Anche questa volta dunque ci accosteremo a quel mistero delicato e vasto che è il mondo della sofferenza. Nuovamente quindi siamo davanti alla domanda bruciante: Dio può tutto (è onnipotente). Dio è buono (si prende cura della nostra vita). E dunque... (in riferimento al nostro tema) perché Dio lascia morire di stenti tanta gente?
Sulla gravità di questo problema credo che nessuno abbia dubbi... Quaranta milioni di persone nel mondo muoiono ogni anno di fame. Ogni giorno 11.000 bambini muoiono per malnutrizione: un bambino ogni otto secondi. Ci sono un miliardo e duecento milioni di persone che non hanno acqua potabile. Alla radice di tutto ciò c’è un’impressionante ingiustizia sociale nella distribuzione delle ricchezze: il 23% della popolazione mondiale, quella che vive nell’emisfero Nord, consuma l’84% delle risorse del pianeta.
A partire dall’Antico Testamento
Per comprendere meglio i testi evangelici è necessario prima dare uno sguardo, anche se molto generale, all’Antico Testamento a proposito di ricchezza e povertà.
Primo periodo della Storia sacra: ad Abramo (Gen 17,6-8) al re Davide (2 Sam 7,9.16), al re Salomone (1 Re 3,13) e a tanti altri personaggi vengono promessi “beni e ricchezze “. Questi uomini fanno esperienza concreta della benedizione di Dio proprio “così”.
Nessun disprezzo dunque per i beni del mondo e per ciò che sostiene la nostra vita.
Periodo successivo della Storia sacra: raggiunta la stabilità nella. terra con un regno saldo, ecco dilagare l’ingiustizia: grandi ricchezze nelle mani di pochi e miseria di molti (storia infinita da che mondo è mondo...). Solo allora si scatena il risentimento di Dio, espresso soprattutto per bocca dei profeti: Is 1,16-17; Is 58,6-7; Am 6,4-7.
È importante notare questo passaggio, altrimenti non riusciamo a capire perché a volte nella Bibbia la ricchezza è considerata benedizione di Dio e altre volte i ricchi sono sotto le terribili minacce soprattutto dei profeti. La prospettiva di fondo giusta per Antico e Nuovo Testamento è data da questo stupendo passo dei Proverbi:
Non darmi né povertà né ricchezza; ma fammi avere il cibo necessario, perché, una volta sazio, io non ti rinneghi e dica: «Chi è il Signore?», oppure, ridotto all’indigenza, non rubi e profani il nome del mio Dio. Pro 30,7-9
Quando sei nell’abbondanza, ti sembra di non avere bisogno di niente e di nessuno... nemmeno di Dio! E ti dimentichi che tutto è ricevuto. Quanto ti manca il necessario, ti sembra che nessuno si prenda cura dite... nemmeno Dio! E arrivi a bestemmiarlo (profanare il nome di Dio).
Povertà e ricchezza diventino quindi un problema di fede! La Parola di Dio lo sa fin troppo bene. E Gesù non è vissuto nell’indigenza, ma tanto meno nella ricchezza. Considera che Gesù guarisce i malati, perdona i peccatori, ma sceglie per sé una condizione di povertà.., e ci rimane! La Parola di Dio qui di seguito propone quindi come valore positivo la povertà e non l’indigenza, ossia la condizione estrema in cui si muore di stenti.
Gesù ha uno sguardo diverso sulla vita
Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti. Lc 6,20-23
Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti. Lc 6,24-26
Questo brano ad una prima lettura sembra suggerire più o meno un messaggio di questo genere. Gesù dà una pacca sulle spalle dei poveri, dicendo: “Ora stringete denti, ma vedrete.., poi starete bene.” Allo stesso modo Gesù dopo aver puntato il dito verso i ricchi, con tono minaccioso direbbe: “Ora voi avete una vita nella prosperità, ma poi... riceverete il castigo di Dio.”
