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Domenica, 19 Febbraio 2006 13:05

LECTIO –B- Luca 24,13-35

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EMMAUS: alla ricerca della fede perduta

 

13Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, 14e conversarono di tutto quello che era accaduto. 15Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.

17Ed egli disse loro: “Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?”: Si fermarono, col volto triste, 18uno di loro di nome Clèopa, gli disse: “Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?”: 19Domandò: “Che cosa?”. Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. 

 

21Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino, al sepolcro 23e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”.

25Ed egli disse loro: “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! 26Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”

27E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. 28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. 32Ed essi si dissero l'un l'altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”. 33E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”. 35Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

 

Ora rileggi lentamente ed attentamente il testo biblico finché abbia messo radici in te

 

MEDITATIO

Gerusalemme nella struttura del Vangelo lucano costituisce il punto di tensione verso cui converge il cammino di sequela: abbandonare Gerusalemme per ritornare a casa propria significa pertanto interrompere la sequela, porre fine al discepolato. Lo scandalo della croce ha prodotto lo smarrimento e la delusione, e i due ex discepoli mostrano i tratti della disperazione: sono incapaci di riconoscere Gesù che si fa compagno di viaggio, litigano fra di loro (che non si tratti di una discussione pacifica lo mostra il verbo al v. 17 che ha questa accezione negativa del discutere), mostrano un volto triste (v. 17) e si rivolgono sgarbatamente al viandante che si è accostato, dando a Gesù del forestiero, considerandolo cioè un intruso nella loro esperienza. Questi tratti, che caratterizzano lo stato d’animo dei due, mostrano un’umanità ferita a morte perché orbata dalla propria speranza: “noi speravamo … ma ora non speriamo più”.

 

Come buon samaritano il divino viandante si accosta a questa umanità delusa, si fa prossimo per curarne le ferite conseguenti alla mancata comprensione del mistero della croce. Egli chiede anzitutto ai due di esternare le ragioni del loro disagio: per guarire la propria poca fede è sempre necessario far emergere le radici profonde che la alimentano.

Speravamo che fosse lui a liberare Israele” (v. 21): ecco che ora si manifesta la ragione di ogni delusione umana che consiste nella pretesa di imporre a Dio le proprie attese e i propri sogni. Gli ex discepoli confidavano che Gesù, considerato solo un profeta (v. 19), fosse un Messia politico, che avrebbe portato alla liberazione militare d’Israele e al ripristino del regno davidico. Questa speranza è stata disattesa dall’incomprensibile sconfitta umana, dall’incidente della croce. A poco servono le voci di una avvenuta risurrezione (vv.22-24), ormai è chiaro che Gesù non è un liberatore politico, uno che risolve i problemi concreti della gente. Ogni speranza umana che presuma di sovrapporsi al progetto di Dio è destinata ad infrangersi; ogni discepolo che pretenda di insegnare al Maestro si estromette dal discepolato a causa della propria arrogante presunzione.

 

Un maestro ostinato

La via che scende a Emmaus assomiglia alla via che scende a Gerico perché il divino viandante si china come samaritano sulle ferite della disperazione. Ma la via di Emmaus è anche il luogo dell’ostinazione di un Maestro che non vuole assolutamente perdere i discepoli: si direbbe addirittura che Egli si ponga all’inseguimento di essi. Lo sconosciuto viandante si trasforma ora in autorevole Maestro che rimprovera i suoi discepoli per la mancata comprensione degli eventi che li hanno scandalizzati (v. 25). Benché il rimprovero appaia duro, in realtà esso stesso mostra che Gesù riammette i due nel discepolato. La ragione poi di tanta durezza sta nel fatto che essi avrebbero dovuto capire che l’evento della croce non costitutiva un incidente imprevisto ma apparteneva al progetto di Dio dal momento che era stati già reso noto attraverso le Scritture (v. 27). La conoscenza delle Scritture, cioè la familiarità con quanto Dio ci ha fatto conoscere di sè, elimina il rischio di fraintendere la volontà di Dio o, peggio, di anteporre i progetti umani al disegno di Dio. Alla luce della Parola, che viene spiegata da Cristo stesso, l’ora della croce viene compresa come il punto di passaggio per l’ingresso nella gloria (v. 26) e la palestra del dolore diviene la scuola dell’amore: in tal modo i presuntuosi delusi tornano ad essere discepoli.

