Davanti al nostro desiderio, alla nostra speranza di vita buona, Gesù si manifesta con la sua promessa e accende nel cuore la fede che con lui possiamo costruire sulla roccia.
Desideriodell’uomo ← ↓ → Promessadi Dio
E si accede la Fede!
Davvero il Signore si fa vicino alla nostra vita così? Davvero la sua unica intenzione è benedire in modo sovrabbondante la nostra vita? Chiediamolo ad altri personaggi che hanno incontrato Gesù: i discepoli. Chiediamolo loro in riferimento ad un argomento che tocca tutti sul vivo.
Vocazione e volontà di Dio
Se noi proviamo a leggere i racconti di chiamata dei dodici, ci accorgiamo subito di una evidente differenza tra gli evangelisti. Perché? Queste apparenti contraddizioni esprimono qualcosa di molto fine e profondo che una nostra cronaca moderna, unitaria non riesce più a rendere. La chiamata di Gesù è qualcosa di così denso, che un solo racconto non riesce a comunicarne tutti i contenuti essenziali: sono necessarie quattro redazioni per poter “guardare l’avvenimento” da più punti di vista e secondo più interpretazioni (è molto utile leggere sulla Bibbia di Gerusalemme pg 2079-2080...).
La vocazione dei primi discepoli secondo Giovanni
Leggi e prega con Gv 1,35-42
I protagonisti di questo incontro con Gesù sono due discepoli di Giovanni Battista: Andrea e probabilmente Giovanni (diventeranno entrambi apostoli e il secondo sarà anche l’autore di questo Vangelo). Essi appartenevano al gruppo del Battista: uomini già in ricerca quindi, e che su indicazione del loro maestro si mettono a seguire Gesù di loro iniziativa. L’evangelista vuol esprimere che per incontrarsi col Signore è indispensabile essere già in cammino,avere già una ricerca nel cuore..
Una piccola parabola di Matteo sintetizza questo aspetto proprio di ogni cammino vocazionale:
Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Mt 13,45-46
La vocazione dei primi discepoli secondo Marco
Leggi e prega con Mc 1,16-20
Qui il racconto è nettamente diverso. L’iniziativa sembra tutta di Gesù. Come suo è anche l’invito a seguirlo. L’attenzione si concentra però sulla prontezza con cui i discepoli rispondono. Ma cosa vuole esprimere questo racconto nella forma essenziale in cui si presenta? L’evangelista esprime forse l’obbedienza cieca ad uno sconosciuto? Non vorrà invece descrivere la fretta entusiasta di chi ha scoperto l’occasione della propria vita?
Questi uomini hanno incontrato qualcosa di inimmaginabile, che ha istantaneamente rivoluzionato ogni programma e orientamento precedente. Questa risposta istantanea non è obbedienza cieca, ma entusiasmo incontenibile di fronte un incontro sorprendente. Non potevano prevederlo, ma anche non potevano sperare di più.
Questo aspetto è ben descritto ancora da una brevissima parabola, che descrive la scoperta casuale (e sensazionale) di un contadino...
Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Mt 13,44
La vocazione dei primi discepoli secondo Luca
Leggi e prega con Lc 5,1-11
Anche questo racconto ci aiuta a fare un ulteriore passo avanti per comprendere un itinerario vocazionale secondo il Vangelo.
Avvicinarsi a Gesù appare qui un’esperienza più graduale. Da questo racconto emerge che vi sono alcuni incontri fra Gesù e Pietro prima della chiamata (a differenza di quanto sembrano lasciare intendere Mt e Mc). Pietro assiste alla guarigione della suocera, ascolta la Parola del Maestro, è testimone di alcuni miracoli, fino alla pesca miracolosa dopo una notte di lavoro inutile.
L’incontro con Gesù diventa dunque anche esperienza di salvezza. E’ novità di vita anche rispetto ai nostri insuccessi e fallimenti. Luca poi insiste sul “grande stupore che aveva preso lui e tutti...” Anche in Luca ritorna la sorpresa per l’incontro con Qualcuno che va al di là di ogni nostra attesa. Ricapitoliamo.
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Il racconto di Giovanni esprime la ricerca, il desiderio che ciascuno di noi si porta dentro.
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Marco e Matteo esprimono la prontezza della risposta di fronte all’incontro sorprendente con il Signore che chiama.