Una lettura come questa è assolutamente deviante. Gesù ha uno sguardo molto diverso dal nostro. Questa tappa del cammino biblico dovrebbe solo aiutarci a guadagnare almeno in parte il suo punto di vista.
Beatitudine dei poveri. Condizione cioè invidiabile, privilegiata di fronte a tutti gli uomini. Gesù parla prima di tutto di beatitudine dei poveri qua é ora, perché qua e ora succede qualcosa: “Vostro è il Regno di Dio “. Dio è presente ed opera in mezzo a voi adesso.
Il “Guai a voi...” merita un chiarimento. Anche se dall’originale per assonanza si traduce “guai “, il significato autentico di questa parola sarebbe più corretto tradurlo con “Sono in grande pena per voi,..” Tutt’altro quindi che minaccia e volontà di castigo. Gesù è sinceramente preoccupato della loro condizione presente e futura.
Perché dunque i poveri sono beati prima di tutto qua e ora?
È pur vero che il Regno di Dio è rivolto a tutti, senza nessun privilegio o esclusione.., ma tra tutti, chi si accorge del Regno di Dio? Chi lo accoglie? I poveri prima di tutto e soprattutto! Nelle loro necessità, nelle loro privazioni sanno riconoscere che non bastano a se stessi! In modo molto concreto sono in attesa di salvezza! E questo - dice Gesù - è la disposizione che apre veramente il cuore alla fede, al Regno (offerto a tutti...)! Non è quindi beatitudine la povertà. E’ beatitudine riconoscersi bisognosi di salvezza!
Solo chi non è sazio sa alzare gli occhi al cielo con speranza, in attesa di salvezza. Ecco allora perché i poveri sono i nostri maestri nella fede. Sanno affidarsi! Per questo sono beati.
Non è sufficiente che Gesù porti il Regno di Dio tra gli uomini e lo offra a tutti. Non è sufficiente! Ci vuole qualcuno che lo accolga! Perché solo se qualcuno lo accoglie, allora il Regno diventa visibile, si manifesta, se ne fa esperienza! Il Regno può esserci, può venirmi incontro, ma io nella mia ricchezza, nella mia sufficienza... posso non accorgermene. Beati i poveri!
Gesù sfida la nostra comprensione e visione di uomo! Solo Gesù comprende l’uomo nella totalità e nella profondità di tutte le sue dimensioni: dalla sua concretezza al suo livello spirituale. E dichiara con la massima autorevolezza: “Io vi dico com‘è fatto l’uomo e di che cosa ha bisogno.” E quando egli ha il necessario, questo basta. E’ il bisogno di senso la sua necessità più profonda. E questa necessità è soddisfatta solo dall’incontro con il Regno di Dio.
Ed essi sono beati perché il Regno di Dio è una sicurezza che durerà per sempre: non li abbandonerà mai. E’ una consolazione che si prolunga nell’eternità: “... la vostra ricompensa è grande nei cieli
“Ma guai a voi ricchi, perché avete già la vostra consolazione...”
“Consolazione” è un termine importante nel Nuovo Testamento, non certo paragonabile al significato riduttivo che ha nel nostro linguaggio comune (contentino...). Consolazione è ciò che sostiene e difende la vita. Di fronte al Regno di Dio - offerto anche a voi - voi vi siete affidati alle ricchezze. E’ un problema di fede. Sono in pena per voi, perché esse non dureranno: “sarete afflitti, avrete fame...” La vostra sicurezza non è duratura, non ha nessuna stabilità. Gesù non minaccia: lancia un richiamo pressante!! Per quanto possa sembrare sorprendente, “Guai a voi... “non è assolutamente una rivendicazione sociale. Gesù è veramente preoccupato per la sorte dei ricchi!! E proprio uno sguardo diverso sulla vita!
I brani seguenti sono solo conseguenza e approfondimento di questo discorso sulle beatitudini.
