. Il miracolo vuoi comunicare solo questa verità!

Ma Gesù chiede anche il silenzio su ciò che è accaduto. Perché? Perché Gesù non compie mai miracoli come “esibizione di potenza”, per evitare due possibili fraintendimenti, che invece puntualmente si verificano nei racconti evangelici. Il primo fraintendimento che Gesù vuole evitare, è quello di un prevedibile ma sbagliato entusiasmo su di sé, quando opera un miracolo:

Le folle lo cercavano, lo raggiunsero e volevano trattenerlo perché non se ne andasse via da loro. Egli però disse: «Bisogna che io annunzi il regno di Dio, anche alle altre città; per questo sono stato mandato». Lc 4,42 -43

Le folle di quel tempo, cosi come quelle di oggi (pensa al facile entusiasmo attorno a incontri e preghiere di guarigione...) vedono nel miracolo la manifestazione del soprannaturale. Nasce l’illusione che questo potere di Dio prometta un’esistenza al riparo dalle difficoltà e dalle delusioni della vita, come le malattie... ad esempio.

Ma il miracolo quando accade.., restituisce semplicemente la persona alla normalità della vita! Nulla di più! Il miracolo di Gesù non intende alleviare le fatiche della normale esistenza. Ed è proprio la normalità della vita che il miracolato (l’ex malato) ora percepisce come semplicemente straordinaria! Messaggio importantissimo per “i sani”! La salute è bene assolutamente straordinario! Ma è un bene che si apprezza “così”.., solo quando

Il Vangelo dunque corregge il nostro sguardo: non il prodigio della guarigione di uno, ma la salute di tutti è l’esperienza straordinaria che troppa gente non sa riconoscere.

La prima cosa che io ho bisogno di vedere che funziona bene nella vita.., è la mia salute! Non è solo un problema di efficienza fisica, ma ha a che fare con il senso del mondo. Il buon funzionamento della salute è la prima condizione per credere che la vita è promettente per me e mi offre delle opportunità. La malattia, più di altre difficoltà del nostro vivere, mette in discussione proprio questa apertura spontanea.

Il rischio opposto alle folle entusiaste è invece di vedere in quella esibizione di potenza non il Regno di Dio, ma addirittura il suo esatto contrario: il regno di Satana!

Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle rimasero meravigliate. Ma alcuni dissero: «E in nome di Belzebù, capo dei demoni, che egli scaccia i demoni.. .». Lc 11,14-15

Davanti al miracolo di Gesù la cattiva coscienza degli increduli stravolge il significato del segno: è il peccato contro lo Spirito. Il passo parallelo a Luca nel Vangelo di Matteo ha una nota a fondo pagina molto bella (Mt 12,32): leggila!!

Ecco dunque perché Gesù, dopo aver compiuto una guarigione, spesso chiede il silenzio. Lasciamoci allora istruire dal lebbroso!

«Signore...puoi sanarmi!» è la confessione di fede. Senza la quale neppure ci sarebbe guarigione.

«Signore, se vuoi... ?!» è la domanda angosciata.

Egli ci insegna che il miracolo può solo confermare la fede, ma mai suscitarla! Il miracolo non sarà mai “una prova su Dio

Malattia e peccato

Leggi e prega con Lc 5,17-26

Gesù prima di guarire il paralitico, rimette i suoi peccati. Perché? Vuole forse indicare un legame diretto fra la malattia di quest’uomo e i suoi peccati? Ma Lui stesso contesta un rapporto diretto fra le disgrazie che accadono ed i peccati degli uomini (ricorda il crollo della torre di Siloe e i Galilei uccisi da Pilato — Lc 13,1-5).

È corretto contestare il legame diretto “trasgressione-punizione “, tuttavia così non è ancora liquidato quell’interrogativo istintivo che sempre nasce nella coscienza del malato: “Che cos’ho fatto, perché mi accada questo?” Sempre ci affiora una domanda su una nostra eventuale responsabilità. Guardiamo allora alla nostra esperienza:

  • Questa “domanda istintiva” ha anche delle conferme precise nel nostro vivere. Ci sono malattie che hanno un legame con i nostri comportamenti: l’Aids per i tossicodipendenti, i tumori polmonari per i fumatori... Queste conferme non devono naturalmente diventare teoria generale: diventerebbe una responsabilità schiacciante per ogni persona di fronte alla propria malattia.