 

Si torna a Gerusalemme

Intanto i discepoli recuperati sono arrivati a casa: Gerusalemme, luogo della fede, rimane ancora alle loro spalle mentre essi si ritrovano nell’apparente sicurezza della propria dimora. Essi, però, non riescono a fare a meno di quel viandante che, mediante la luce delle Scritture ha corretto le loro speranze e ha guarito la loro delusione. E’ la sera di Pasqua, il giorno senza tramonto, ma per i due è una delle tante sere del mondo: “questo giorno volge al declino”, perché essi non sono stati ancora contagiati dalla gioia dell’incontro col Risorto. Non è un gesto di cortese ospitalità ma un’insopprimibile esigenza la loro richiesta: “Resta con noi”, perché tutto, non solo questo giorno, volge al declino 8v. 29). Non è bastata la luce delle Scritture a rischiarare le tenebre incalzanti, non è stato sufficiente l’aver compreso il senso di quella croce: essi avvertono il bisogno di rimanere con quell’uomo che neppure hanno riconosciuto perché gli occhi della fede restano chiusi. “Quando fu a tavola con loro prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro” 8v. 30). In questa sequenza di azioni è chiaramente rinnovato il dono dell’Eucaristia, presenza pasquale del Signore risorto. L’itinerario di fede dei due è compiuto: ora si aprono i loro occhi e lo riconoscono. Riconoscono che la croce è una tappa e non una meta, che la morte è un passaggio e non un arresto, che la liberazione operata da Gesù non è nei confronti degli occupanti romani ma è radicale liberazione dalla morte. “E Gesù sparì dalla loro vista” (v. 31): non c’è più ragione che Egli restio con loro dal momento che ora nella fede sono divenuti tutt’uno con Lui. Essi ora possono rileggere quella loro esperienza: quando Gesù ha parlato con loro il loro cuore ardeva nel petto, essi cioè hanno sperimentato l’intima gioia della conversazione col Risorto 8v. 32). La familiarità con Gesù fa “ardere il cuore nel petto”, guarendo dalla tristezza e dal torpore. Dopo tutto ciò non ha più senso rimanere ad Emmaus. Gerusalemme torna ad essere il punto di tensione della sequela, solo che ora non è più il traguardo del cammino di fede ma è il punto di partenza dell’annunzio e della testimonianza. “Partirono senza indugio” 8v. 33), affrontarono il buio della notte e dimenticando la stanchezza del cammino: ormai il desiderio di condividere la gioia di quell’incontro che ha gradualmente trasformato i due da presuntuosi delusi in discepoli e da discepoli in apostoli.

 

Alle origini la fede cristiana era chiamata semplicemente la “religione del Cammino” e i cristiani erano “quelli del Cammino” (At 9,2). Emmaus dimostra che in questo “Cammino” ciò che conta è accogliere e riconoscere Gesù che si fa nostro compagno di viaggio perché la nostra via non si arresti ad Emmaus ma continui fino a Gerusalemme.

 

Ora rileggi il testo ed applicalo a te stesso.

La fede talora ti ha deluso? La tua speranza ha vacillato?

Credi che il momento della prova sia un utile momento di passaggio?

Siamo tutti lungo la via della vita, è bene per noi essere attenti ad accogliere e riconoscere Gesù.

 

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Letto 3368 volte Ultima modifica il Mercoledì, 26 Febbraio 2014 15:47

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