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Luca esprime il realismo e la concretezza di quest’incontro, che è graduale e che avviene non nonostante i fallimenti, ma anche attraverso i fallimenti.
Il clima dell’amore è... la libertà
Anche solo da questi brani si può riconoscere che:
La vocazione non è quella decisione irrevocabile preparata da Dio dall’eternità e che cala sulla tua vita. E una storia di “alleanza “!
Un dialogo di comunione, e di amore. Una comunione di amore suppone la libertà. Che alleanza è se la volontà dell’uomo e il suo desiderio non hanno alcuna espressione? Che spazio c’è per la libertà se ognuno entra in un progetto e una rigida predestinazione di Dio? E se guida tutti, perché qualcuno entra in comunione e qualcuno ne resta fuori? Il clima dell’amore è.....la libertà. Condizione dell’amore è il …rischio della libertà
ALCUNI CRITERI PER UN DISCERNIMENTO
Cerchiamo ora di definire alcuni criteri che possono aiutare un discernimento vocazionale.
La verità dell‘amore è la reciprocità
Per questa riflessione ci facciamo aiutare da altri tre brani di Luca, che, apparentemente in tensione fra loro, vogliono invece rivelarci un significato molto profondo.
Siccome molta gente andava con lui, egli si voltò e disse: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo». Lc 14,25-27
Pietro disse a Gesù: «Noi abbiamo lasciato tutte le nostre cose e ti abbiamo seguito». Ed egli rispose: «In verità vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà». Lc 18,28-30
Poi Gesù prese con sé i Dodici e disse loro: «Ecco, noi andiamo a Gerusalemme, e tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell’uomo si compirà. Sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà». Ma non compresero nulla di tutto questo; quel parlare restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto. Lc 18,3 1-34
Nel primo brano leggiamo: “Siccome molta gente andava conlui …” Gesù non è malato dei grossi numeri, perché nei grossi numeri c’è anche chi si fa trasportare dal facile entusiasmo. E’ commovente la preoccupazione di Gesù di metterci al riparo dalla nostra stessa superficialità: solo per risparmiarci delusioni! Per questo vuole che l’adesione a Lui sia consapevole e responsabile. Anche questo parla ancora di libertà! Quello che poi segue sembra confermare una convinzione diffusa: essere veri discepoli significa rinunciare a tutto ciò che si ama...
Il secondo brano invece ha altro orientamento. Gesù non respinge la domanda di Pietro come una domanda impertinente, espressione di egoismo... Tutt’altro. La risposta di Gesù piuttosto contesta certe nostre teorie secondo cui il dono di sé è tanto più puro quanto, meno è corrisposto.
Gesù sta dicendo che nel dono di noi stessi è evangelico sperare in una ricompensa. Non solo nella vita eterna ma anche qui e ora. Da Dio e dai fratelli. (I passi paralleli di Mt e Mc parlano del centuplo). Ti rendi conto di quanto Gesù si sbilancia promettendo una cosa simile? Ci credi? Fermati in preghiera e interrogati! Con calma!
Ogni gesto d’amore, di ogni amore (anche di chi non si sposa) ha una speranza. Non si dona all’altro per perdersi, ma con la speranza di essere riconosciuto per ricevere una risposta d’amore: il dono dell’altro. La verità dell’amore è una comunione di vita! Non il sacrificio!
E così nei nostri rapporti! Ci si sposa nella speranza di trovare la vita nella comunione con l’altro. S’inizia un’amicizia nella speranza che arricchisca entrambi. Si entra nella vita consacrata perché attirati dalla preghiera, dai rapporti comunitari e dall’amicizia per i poveri... non per fare sacrifici! Aiuti una persona che soffre perché... la sua sofferenza ti dice che è tuo fratello! La sua sofferenza.., ti mostra il legame che vi unisce!
Il Padre intende ricompensare con il centuplo ogni nostra offerta di amore. E a volte è proprio quello che sperimentano molte persone nel matrimonio, nella vita consacrata e anche in altre scelte. Davvero il Signore semina le sue benedizioni oltre ogni speranza.
A questo punto diventa evidente che il significato del primo brano non è un’esortazione alla rinuncia, ma al primato di Gesù su tutto.
Ma andiamo al terzo brano, che si trova immediatamente di seguito al secondo, alla promessa del centuplo.