  • Nella malattia la persona sempre arriva a stupirsi della troppo scarsa considerazione con cui ha considerato la salute fino a quel punto. Solo nell’infermità la salute viene apprezzata come bene grande, insostituibile. In questo modo la malattia pone la questione del senso della vita. Non solo in riferimento al tempo presente in cui si patisce, ma anche in riferimento al tempo passato della buona salute: quando essa c’era, sembrava che la vita andasse da sé. Nel tempo della salute nemmeno mi accorgevo che ero sostenuto da un senso.., eppure esso c’era! …. e mi sosteneva!! Avevo le forze, avevo le opportunità, avevo più fondamentalmente un’esperienza grata e incoraggiante della vita. Non doveva forse questa situazione favorevole istruirmi sulla verità della vita più di quanto in realtà non sia successo? Questo è il rimprovero che più spesso il malato rivolge a se stesso: la superficialità con cui ha vissuto fino a quel momento. Quel tempo può apparire ora addirittura sprecato!

  • Per questa esigenza di dare senso a ciò che ci accade, la malattia assume sempre anche un “significato simbolico “! Spieghiamo...

La Parola di Dio sa che nel corpo si riflette l’esperienza della vita stessa: io non ho “solo” una gamba rotta, ma piuttosto non posso più procedere nel cammino; non ho solo un problema respiratorio, ma la vita è diventata affanno; non ho solo un problema alla vista, piuttosto non posso più contemplare il mondo... Questo approccio più globale è ignorato dalla medicina classica, che ha solo uno sguardo tecnico.

Proprio l’incapacità a interpretare questo momento della vita, proprio la mancanza di riferimenti e motivazioni.., è il terreno adatto perché il malato cerchi una “nuova sapienza “, che offra rimedio alla mancanza di qualità spirituale, alla mancanza di senso di cui soffre oggi la nostra società post-religiosa. La sapienza in questione è la “psicosomatica “, nella versione che ha conosciuto in questi anni una larga e rinnovata diffusione attraverso le medicine alternative e/o proposte religiose di oggi. La psicosomatica è quella disciplina, che ricerca le cause di una malattia in conflitti psicologici. In modo molto concreto noi tutti ci rendiamo conto ogni giorno di molti disturbi fisici che non hanno una spiegazione organica, ma appunto psicologica: certi mal di testa generati dall’ansia, certi bruciori di stomaco legati al nervosismo... Forse un simile collegamento esiste anche in diversi altri disturbi della salute... Ma quando e quanto è determinante?

Sempre secondo questi approcci di tipo psicosomatico (ci sono vari indirizzi...) il disturbo fisico presenta una “somiglianza simbolica” con un disagio psicologico. Un esempio... un mal di schiena (una rigidezza fisica) avrebbe la sua causa in un disagio psichico (una rigidezza nei principi, o nelle decisioni...). Oggi queste letture hanno una forza persuasiva e un successo davvero sorprendenti.

È necessario rispettare un equilibrio, per impedire una prevedibile conclusione: ogni disturbo somatico ha la sua origine in un conflitto psicologico e viceversa. Quando la corrispondenza diventa rigida, i rischi sono grandi (prima di tutto è importante riconoscere tutte le altre diverse cause!). Queste nuove proposte religiose mostrano una giustificata insofferenza verso il peccato o il senso di colpa di tanto cristianesimo moralistico, che ci sta alle spalle. Va bene, ma, radicalizzando queste letture psicosomatiche, non si caricano le persone di un nuovo (ma del tutto simile) peso?

Ecco sintetizzati in queste tre osservazioni alcuni motivi per cui sorge molto spesso nel malato la domanda su una sua eventuale responsabilità (se non proprio un vero senso di colpa) circa la propria malattia.

Proprio per_questo nel Vangelo la guarigione è sempre un doppio vangelo!

Il paralitico guarito nella salute e perdonato, fa proprio esperienza di un doppio vangelo. Il primo vangelo è proprio la guarigione, la condizione fisica rinnovata: . . .la vita è un’altra cosa!! Il secondo vangelo è la scoperta, con la guarigione, . . .che Dio non è mai stato lontano da lui! E’ sempre e ancora degno della benedizione divina!