- La compassione è di Dio La sofferenza del povero mi riguarda.
- Solitudine e affanno Davvero le ricchezze migliorano la vita?
- Rimaniamo servi Un padrone ce l’abbiamo sempre
- Un amico Lazzaro per entrare nella vita Chi ci accoglierà?
- Una cosa ancora ti manca Un tesoro nei cieli.
La compassione è di Dio
Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». E Gesù: «Hai risposto bene; fa questo e vivrai». Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Lc 10,25-28
Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n‘ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Và e anche tu fa lo stesso». Lc 10,29-3 7
Un esperto di religione pone una domanda radicale a Gesù: “Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”
Gesù lo induce a rispondere da sé stesso, ma ecco che l’esperto di religione tenta di difendersi, giustificarsi... La sua presa di distanza naturalmente non riguarda il primo comandamento (l’amore a Dio), ma riguarda il secondo comandamento (i rapporti tra noi): “E chi è il mio prossimo?” Ecco allora la parabola.
Il levita e il sacerdote sono “esperti” di religione: del primo comandamento prima di tutto, ma anche degli altri comandamenti del Decalogo, che riguardano la convivenza tra gli uomini. Questi due personaggi, davanti all’uomo ferito, riescono a passare “dall’altra parte della strada “ - specifica Gesù -. Perché questa specificazione?
La persona ferita tocca la coscienza di tutti, buoni o cattivi, esperti di religione o no (come vedremo...). E’ un appello, il primo appello alla nostra coscienza, anche se è ancora debole. Per farlo tacere basta poco: è sufficiente passare dall’altra parte della strada. Dopo qualche istante quel sentimento di disagio sparirà ed essi potranno ritornare col cuore e la mente alle loro “occupazioni sacre “.
Il samaritano invece si comporta diversamente. I samaritani sono - una parte eretica del popolo di Israele, che non hanno conservato la purezza della fede nel Dio dei Padri. Un samaritano quindi non è certo un esempio né per la sua conoscenza, né per la sua fedeltà ai comandamenti.
Anche il samaritano è toccato allo stesso modo, ma non si mette al sicuro da quel primo appello della coscienza. Ubbidisce invece alla verità di quel richiamo: prova “compassione”.
Per quel sentimento il samaritano è spinto a condividere la sorte di chi è nella sofferenza... Spinge a farsi vicino, “a farsi prossimo...”
Si impone una domanda. Perché noi passiamo tranquillamente indifferenti accanto ad una persona sconosciuta, ma che non è nel bisogno... mentre nessuno può passare indifferente accanto a una persona nel bisogno? E nessuno significa nessuno! Infatti il sacerdote e il levita devono cambiare percorso per resistere al richiamo della loro coscienza.
Gesù vuole spiegare che è proprio la sofferenza che rende quell’uomo tuo fratello; mostra il legame che vi unisce. Ti fa scoprire la responsabilità che hai verso di lui. Prima del comandamento, prima del dovere, prima di ogni ragionamento. E’ un sentimento.
E poi? E poi accade proprio quello che temevano il sacerdote e il levita (e tutti noi). Ti coinvolge! Quando ti avvicini a chi è nel bisogno, vedi ciò che è da fare immediatamente (fasciare le ferite, portarlo ad un ricovero) e anche ciò che è da fare dopo (affidare l’uomo anche ad altri e ritornare dopo qualche giorno...).
In sostanza Gesù dice che se ascolti “La compassione del cuore” e “ti fai vicino “, non farai più domande inutili e retoriche sulla tua responsabilità davanti a chi soffre. Non avrai più dubbi.
La domanda di Gesù alla fine del racconto cambia completamente la prospettiva. Il dottore della legge aveva chiesto: “Chi è il mio prossimo?” Gesù risponde con una interrogazione che lo provoca:
“Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di quell’uomo?” Fatti tu prossimo a chi è nella sofferenza...