La promessa del centuplo è subito attraente e comprensibile per tutti. Ben diverso invece è comprendere e scegliere la via della croce.
Non è né attraente né comprensibile, tanto che il Vangelo ne riporta tre annunci. E anche dopo il terzo, “i discepoli non compresero nulla di tutto questo; quel parlare restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto”.
Qui il Vangelo mostra di non sopportare le nostre semplificazioni e i nostri slogans riguardo alla vita e all’essere discepoli di Gesù. Facilmente le nostre mentalità su questo punto sono opposte.
Una spiritualità più tradizionale vede nel Vangelo soprattutto l’aspetto di sacrificio e di rinuncia che esso comporta. Esso contiene indubbiamente una sapienza: in questo modo non si rimane delusi nelle contraddizioni della vita e si è pronti a sopportare tutto... Ma ne risulta un volto di Dio mortificante e oppressivo, un’esistenza mortificante ed oppressiva.
Una spiritualità più moderna riscopre che il Vangelo è buona notizia. Riconosce il Dio della promessa e della benedizione, ma in un modo ingenuo che poi non sa reggere alle prove dell’esperienza.
Il Vangelo invece è molto più fine e completo: tiene insieme la promessa del centuplo e il realismo della vita che molte volte delude. Gesù, quando parla di croce, non smentisce nulla di quanto ha detto e fatto in precedenza. Il cuore del Padre è quello che lui ha mostrato fin dall’inizio, lasciando disorientati tutti, a cominciare dal Battista.
«Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli Zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella». Lc 7,22
La verità del Vangelo rimane quella che “hanno visto e udito “, ma quando l’intenzione di Dio incontra il rifiuto degli uomini, la forma concreta di quell’amore è la croce. Per Gesù e anche per i suoi discepoli. Per Gesù e anche per noi. Per noi nella nostra scelta di vita. Matrimonio, vita consacrata e ogni altra scelta. E allora?
Allora sarà per il nostro peccato e per quello di chi ci vive accanto che tante volte (troppe volte!) amare significa perdere! Ma appunto... quello è il peccato, non è l’intenzione di Dio.
Scegliere sinceramente
Se il senso più autentico dell’amore e del donarsi è ne terrò conto nel mio cammino vocazionale. Molto immaginiamo, nella scelta vocazionale possono pregiudizi che disturbano il discernimento.
Quante persone scelgono la vita di coppia con entusiasmo, ma anche con “un sottile disagio di fondo . Questo disagio nasce da una convinzione: credere veramente al Vangelo, essere veri discepoli significherebbe... abbracciare la vita consacrata. Questo solo sarebbe fare veramente la volontà di Dio. E così dopo la generosità giovanile (il volontariato, i gruppi di preghiera, la ricerca vocazionale...) il rapporto profondo col Signore rimane una nostalgia del passato!!
No! Non esistono vocazioni di serie A (consacrazione religiosa) e vocazioni di serie B (il matrimonio): la promessa per tutti è di vivere santi e immacolati nella carità davanti al Padre (Ef 1,3-5).
Nella Parola di Dio non esiste un primato del celibato per il regno, neppure in i Cor 7,1-40, il brano in cui San Paolo riflette su verginità e matrimonio. Neppure qui è descritta la vita consacrata come una via più eccellente, dal momento che:
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San Paolo è ovviamente entusiasta della sua scelta di celibato, ma non fa una riflessione generale: risponde piuttosto a problemi precisi di questa comunità, dove sono presenti delle tendenze ascetiche che disprezzano il matrimonio...
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San Paolo distingue con molta prudenza ciò che è “suo consiglio” da ciò che è “comando del Signore”
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Infine, anche se il tenore della riflessione di San Paolo sembra tendenzialmente dare più dignità al celibato per il Regno di Dio, questo testo va confrontato nell’insieme della Parola di Dio, dove ci sono anche scritti che gettano luci straordinarie sulla dignità del matrimonio (es. Ef 5,21-33)
Insomma.., la vocazione non è quella parolina che certi parroci bisbigliano all’orecchio di quei giovani più generosi nel servizio e nella preghiera per proporre loro di diventare preti o suore. La vocazione è semplicemente il cammino personalizzato con cui ogni cristiano segue il Signore. C’è bisogno di coppie sante e generose altrettanto quanto c’è bisogno di suore sante, preti santi, ecc.