Le guarigioni in giorno di sabato

Leggi e prega con Lc 6,6-11 /13,10-17/ 14,1-6

Secondo il racconto di Genesi, Dio crea il mondo in sei giorni e si riposa il settimo dalla sua attività. Da prescrizione di origine religiosa, essa avrà anche un ruolo sociale di riposo settimanale del popolo d’Israele. In quel giorno l’uomo interrompe il proprio lavoro e fa memoria dell’opera di Dio nella creazione e nella storia salvifica. Ma questa interruzione delle attività al sabato era diventata una prescrizione di una rigidezza impressionante.

Gesù opera miracoli diverse volte in giorno di sabato. Non per il. gusto della polemica o della contestazione, ma per rivelare ancora una volta che Dio è sempre rivolto all’uomo che soffre. E dunque...

I miracoli compiuti in questo giorno non avvengono in risposta a una supplica del malato o di altri, come invece accade nella maggior parte delle altre guarigioni! Essi sono “pura iniziativa” di Dio!

Il significato dei miracoli al sabato è questo. Davanti ad un malato “Dio interrompe il suo riposo.., e crea ancora!” In Gesù Dio sospende il suo riposo, perché la vita non è come dovrebbe essere secondo la sua intenzione.

Cerchiamo di individuare sinteticamente il messaggio centrale di ciascuno dei tre brani. Nel primo brano Gesù chiede all’uomo dalla mano inaridita di mettersi al centro. Gesù rimette il bisogno del malato al centro dell’attenzione di tutti e anche al centro della Legge.

E poi interroga i suoi avversari.

«Domando a voi: È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o perderla?».

Gesù non senza ironia chiede se essi concedono a Lui (al Figlio di Dio!) di fare il bene. Nel caso ci sia un bene da fare, non compierlo - sottintende Gesù - equivarrebbe a fare il male. E questo vale anche per Dio! Le parole di Gesù non potrebbero spingere di più

I due racconti successivi sono molto simili: Gesù accusa questi uomini di ipocrisia. Per il proprio bue o asino essi hanno il normale buon senso pratico che fa riconoscere cosa è bene fare, anche se fosse sabato: far bere le bestie, oppure tirarle fuori da una buca, se vi fossero cadute dentro. Questo normale buon senso sembra invece svanire ai loro occhi di fronte ad un’urgenza, che a Gesù sembra ben più grande: guarire una donna curva e poi un uomo idropico.

Dì soltanto una parola...

Leggi e prega con Lc 7.1-10

Questo brano si trova quasi identico in Mt, mentre in Gv presenta notevoli differenze. Tutti e tre mettono diversamente a fuoco la necessità della fede nella Parola di Gesù. Il centurione è un militare. Egli sa bene il potere della parola di un superiore su un inferiore. La parola di comando, quando è pronunciata, ha effetto. Sempre.

Questa “mentalità militare” permettere al centurione di mettersi nella giusta relazione con Gesù: è necessario sottomettersi, obbedire alla sua Parola! E non stupiamoci di questo esempio! Gesù non offre come modello il regime e l’obbedienza militare...: è molto profonda la sua provocazione!

Sottolinea che una parola (addirittura anche quella di Dio) si può realizzare solo per l’obbedienza di chi si sottomette ad essa. Non interroghiamoci allora troppo sulla “volontà misteriosa di Dio...” (Quando agisce, come agisce...?). Interroghiamoci piuttosto sempre daccapo sul nostro affidamento alla sua Parola! Il centurione di Mt e di Lc ha questa fede. Il funzionario regale di Gv invece pretende Gesù in persona; vuole trascinarlo con sé e assistere a ciò che fa... Ma non si può disporre di Dio: questa è magia!

Fidarsi invece solo della Parola è veramente fede nella persona di Gesù.

Questo brano è evidentemente rivolto subito a noi lettori di ogni epoca e ci offre una consolazione e una speranza grandissime. Noi lettori non abbiamo incontrato fisicamente Gesù, ma siamo costretti a fidarci della sua Parola. Proprio come il centurione. Non ci manca dunque nulla per potere anche noi oggi fare esperienza della cura e benedizione di Dio. Fidandoci della Parola di Gesù.

Guarigione e impurità

Leggi e prega con Lc 7,11-17 / 8,40-56 / 17,1-19

All’epoca di Gesù esistevano alcune situazioni che rendevano la persona “impura“. Impuro significava indegno di entrare in rapporto con Dio. Le situazione di impurità tipiche erano: la lebbra (comprendente anche altre malattie della pelle), le mestruazioni della donna, le emissioni seminali dell’uomo (considerate “perdite di vitalità“) e infine i cadaveri. Puoi trovare queste leggi del libro del Levitico ai capitoli 13-14-15 e 21,1-15. E la bella nota di Lv 12,1. Erano necessari periodi più o meno lunghi per la purificazione...