“Va e anche tu fa lo stesso…” e smetti di cercare scuse che ti permettano di non rispondere al richiamo della coscienza davanti a fratello che soffre. E scopri la libertà e la pienezza di vita racchiuse nell’obbedienza a quella compassione che vibra nel tuo cuore: fatti tu prossimo di chi è nel bisogno!
Il dottore della legge aveva interrogato Gesù circa il secondo comandamento. Evidentemente egli pensava di conoscere bene in qual modo si possa amare Dio con tutte le forze. Ma Gesù attraverso questa parabola vuole indicare una nuova comprensione anche del primo comandamento.
C’è un eretico che di fronte ai malati prova compassione e li guarisce, anche se è sabato. Trascurando i diritti di Dio: perché l’uomo religioso di sabato osserva il riposo assoluto.
C’è un eretico che, mosso da compassione, siede a tavola con i peccatori. Trascurando i diritti di Dio: perché l’uomo religioso deve osservare la purezza rituale.
Gesù è quel samaritano eretico!! Con la sua vita mostra che Dio non è onorato dall’osservanza di precetti religiosi. Dio è onorato ogni volta che gli uomini riconoscono la sua cura e la sua compassione per chi soffre. Quando scopriamo questo volto di Dio, solo allora è possibile una relazione affettuosa con Dio: con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente.
Solitudine e affanno
«Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni». Disse poi una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarò richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio». Lc 12,1 5-21
Poi disse ai discepoli: «Per questo io vi dico: Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito. Guardate i corvi: non seminano e non mietono, non hanno ripostiglio né granaio, e Dio li nutre. Quanto più degli uccelli, voi valete! Chi di voi, per quanto si affanni, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? Se dunque non avete potere neanche per la più piccola cosa, perché L affannate del resto?’ Guardate i gigli, come crescono: non filano, non tessono: eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Se dunque Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, quanto più voi gente di poca fede? Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con l’animo in ansia: di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta. Lc 12,22-31
Questi due brani non lasciano alternative. O li accogliamo con commozione ipocrita e banale, oppure li accogliamo come la verità capace di rivoluzionare la nostra vita: non ci sono vie di mezzo!
- L’invito del primo brano è a non accumulare inutilmente tesori. Saremo capaci, solo quando riusciremo a riconoscere una sicurezza alternativa alle ricchezze. Questa sicurezza è la paternità di Dio, la sua provvidenza: raccontata nel secondo brano.
- L’invito del secondo brano è a non preoccuparsi del vestito e del cibo. Esso può essere raccolto quando tutti resistono alla tentazione dell’accumulo: raccontata nel primo brano.
Allora sì possiamo essere sicuri che ci sarà sempre il necessario per ciascuno, perché “Dio sa. che ne abbiamo bisogno” e “queste cose saranno date in aggiunta!” E’ una promessa solenne di Dio! Fossimo anche 10 miliardi (e non solo 6 come ora) questa Parola di Dio ci assicura che ci sarebbe ancora il necessario per tutti (e gli esperti delle organizzazioni internazionali lo confermano). Ma se qualcuno non resiste alla tentazione dell’accumulo, anche se ci fossero risorse per 20 miliardi di persone, ancora molti vivrebbero nella miseria!
Forse può aiutarci per tentare una risposta alla domanda che ci ponevamo all’inizio: “Se Dio è buono e onnipotente, perché Dio lascia morire di stenti e di fame tanta gente?”
Questi due brani sono quindi da leggersi e pregarsi sempre assieme. La fede del cristiano poi si misura nella tensione che i due brani creano.
- Certo, alcuni uomini si fidano del Vangelo: cercano prima di tutto il Regno... Ma altri vivono dissanguando tanti loro fratelli.
- Davvero nell’equilibrio della natura è possibile riconoscere i segni discreti di una cura, una paternità: nei gigli, negli uccelli del cielo. Ma i terremoti, le carestie e le malattie... dicono anche altro.