Al di là di tutti questi fraintendimenti scelgo dunque qualcosa, qualcuno perché “sento” (non ne ho prima la certezza) che così saprò amare di più e mi lascerò amare di più.
Due lampade per orientarsi
Scelgo qualcosa, qualcuno perché “sento” (non ne ho prima la certezza) che così saprò amare di più e mi lascerò amare di più.
“Non ne ho prima la certezza...” Già! Perché la vita è rischio! E il discernimento è la nostra più grossa responsabilità!
La nostra coscienza dispone di due aiuti preziosi per riconoscere la scelta giusta. Il primo è un sentimento: di pace o turbamento. Non si tratta di un’emozione superficiale. E’ qualcosa di molto profondo, che non s’improvvisa.
Richiede la lunga ed impegnativa educazione del desiderio: ricordi l’approfondimento che abbiamo fatto sul desiderio nella tappa precedente? Ecco l’opinione di un sociologo di fama mondiale, Zygmunt Bauman.
“Oggigiorno i centri commerciali tendono ad essere progettati, pensando a desideri facili a nascere e ancora più rapidi ad essere esauditi.., non all’impegnativa coltivazione dei desideri autentici. “Togliersi la voglia” è un messaggio ossessivo inculcato dal mercato dei beni di consumo. “Coltivare un desiderio” sembra invece una possibilità inopportuna che richiama fastidiosamente all’impegno...
Togliersi una voglia, diversamente dall’esaudire un desiderio, è soltanto un atto istantaneo, che si spera non lasci conseguenze durevoli che potrebbero ostacolare ulteriori momenti di estasi.
Nella sua interpretazione più vera (quella evangelica) il desiderio va curato e coltivato, implica una cura prolungata.. Ma soprattutto - e cosa peggiore di tutte – comporta di rimandare il suo soddisfacimento: questo è senza dubbio il sacrificio più intollerabile nel nostro mondo fatto di velocità e accelerazione. Nella sua versione radicale e condensata - la voglia - il desiderio oggi ha perso tutte queste fastidiose qualità. Come recitava il messaggio pubblicitario di una famosa carta di credito, oggi è possibile “eliminare l’attesa del desiderio” (Confronta Zygmunt Bauman, “ Amore liquido “, Ed. Laterza.)
Il sentimento dunque come un primo e prezioso aiuto nel discernimento... Sentimento di pace o turbamento. Perché nella vita non basta scegliere il bene in generale. Devo riconoscere il bene per me. Allora quella pace mi dice che sono davanti alla perla preziosa per cui vale la pena giocare tutto. Così il turbamento mi segnala che quella cosa non è per me, anche se è una ragazza splendida, una comunità evangelica, un lavoro interessante!
Ma sarà sempre giusta quell’intuizione del sentimento ? Ecco allora un secondo aiuto per il discernimento: la riflessione, dal momento che il sentimento non è infallibile (ma ignorarlo è sempre fonte di sofferenze). Mi istruisce su ciò che ho scelto (o che devo scegliere) anche con delle ragioni. Ragioni che sono una sintesi di comune buon senso e valori evangelici (ricorda che il Vangelo non va mai contro il comune buon senso; semmai a volte va oltre...).
Da una parte quindi il sentire immediato, dall’altra la valutazione obiettiva dell’intelligenza: “testa e cuore insieme”. Raggiungere l’accordo di questi due indicatori, è il segno di una coscienza che ha imparato l’arte del discernimento. Dalle grandi scelte di vita alle decisioni del quotidiano: tutto trova un orientamento comune. Così “voglio davvero”...
Per capirci: non solo ad ogni avvenimento che ti accade, ma anche ad ogni tuo pensiero... si accompagna sempre un sentimento. Questo sentimento è il tuo legame affettivo con ciò che vivi e ciò che pensi. Il sentimento rivela noi a noi stessi.., gli orientamenti profondi del cuore.
