Che qualità avrebbe una pratica da cui non dovessero venire un gesto ed un’attitudine progressivamente rinnovati.
La meditazione ci deve condurre ad uno sguardo nuovo sull’universo e sull’umanità.
Essa conduce al mondo perché vi sia portata e praticata la parola divina.
Ascoltare la Parola del Dio cristiano, o la parola del Budda, dell’Atman, del sé deve sfociare sull’azione perché un vero ascolto mette in movimento.
La vocazione del meditante è quella di divenire attore; la contemplazione si prolunga nell’azione, dove si realizza in un’azione trasfigurata dallo spirituale.
La nostra vita è un succedersi di tempi forti e di tempi deboli.
I tempi forti, come la meditazione, si alternano con i tempi detti deboli che hanno bisogno, per svolgere il loro ruolo, di essere costruiti sui tempi forti, nutriti e vivificati da essi.
Per colui che persevera nella meditazione le frontiere tra preghiera ed azione divengono veramente labili infatti egli sta facendo unità nella sua vita.
La meditazione inverte la nostra tendenza ordinaria: dall’afferrare si impara a lasciarsi afferrare.
Essa trasfigura la banalità, il sacro si materializza nel profano.
Con, ed a causa della meditazione è la vita intera che diviene pratica-esercizio spirituale.
E’ dal contatto con gli altri che si verifica la profondità del lavoro fatto su se stessi.
E’ dal contatto con la realtà che si vede o meno la stabilità interiore.
La redazione augura a coloro che praticheranno la meditazione una vita fatta di una successione continua di momenti di “risveglio”, augura ancora che ciascuno possa trovare in uno dei metodi proposti un aiuto per la propria crescita.
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