Ci sono dunque i segni per credere e i segni per dubitare... Fin dove arriva la mia fede? Fin dove sono disposto a rischiare e a pagare di persona per dire con le mie scelte concrete che questi vangeli sono la verità della vita? Questo è lo spazio per la fede del discepolo.
In ogni caso una cosa rimane chiara. La qualità della vita per chi non si fida del Vangelo è descritta con una efficacia unica.
Nel primo brano. L’uomo ricco non ha relazioni! Non ci sono altre persone: è solo in rapporto con le cose che possiede. Vive una solitudine abissale, convinto che quella sia la qualità buona della vita: “Anima. mia, datti alla gioia!” Questa tragica illusione cade solo alla fine. Gli è tolto tutto ciò che possiede: totalmente e per sempre. Questo del resto è anche sempre sotto i nostri occhi: nessuno che muore porta nulla con sé.
Nel secondo brano. Chi non si fida della cura di Dio, paga la sua incredulità con un affanno radicale che afferra il suo cuore. Troppo preoccupati a procurarci ciò che sostiene la vita, con il nostro affanno roviniamo la qualità della vita stessa.., che non vale più la pena di essere vissuta! Questo del resto è anche sotto i nostri occhi. Oggi moltissimi impiegano energie enormi per procurarsi “cose indispensabili” (davvero indispensabili?) per vivere. Di nuovo...
Non darmi né povertà né ricchezza; ma fammi avere il cibo necessario, perché, una volta sazio, io non ti rinneghi e dica: «Chi è il Signore?», oppure, ridotto all’indigenza, non rubi e profani il nome del mio Dio. Pro 30,7-9
Quando si avesse il necessario, la qualità della vita non migliora aumentando la quantità di beni concreti!! La qualità buona della vita, quando si avesse il necessario, è garantita solo dal senso spirituale che la vita riceve. Senso che solo la buona relazione con Dio e con gli altri uomini può dare. Quando avessi necessario, la pienezza di vita, la beatitudine è data dal mio essere figlio del Padre e fratello degli uomini.
Rimaniamo... servi!
Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona». Lc 16,9-13
“Nessun servo può servire a due padroni...” Senza troppi complimenti Gesù ci chiama tutti “servi…” Perché? Perché per Gesù non esiste un uomo che non sia servo e non abbia un padrone. La condizione umana è quella di essere servitori di qualcuno o qualcosa che noi riteniamo la realtà più importante. A qualcosa o a qualcuno ci affidiamo. Tutti! E sempre. È ciò che noi riteniamo sia la cosa per cui vale la pena spendere una vita.
Ma perché l’alternativa a Dio devono per forza essere solo le ricchezze? Non ci sono anche altri idoli? Certo: carriera, potere, sesso... Ma se pensiamo alla nostra esperienza, non facciamo fatica a riconoscere che ogni altro idolo può essere servito e custodito attraverso il denaro.
È il denaro che sembra darti ogni altro potere... compresi quei beni che a volte consideriamo irraggiungibili col denaro: salute, giovinezza, o bellezza... Ed è pur vero che ad una valutazione seria neppure il denaro può ottenere queste cose... Ma il denaro è il mezzo più efficace per illudersi di trattenere tra le mani questi beni il più a lungo possibile! Ecco perché sinteticamente Gesù dice che ogni alternativa a Dio è un dominio del denaro, di Mammona. Il Vangelo non mette un limite preciso alle rendite e ai conti in banca di nessuno. Però il Vangelo non lascia dubbi nell’avvertire che tutto ciò che supera il necessario non lascia il nostro cuore indifferente.
Ciascuno quindi scelga il suo padrone... ma ci pensi bene! Il Vangelo poi racconta la sorte di chi ha scelto il Signore:
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. Lc 12,37.