Neppure immagini quanto lo Spirito parla alla tua coscienza con questi messaggi di pace o turbamento.., se solo impari a raccoglierli! E poi di luce in luce la tua sensibilità crescerà nel saper raccogliere questi appelli dello Spirito. Questa distinzione tra pensieri e sentimenti ci può sembrare anche troppo tecnica e macchinosa. Ma non deve diventare una tecnica, perché il rapporto con Dio non si riduce a tecniche!! E in ogni caso non ci si può sottrarre a questa riflessione, perché è il modo per entrare in contatto con se stessi, col proprio vissuto.., è l’anticamera della preghiera. Con la pratica, questi passaggi diventeranno facili e spontanei: allora saremo giunti allo scopo, si sarà plasmato un atteggiamento di discernimento.
Testa e cuore assieme, in una sintesi sapiente che solo lo Spirito può farci raggiungere in preghiera. Diversamente noi tendiamo a farci guidare da una sola di queste nostre risorse. Ecco degli esempi.
Il sentimentale. È chi si lascia guidare solo dal cuore. Sono persone che prendono decisioni senza sufficiente riflessione. Si fanno trascinare dagli avvenimenti e dalle sollecitazioni che attirano. Questo rapporto con la vita è ovviamente inaffidabile, pericoloso. Riserva spesso dolorose delusioni.
Lo scrupoloso. È chi si lascia guidare da immagini ideali della vita cristiana (ad esempio vocazioni di serie A e vocazioni di serie B...) e poi cerca di farci entrare prima di tutto se stesso, le sue attività.., e infine tutte le persone a cui è legato. La vita è vissuta senza passione: si riduce a obbedienza morale, ad imposizione. Ci si impegna, ma si è guidati solo da un senso del dovere.
Il calcolatore. È chi evita il rischio di coinvolgersi nelle situazioni. Desidera conoscere sempre meglio la vita, ma non impegnarsi sinceramente in una scelta. Qui non c’è la passione, ma neppure il coinvolgimento! Oggi questa deformazione molto diffusa prende la forma più precisa del vivere tutto ad esperimento: “Vediamo se mi conviene...” La conseguenza di questo tipo di atteggiamento è l’indecisione drammatica che paralizza tanti giovani oggi.
Una fatica di oggi: l’indecisione
Non parliamo qui tanto d’incapacità ad assumere responsabilità (che può essere il problema personale di qualcuno), quanto piuttosto di un clima, uno stile del nostro vivere.
Tutti ci accorgiamo che i rapporti nella società di oggi sono diventati impersonali e distaccati. Soprattutto per i giovani sembra diventato sempre più difficile coinvolgersi in relazione impegnate, legami definitivi. Si spera di stabilire relazioni importanti ma se ne ha anche paura. La società di oggi incoraggia in molti modi questa convinzione: nelle relazioni non si deve investire troppo. Vediamo alcuni ambiti in cui il vivere sociale porta a questa tendenza: la burocrazia, la comunicazione, la tecnica, la simulazione.
La burocrazia educa l‘indifferenza
La società di oggi è segnata da un’esasperata divisione dei compiti. Chi di noi non ha vissuto l’irritazione di fare una coda interminabile ad uno sportello, mentre gli impiegati degli sportelli vicini non lavoravano perché “non era una loro competenza”? La burocrazia è diventata un ostacolo (o un alibi?) tale che diventa sempre più difficile una risposta personale nelle situazioni concrete. Negli ambienti pubblici prima di tutto, ma anche nella sfera privata molto più di quanto pensiamo.
Un comunicare superficiale.
Oggi c’è una possibilità illimitata di comunicazione: telefono, corrispondenza postale normale e prioritaria, fax, e-mail, sms, chat... Tutte queste possibilità hanno però favorito una qualità della comunicazione spesso scadente, sempre più impersonale, spesso banale. Comunicare rimane esigenza irrinunciabile, ma assistiamo ora alla diffusione di una tendenza significativa: dire di sé escludendo ogni coinvolgimento. Nella forma spesso anonima, che non impegna chi parla e chi ascolta, se non per il tempo di quella conversazione: vedi... chattare su Internet.
A proposito del cellulare, è indicativa la testimonianza di uno scrittore americano, che andando in visita in molte famiglie aveva assistito infinite volte alla scena seguente. Questa testimonianza è riportata ancora dal sociologo Barman…
“La mamma prepara la macchina del caffé. I bambini, seduti con i piedi ciondoloni, mangiucchiano la loro brioche. Papà, leggermente proteso all’indietro rispetto al tavolo, che parla al cellulare... Pensavamo di star vivendo una rivoluzione delle comunicazioni, ed ecco che, all’apice di questa rivoluzione, i membri di questa famiglia evitavano di guardarsi negli occhi”.