In sostanza quindi malattia, morte o perdita di vitalità erano tutte situazioni che separavano da Dio fonte della vita.

Questo comportava che le persone in queste situazioni fossero considerate “impure “. E per alcuni giorni, anche chiunque le avesse toccate diventava impuro. Ovviamente c’era distinzione fra i diversi tipi di impurità...

Erano disposizioni a volte necessarie (per evitare contagi ad esempio), ma anche molto spietate. La persona impura veniva isolata, esclusa dalle relazioni con gli altri e con Dio. A volte anche per sempre! A noi possono sembrare disposizioni crudeli e inattuali... ma guardiamo ai giorni nostri.

Anche nella nostra società esistono “forme moderne di impurità”. Ad esempio l’esperienza di abbandono che tanti ammalati conoscono. I malati terminali vanno incontro a pesanti situazioni di isolamento e di solitudine.

Abbandono della professione e altri impegni; abbandono del proprio ruolo in famiglia, delle proprie responsabilità.

Abbandono dell’assistenza sanitaria: “Ormai non vale più la pena la fisioterapia... ormai non vale più la pena questa terapia costosa... ormai non vale più la pena l’assistenza domiciliare...”

Abbandono di tante relazioni di amicizia che non possono essere più continuate.

Molti di questi abbandoni sono inevitabili. Ma soprattutto quelli “evitabili” contribuiscono a convincere la persona di valere meno. Inducono la persona a credere di essere meno degna di vivere, prima ancora di prevedibili reazioni di chiusura o ripiegamento.

Oltre i malati terminali, nella nostra società moderna, sembra che si possa definire più generalmente “impuro tutto ciò che nella vita non è sano, giovane, bello “. La medicina stessa è orientata in modo assolutamente privilegiato a custodire il più a lungo possibile, oltre alla salute, anche la giovinezza e la bellezza. Giovinezza e bellezza, a volte in modo paradossale, anche a scapito della salute.

Nel vangelo ci sono quattro brani in cui Gesù viene contatto con situazioni di impurità. Sempre Luca sottolinea il contatto di Gesù con l’impurità. Un brano per tutti: una donna umiliata da dodici anni!!

Mentre Gesù era in cammino, le folle gli si accalcavano attorno. Una donna che soffriva di emorragia da dodici anni, e che nessuno era riuscito a guarire, gli si avvicinò alle spalle e gli toccò il lembo del mantello e subito flusso di sangue si arrestò. Gesù disse: «Chi mi ha toccato?». Mentre tutti negavano, Pietro disse: «Maestro, la folla ti stringe da ogni parte e ti schiaccia». Ma Gesù disse: «Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è uscita da me». Allora la donna, vedendo che non poteva rimanere nascosta, si fece avanti tremando e, gettatasi ai suoi piedi, dichiarò davanti a tutto il popolo il motivo per cui l’aveva toccato, e come era stata subito guarita. Egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata, và in pace!». Lc 8,42-48

Gesù loda la donna con l’emorragia, che nella sua fede ha intuito cosa era giusto fare e qual’era la volontà di Dio sulla sua malattia (la guarigione avviene senza consapevolezza di Gesù). Ma Gesù vuole incontrarla personalmente, conoscerla: Egli sa bene che la guarigione fisica non è l’unico e non è il primo bisogno di chi è malato.

L’esigenza più profonda di chi è malato rimane il bisogno di relazione, di comunione.., anche quando preme la sofferenza!! Per questo in tutti gli episodi la guarigione coincide anche (o prima di tutto?...) con l’essere restituiti alle proprie relazioni.

Il figlio unico alla madre vedova, l’ammalata di emorragia alla sua dignità di donna, la figlia all’amore dei genitori, i lebbrosi alla vita del villaggio (in Luca 17, 11-19 vedi la referenza marginale di Lv 13,45-46).

Per il malato e per chi gli sta vicino il miglior modo di credere e sperare nella vita e nella guarigione.., è cercare di custodire in tutti i modi le relazioni.