Un amico Lazzaro ... per entrare nella vita
La povertà è beatitudine. La miseria - la realtà per molti uomini e donne - non è beatitudine. E il Vangelo mostra le cause di questo scandalo con una chiarezza che non lascia spazio ad obiezioni.
C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi In questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi». Lc 16,19-31
Il contrasto creato dalla parabola è fortissimo. Due uomini che vivono così vicino.., eppure infinitamente lontani! Il povero non si trova dall’altra parte della città, lontano dagli occhi del ricco. Niente del genere. Giace alla sua porta. Cosi vicino che può addirittura raggiungere qualche avanzo che cade dalla tavola del ricco (non pensiamo quindi alle porte blindate delle nostre case di oggi...). Eppure il ricco non lo vede! Lo vedono i cani...
“Povero” e “ricco “. Ecco i due titoli che ora identificano questi due uomini. Ma è questa la loro verità? Di fatto il povero, solo lui, ha un nome: “Lazzaro” (che significa “Dio aiuta”). Per esprimerci nella mentalità biblica solo lui è riconosciuto da Dio, è davanti a Dio qua e ora. Ma la sua concreta condizione è una secca smentita del suo nome. E molto provocatorio questo brano del Vangelo, ma è la realtà di tanti poveri oggi!! Dov’è che Dio aiuta ?
Facilmente la nostra attenzione (o la paura) va al castigo che il ricco subisce dopo la morte. Ma la parabola non ha quest’intenzione.
Contrariamente a ciò che noi immaginiamo, alla morte dei due Dio non interviene castigando il ricco (“morì il ricco e fu sepolto. “). Dio interviene solo soccorrendo il povero (“Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo”).
Il dialogo tra Abramo e il ricco ci può aiutare a raggiungere il senso più autentico del racconto. Il ricco chiama Abramo col titolo di “padre” e questi risponde chiamandolo ‘figlio“. Perché per tutti la vocazione è una sola. La vocazione è diventare fratelli, e, attraverso la benedizione di Abramo, figli di Dio. Solo “dall’altra parte” però emerge questa identità chiaramente. Prima essi sono: “il ricco” e “il mendicante “.
Qual’era la possibilità perché Lazzaro e il ricco potessero scoprire la loro identità?
Un gesto che solo il ricco poteva fare: condividere i suoi beni! Condividere i suoi beni con Lazzaro, curare le sue piaghe, farlo sedere alla sua mensa... Ecco i gesti del ricco che avrebbero permesso ad entrambi di scoprire che sono fratelli!
Il ricco avrebbe potuto condividere con Lazzaro i suoi beni. Confermando al povero la verità del suo nome: “Si, Dio c’è e viene in tuo aiuto. Si prende cura di te attraverso il mio gesto, perché siamo suoi figli!” Di questo egli avrebbe potuto essere testimone.
E Lazzaro al ricco avrebbe dato... Dio stesso! Il ricco sarebbe stato accolto nelle “dimore eterne “. “Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc16,9). Sarebbe entrato come amico di Lazzaro e quindi come amico di Dio.
La separazione tra il ricco e Lazzaro “dall’altra parte” è semplicemente quello che il ricco ha deciso da sé già da “questa parte.” La morte è semplicemente il momento in cui ciò che io ho sempre scelto durante la vita, diventa definitivo.
Tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono. né di costi si può attraversare fino a noi...
Una cosa ancora ti manca
In questo racconto del Vangelo ritornano in forma sintetica alcune verità già emerse nei brani precedenti.
- Come il buon samaritano, così anche questo ricco è spinto da un movimento, che nasce non dal comandamento, ma dalla coscienza!
- Come nell’alternativa radicale tra Dio e mammona, cosi allo stesso modo il ricco è invitato a scegliere fra Gesù e le sue ricchezze. Solo questo colloquio, solo l’incontro col Signore fa cadere il velo dagli occhi del ricco. Si rivela qual’è il suo “vero dio “.