Qualche anno dopo questo scrittore avrebbe probabilmente visto quattro cellulari in funzione intorno al tavolo. I cellulari non avrebbero impedito alla mamma di occuparsi della sua macchina del caffé, né ai bambini di mangiare la loro brioche. Ma avrebbero reso a tutti superfluo lo sforzo di evitare lo sguardo degli altri: gli occhi si sarebbero comunque trasformati in muri bianchi, e un muro bianco posto di fronte un altro muro bianco non provoca alcun danno. Con un po’ di tempo a disposizione, i cellulari avrebbero addestrato sia la corrispondenza elettronica, sia la comunicazione col cellulare... soddisfano un bisogno di “connessione” (per usare un termine di moda). La connessione risponde contemporaneamente a un bisogno di indipendenza e ad un desiderio di appartenenza. Tra indipendenza e appartenenza... senza i rischi della solitudine o l’impegno di vincoli troppo stretti. Un ventenne intervistato nell’ambito di uno studio condotto da una università americana ha confidato: “Non rispondere a una e-mail è la cosa più semplice del mondo. Puoi sempre premere il pulsante «Cancella». (Confronta Zygmunt Bauman “Amore liquido “ Ed Laterza)
La tecnica è spesso nemica del senso
Il nostro quotidiano è sempre più segnato e condizionato dalla tecnica. E’ estremamente comodo poter comunicare con chiunque e in qualunque momento, ma non è così facile conoscere tutte le funzioni del tuo telefonino... E così per la centralina del riscaldamento, per il tuo forno a microonde, per non parlare del computer... Continuamente per le nostre attività quotidiane siamo costretti ad avere tra le mani libretti di istruzioni. Abbiamo bisogno prima di tutto di eseguire precise operazioni. Il mondo tecnico in cui siamo immersi costringe sempre alla domanda: “Come si fa...?” E sembra che non ci rimane più tempo per una domanda più importante: “Cosa vuoi dire..?”. Alla fine ci manca anche il linguaggio, le parole familiari per poter esprimere quello che sentiamo, viviamo. La coscienza con i suoi vissuti diventa uno stato d’animo muto.
La simulazione delle opinioni.
Questi condizionamenti e altri ancora creano un clima che spinge alla cautela, alla prudenza: nei rapporti sociali è sempre meglio non sbilanciarsi mai, quando si esprimono le proprie opinioni. E’ molto meglio assumere atteggiamenti e mentalità comuni, che vadano bene a tutti. Le proprie convinzioni è meglio che rimangano riservate, personali. Dichiararle significa essere subito inquadrato, e magari essere tagliato fuori. E meglio mimetizzarsi nei discorsi di tutti.
Ma questo comporta che io abbandoni la pretesa di considerare le mie come verità assolute, ma piuttosto “provvisorie”. A poco prezzo si può cambiare. Alla fine si cerca di vivere una vita non troppo contraddittoria e non troppo incoerente.
Alla fine “il mio io” vero e proprio lo tengo ben nascosto e al riparo. E mi sforzo di mettere in salvo le parti più intime che di me, tenendole separate dai ruoli e a volte addirittura anche dai rapporti che vivo. Se e quando è necessario, posso sempre rinunciare a qualche convinzione, a qualche parte di me: a volte può anche essere attraente e dà maggior libertà.
Vivere come spettatori distratti...
Ecco alcune radici dell’indecisione che oggi sembra paralizzare molti, soprattutto giovani. Come il solito il Vangelo ci sorprende per la sua attualità anche a questo proposito. Ci aiutano in particolare due brani di Luca:
Gesù diceva ancora alle folle: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?». Lc 12,54-57
Gesù ci assicura che il discernimento che normalmente impieghiamo per orientarci nel nostro vivere concreto è sufficiente anche per la nostra vita spirituale e per i nostri orientamenti morali. Nascondersi dietro la scusa di insufficiente chiarezza, insufficienti elementi per decidere... è ipocrisia.