Il malato e i suoi amici

In molti brani dei miracoli di guarigione si osserva che gli amici del malato hanno un ruolo tutt’altro che secondario. Ma prima di raccogliere le luci che il Vangelo ci offre anche su questo aspetto, guardiamo ancora all’esperienza della nostra vita. Per comodità di linguaggio ci esprimeremo qui di seguito in termini netti: malato e sano. Anche se spesso la distinzione è molto più sfumata. Chi di noi non ha un disturbo di salute!?

Il rapporto fra il malato e i suoi amici, comprese le persone più care, spesso è messo alla prova. Questo naturalmente ci sorprende e ci sembra contrario, estraneo al nostro modo di sentire. Ad un esame più attento invece è del tutto comprensibile e anche comune alla nostra esperienza di malati. Possiamo esprimerlo in questo modo: i sani, anche le persone più vicine e premurose, semplicemente.., non vedono il mondo dal punto di vista del malato! In questo senso essi possono diventare a volte distanti, estranei. Proviamo a fare due esempi su questo “punto di vista diverso”

  • All’inizio della malattia amici e ammalato hanno forza, pazienza e comprensione reciproca. Proseguendo, mentre nel malato declinano forze e pazienza, aumentano inevitabilmente le richieste. Agli amici, per i quali sarebbe già molto impegnativo mantenere le disposizioni iniziali, è richiesta invece una disponibilità maggiore.

  • Il malato si aggrappa spesso a una speranza che paradossalmente cresce con l’aggravarsi del male.., e non trova invece giustificazione nei sani. Conosciamo il silenzio pieno di imbarazzo o le buone parole di circostanza che i sani pronunciano al letto del malato grave. Egli intuisce (o sospetta...!) che fuori da quella stanza le parole saranno decisamente altre. (Cosa pensano veramente del mio male...?). Questi pensieri sono sufficienti perché il malato consideri il loro silenzio e le loro parole come atteggiamenti falsi. E in qualche modo l’amicizia può diventare estraneità.

Cosa nasconde tutto ciò? L’incapacità dei sani a mantenere col malato la comunione che li legava nei tempi normali. Mentre il malato è già portato per le sue condizioni fisiche a chiudersi. . . .Non doveva invece quell’alleanza durare per sempre?

Possono i sani non lasciarsi scoraggiare dalla loro evidente incapacità di rimediare alle sofferenze del malato? Possono i sani trovare parole e gesti che esprimono la comunione nuova e impegnativa imposta dalle condizioni del malato? Dal momento che l’esperienza di malattia attende proprio tutti, anche chi è “provvisoriamente sano” (anche lui!) è chiamato a stare vicino al malato come chi è personalmente riguardato da quella vicenda. Chi è “provvisoriamente sano” si deve accostare al malato non con un atteggiamento di beneficenza, ma come uno che cerca per il suo fratello sofferente e per se stesso (!) un senso ed una risposta alla sfida della malattia.

A questo punto il Vangelo diventa molto istruttivo anche a proposito della relazione fra il malato e i suoi amici.

  • Nella guarigione della suocera di Pietro i familiari pregano e presentano la donna a Gesù. Per noi oggi: essi possono testimoniare davanti al malato e per il malato un senso, una speranza... una fede.

La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Chinatosi su di lei, intimò alla febbre, e la febbre la lasciò. Levatasi all’istante, la donna cominciò a servirli. Lc 4,38

  • Nella guarigione del paralitico i suoi amici hanno un’iniziativa e un impegno sorprendenti: tentano concretamente tutto ciò che è possibile per la sua guarigione. Per noi oggi: l’equilibrio tra questo impegno e una speranza eccessiva nelle cure, è un discernimento sempre delicato. Pensiamo all’accanimento terapeutico.

Ed ecco alcuni uomini portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a Gesù. Non trovando da qual parte introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e lo calarono attraverso le tegole con il lettuccio davanti a Gesù, nel mezzo della stanza. Lc 5,18-19

  • È commovente l’amore del centurione pagano per il suo servo, l’amore di Giairo per la figlia... Per noi oggi: nel nome di questo amore i sani possono rappresentare il malato nella sfida della fede.

Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo divenire e di salvare il suo servo. Lc 7,2

Ed ecco venne un uomo di nome Giàiro, che era capo della sinagoga: gettatosi ai piedi di Gesù, lo pregava di recarsi a casa sua, perché aveva un’unica figlia, di circa dodici anni, che stava per morire. Luca 8,41-42

  • Esiste anche un esempio negativo. Si tratta della folla che circonda Gesù mentre egli fa il suo ingresso a Gerico. La gente vuole zittire il cieco che urla, quasi che lui, in quelle condizioni, sia escluso da ciò che succede. Sarà invece proprio la sua infermità a rendere lui (solo lui!) adatto all’incontro. Per noi oggi: è proprio la persona sana che spesso impara dal malato le disposizioni giuste della fede!!

Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli risposero: «Passa Gesù il Nazareno!). Allora incominciò a gridare: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Quelli che camminavano avanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù allora si fermò e ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, gli domandò: «Che vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io riabbia la vista». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato». Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio. Lc 18,35-43

Come vivere la malattia?

Nel tempo della malattia le forze, le opportunità, l’esperienza grata e incoraggiante della vita.., svaniscono! Ma non necessariamente “deve” svanire la speranza. “La speranza “prima spontanea può diventare “vera e propria scelta Diventa una scelta che possiamo tradurre in questo modo: “Qual è la verità della vita tutta? Il primo periodo bello della salute o questo tempo della malattia?

Attenzione!!! Non è più oggettivo l’atteggiamento disilluso e scoraggiato di chi, trovandosi nella prova, non si aspetta più nulla né dalla vita, né dagli altri, né da Dio (se si tratta di un credente...). Così come, d’altra parte, la speranza entusiasta della persona giovane, sana e piena di opportunità... non è tutta la verità!!

La situazione del malato è esattamente questa possibilità degli occhi veramente aperti sulla vita (una consapevolezza di cui il sano troppo spesso non dispone!). Questa è la sapienza del malato!!! Giungere a una tale sapienza è la possibilità grande e seria di chi è nella malattia. Allora l’esperienza grata e promettente dell’inizio (più o meno distesa nel tempo...) e l’esperienza mortificante della malattia (più o meno distesa nel tempo...) non sono semplicemente momenti che si succedono in modo casuale e/o naturale. Non sono neppure momenti “sullo stesso piano “...

La malattia invita a rifare il cammino che ci precede, riprendere in mano il tempo vissuto. Da questo punto di osservazione scopriamo che proprio la vita normale... in realtà è tutt’altro che normale, bensì straordinaria. E ci stupiamo e ci spaventiamo della nostra precedente incoscienza.

E allora nella malattia non mi aggrappo esclusivamente ai rimedi della medicina (arrivando anche all’accanimento terapeutico), perché la fede non servirebbe più per queste “cose serie “.

Non considero neppure la fede e la preghiera alternativi all’aiuto medico e psicologico (alcuni per esprimere una “fede più forte”... da incoscienti abbandonano ogni terapia!).

Ma mi affido ai progressi della medicina, (perché il progresso umano - quello vero - è sostenuto e benedetto da Dio) e cerco nel Vangelo un senso al mio soffrire, chiedendo insieme alle persone che mi amano la guarigione.., anche fino all’esperienza del miracolo.

La vita non è ovvia. E non è in nostro potere. Non è nelle nostre mani. Essa c’è, quando c’è e finché c’è, unicamente per l’iniziativa sorprendente di Dio. La vita dunque non è possesso tranquillo.

La sapienza del malato

E quando il malato e gli amici che gli sono accanto arrivassero insieme alla consapevolezza che “non c’è più nulla da fare “?

Quell’incontro non può, non diventare ogni volta (proprio per quello che si è chiamati a spendere e spenderci nella relazione)... l’incontro con la vita; una vita che parla di vita e alla vita rimanda; con una persona che fino alla fine è un vivente, per la quale possono esserci ancora momenti di gioia, serenità, pace, e spazi per esprimere gratitudine e sperimentare emozioni profonde; fino ad arrivare a “quel” momento, facendo tutto il possibile perché rimanga anch‘esso qualcosa di “vivibile per il malato e la sua famiglia, come uno dei momenti fra i più sacri e solenni, non devastato da sofferenze intollerabili, e accettato, per quanto possibile” (dottor Bruno Durbano, medico in un hospice).

Allora l’ultimo, l’estremo dono che il malato e i suoi amici possono scambiarsi (darlo e riceverlo vicendevolmente) è la testimonianza di una speranza. La speranza in una promessa di Dio...

La sofferenza e la morte sono esperienza comune e assolutamente inevitabile per ogni uomo.., da che mondo è mondo! Perché dunque essa ogni volta da ciascuno è patita come “una vera e propria ingiustizia

Letto 12810 volte Ultima modifica il Lunedì, 30 Aprile 2012 15:07

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