- Come l’affanno e la solitudine nei brani del capitolo dodici, così anche la sua “grande tristezza” alla fine di questo racconto conferma che egli è ben lontano dal vivere una pienezza di vita.
Un notabile lo interrogò: «Maestro buono, che devo fare per ottenere la vita eterna?». Gesù gli rispose: «Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se non uno solo, Dio. Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre». Costui disse: «Tutto questo l’ho osservato fin dalla mia giovinezza». Udito ciò, Gesù gli disse: «Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi». Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco. Lc 18,18-23
Un notabile, una persona quindi ricca e potente. La sua domanda non potrebbe essere più fondamentale. Ed essa rivela già un fatto importante. Evidentemente tutte le pratiche e l’impegno a cui è fedele non sono sufficienti per dargli la sensazione di essere sulla strada giusta, che porta alla vita. E la coscienza che lo spinge oltre! Per questo interroga Gesù! Gesù risponde con due obiezioni.
- Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se non uno solo, Dio. Che potremmo tradurre con: “Sei sicuro di sapere chi sono io ?“ E insieme, soprattutto: “Sei sicuro di sapere chi è Dio?”
- Tu conosci i comandamenti... Già da te stesso sai ciò che è necessario ad una vita giusta. Ma quando Gesù li elenca, cita solo quelli che riguardano i rapporti tra gli uomini. Volutamente non elenca i comandamenti del Decalogo riferiti al rapporto con Dio.
Il giovane risponde che i comandamenti che riguardano i rapporti tra gli uomini egli già li osserva... Così almeno crede...
E allora Gesù può arrivare al cuore del discorso. “Una cosa ancora ti manca.” Gesù conferma quello che già la coscienza aveva rivelato al ricco: “Si, ti manca qualcosa, hai ragione .
Va, vendi quello che hai e dallo ai poveri... “Perché in quello sta la tua fede vana, è la tua falsa stabilità nella vita. Il tuo idolo. Liberatene, perché è questo il tuo unico ostacolo sulla strada che porta alla vita. Tu stesso lo avverti. La tua coscienza te lo dice! Alle ricchezze di questo mondo tu chiedi qualcosa di sproporzionato, che non potranno mai darti: assicurarti la vita eterna...
Condividi quello che hai qua e ora, perché serve solo qua e ora. Serve per sfamare i tuoi fratelli qua e ora. Come il gesto che un’altro ricco avrebbe potuto fare verso Lazzaro... Come il gesto che ancora tanti altri ricchi avrebbero potuto fare ai tanti Lazzaro di oggi.
- Il tuo gesto qua e ora mostra la paternità di Dio che si china su tutti i suoi figli: anche grazie a te! Per questo diventa un tesoro nei cieli! Cosa preziosissima agli occhi di Dio!
- Se quello che hai è trattenuto nelle tue mani, diventa il tuo dio e tu non trovi la vita. Ne va della tua fede.
- Se quello che hai è trattenuto nelle tue mani, questi fratelli poveri moriranno, bestemmiando Dio e negando che Egli è Padre che si prende cura di tutti i suoi figli. Ne va della loro fede.
“Poi vieni e seguimi.” Ecco concentrati tutti i comandamenti che riguardano il rapporto con Dio: “Seguimi “. Solo così conoscerai finalmente chi sono io e chi è Dio, cos’è la sua bontà.
Sia in questo brano che in quello del buon samaritano, come puoi notare, l’interrogazione iniziale è la stessa: “Che cosa devo fare per ottenere la vita eterna??’ (Lc 10,25 e Lc 18,18).
Per “ottenere la vita “, sorprendentemente Gesù rimanda i due interlocutori... non al primo comandamento (al servizio di Dio), ma al secondo, alla relazione col fratello che soffre. Proprio nell’incontro col povero, essi possono riconoscere la compassione e la cura di Dio.
La scelta di Dio. Scelta dei poveri e fede in Dio sono indissolubili.