«A chi dunque paragonerò gli uomini di questa generazione, a chi sono simili? Sono simili a quei bambini che stando in piazza gridano gli uni agli altri: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!E’ venuto infatti Giovanni il Battista che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: Ha un demonio. E’ venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve, e voi dite: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figli». Le 7,31-35
Gesù spiega che, chi vuole rimandare il proprio coinvolgimento, troverà sempre scuse. Persino quando la verità appare nella sua forma più chiara e definitiva: Gesù e il suo Vangelo.
Qual è il rischio in sostanza? Di vivere come uno spettatore annoiato davanti al televisore: azionare il telecomando, ma senza sapere cosa vuol davvero guardare. Non ha un’attenzione precisa... Cerca qualcosa che l’attiri, aspetta che sia il programma a convincerlo. Non guarda e non ascolta nulla dall’inizio alla fine e non si impegna in una vera attenzione. Questo è il modo più probabile di sprecare una serata. Ma questo può essere anche l’atteggiamento con cui si vivono le esperienze della propria vita. Senza coinvolgimento e passione non nasce un amore.., ma neppure un’amicizia.., niente di veramente importante!
Un altro aspetto del discernimento: desiderio e talenti
“Che cosa faccio nella vita?”. È la domanda più seria di tutte, evidentemente. Dalla risposta a questa domanda dipende la nostra felicità, almeno per quello che è la nostra responsabilità. Quello che io faccio, e voglio fare della vita, dipende però anche dalla percezione che ho di me stesso: “ciò che sono” è/o “credo di essere”: una consapevolezza mai completa.
Nel bambino non c’è ancora questa consapevolezza: agisce... spontaneamente. Ma nel suo agire spontaneo il bambino (e non solo il bambino) manifesta tendenze, un carattere. Il bambino ha un’impronta! C’è il bambino che va con tutti e quello che sta solo in braccio alla mamma. C’è il bambino attirato da tutte le cose che fan rumore e quello attirato da tutto quello che si muove... Gli esempi potrebbero continuare. Di fatto si manifesta gradualmente un “orientamento”. Non solo. Ci sono interessi, tendenze innati (globalmente: il desiderio) a cui corrispondono doni, capacità innati (i talenti).
DESIDERIO →TALENTI
←
Questa corrispondenza esprime una coerenza del nostro essere: ciò che mi piace, mi attira è coerente a ciò per cui sono più dotato. Il bambino che ha interesse per le cose meccaniche, ha una particolare capacità per smontare e rimontare ad esempio un giocattolo.., a parte i primi tentativi!!
Questa corrispondenza esprime anche una costanza: nel bene e nel male io mi manifesto con atteggiamenti simili. C’è la persona che stabilisce facilmente relazioni, crea un clima nel gruppo, è sensibile a quello che stanno vivendo altri.., ma d’altro canto è spesso una persona che rimane facilmente ferita, dipende dai giudizi... Sono aspetti positivi e negativi di una persona particolarmente proiettata nei rapporti. C’è la persona molto coerente e fedele ad alcuni principi che sostengono il suo cammino di vita; ma può capitare che sia intollerante verso la debolezza degli altri, che cada facilmente in giudizi. Sono aspetti positivi e negativi di una persona molto proiettata sui valori. In questi esempi c’è un desiderio da educare e dei talenti da sviluppare.
Questo intreccio di interessi e inclinazioni (desiderio) - da una parte - e doni e capacità (talenti) - dall’altra - è qualcosa che mi ritrovo. Lo ricevo! Da Dio! Sono una parola che Dio mi rivolge, importante, se voglio decifrare e orientare la mia vita. Alcuni aspetti vengono sviluppati, altri trascurati o scoperti chissà quando...
E così gradualmente ci si avvicina alla tappa decisiva della vita: l’impegno definitivo, la scelta vocazionale. Tutto ciò che ho scoperto di me ha creato in me delle attese per riconoscere le occasioni che la vita mi pone davanti.
DESIDERIO / TALENTI → ← OPPORTUNITA’ ‘DI VITA
La persona che sa cosa vuole, e conosce le sue capacità... è attenta, vigile. Si accorge delle occasioni che la vita gli offre... la perla preziosa! Diciamo però questo con realismo: scelgo quando e quanto la vita mi permette di scegliere!
E... “chi ha sbagliato vocazione?”
È una situazione sempre dolorosa. La Chiesa, che pure difende l’indissolubilità del matrimonio, riconosce la nullità di certi legami. Cosi anche una persona avviata con sincerità nella vita consacrata, si può accorgere che non è “il suo posto
È ammettere con sofferenza: “Non sono stato capace di riconoscere il bene per me.” Questo significa trovarsi in quelle situazioni di vita in cui quello che si fa, i legami con le persone non nutrono veramente il cuore. Se è possibile tornare sui propri passi, se non si aumenta il dolore delle persone coinvolte... ricominciare un altro cammino è la decisione più evangelica. A Gesù non interessa gente che stringe i denti; vuole gente che si dona con serenità.
Ma a volte non è possibile tornare sui propri passi per diversi motivi... Allora si può amare, ci si può donare e ricevere anche riconoscimento dagli altri, ma purtroppo questo non nutre la profondità del nostro essere! Tuttavia non per questo quel cammino perde di senso e valore: rimane un autentico amare, donarsi. E il Signore alla fine non mi chiederà quanto io sia stato preciso nel cercare il mio posto, ma quanto ho saputo amare lì dove ero.
Bisogna però anche ammettere che (raramente? spesso?... Lo sa solo il Signore) non si tratta di una vocazione sbagliata! C’è una parola di San Paolo agli Efesini che ci può aiutare:
Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza. sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Ef 4,1-3
Anche qui è essenziale un discernimento profondo: attraversare un periodo di prova, anche lungo, non significa sempre essere fuori posto. Può capitare semplicemente perché nella vita consacrata non si è coltivato un rapporto caldo e autentico col Signore; perché nella vita di coppia non si è coltivato il dialogo, il comunicare in profondità. Oppure senza chiare responsabilità.., semplicemente non ci si capisce: nella coppia o in una comunità religiosa.
Di fatto era (.. è!) il nostro posto! Anche se oggi non lo sembra più! E’ il momento in cui nulla esternamente sembra confermare la bontà del cammino intrapreso.
Cosa ci suggerisce il Vangelo a questo proposito? Una luce davvero straordinaria!! Possiamo esprimerla in questi termini...
I discepoli — lo abbiamo visto - incominciano a seguire Gesù fin dall’inizio della sua vita pubblica. E indubbiamente la loro decisione li ha messi nel solco della verità e dell’amore: è la scelta giusta! Bene, ma le motivazione della scelta... quelle dovranno essere lungamente purificate durante il cammino! Hanno cominciato a essere discepoli per delle ragioni, che poi andranno in crisi in modo assolutamente drammatico! E dopo la scandalo della passione e la risurrezione rimarranno fedeli alla bontà di quella scelta... per tutt’altre ragioni!
Il nostro errore dopo una scelta di vita, è spesso quello di fare esperienze e cammini di maturazione... a cui però non corrisponde anche una contemporanea evoluzione nelle ragioni della scelta. Esse, sorprendentemente, ma purtroppo frequentemente... non vengono coltivate: rimangono come bloccate, fisse in un passato che è alle spalle e che non risponde più ovviamente alle attese del presente. Se la scelta non viene ripresa e approfondita quotidianamente, la conferma che persuade sulla bontà del cammino, invece di crescere, finirà per svanire. Tenere questa conferma viva e vegeta, suppone impegno e costante vigilanza!
Invece sembra si preferisca spesso una strategia di questo tipo: “Aspettiamo e vediamo se funziona e dove ci porta...” Il giudizio sulle nostre scelte lo consegniamo al corso imprevedibile della vita.
Questi percorsi hanno certo un inizio, una ”causa” alle spalle, ma non hanno... un “fine” a cui sono orientati! L’inizio è certo affiorato in modo spontaneo: così sboccia un innamoramento o la sintonia con una comunità... o altri legami simili. E così, una volta che ci si è legati ad una persona o ad una realtà... ci si illude che la conferma rimanga o cresca spontaneamente. Nella persuasione che se fosse favorita o incoraggiata da noi, allora non sarebbe autentica! L’inizio è emotivo e sentimentale e non può essere che così. Il fine invece è frutto di volontà e riflessione consapevole.
Solo il fine può confermare ed approfondire la verità di quell’inizio spontaneo. Il Signore è presente, fedele ed operante in modo particolare per sostenere questo cammino.
Essere scelti.., scegliere...
In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli, ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli: Simone, che chiamò anche Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo
e Giuda Iscariota, che fu il traditore. Lc
6,12-16