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Lunedì, 20 Dicembre 2004 01:32

La preghiera dell'orto

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a cura di Lucia Nocilla


  
      Tra i tanti doni che mi hai fatto, Signore,c'è l'orto, un fazzoletto di terra dietro casa, dove ha trascorso molte ore, con te, con me stessa, con i miei cari, con la testa libera di spaziare dove voleva. Ho potuto pensare a tante cose, ho chiacchierato un sacco con te. Provo a mettere per iscritto qualcuna di queste chiacchiere.




La terra vergine

    L'ultimo lavoro che si fa in autunno ed il primo chesi fa in primavera è arare; in primavera con i piedi nudi. Mi è sempre piaciuto affondare nella terra morbida e scura, senza solchi né aiuole, ma pronta per tutto; nella terra vergine. Guardandola, e soprattutto toccandola, mi sono chiesta, tanti anni fa,perché mai mi parlasse di verginità, lei che da tanti anni è lavorata e dà frutti. La risposta e semplice: perché è disponibile ad accogliere e a dare tutto ciò che le si chiede, come se fosse sempre la prima volta. Non è mai stufa o stanca o arrabbiata: dà e basta.

    Signore, chi di noi è vergine? lo non disicuro, e mi dispiace. Perdo l'entusiasmo, affrontare ogni giorno la quotidianità spesso mi annoia e mi avvilisce, mi manca la freschezza di una volta. Improvvisamente mi sembra di capire qualcosa della tua deliziosa mamma (provo a dire la mia senza pretendere dimisurarmi con i capoccioni che nel corso dei secoli hanno fatto di tutto per rendermela antipatica, coprendola di attributi stranezze e virtù che tanto la allontanano dalle sue colleghe mamme): lei è vergine non per improbabili situazioni anatomiche pre e dopo parto, pre e dopo matrimonio, ma perché è sempre fresca, disponibile, accogliente; ci dice: "Sono qui" con lo stesso entusiasmo di quando diede questa medesima risposta, appena quattordicenne. Non so quanta fatica abbaia fatto la tua mamma a conservarsi vergine. Per me di sicuro è difficilissimo, ammesso che qualche volta ci riesca, molto più faticoso che ridare ogni primavera verginità al mio orto.

    Un giorno sentii don Messina (a) dire che di fronte al dolore siamo tutti vergini, perché ne siamo quasi sempre colpiti come se fosse la prima volta. E le gioie? Le cose belle? Salute,famiglia, amici, benessere, possibilità di scegliere... E' tutto scontato, è tutto dovuto. Non essere più capace di ricevere con entusiasmo ha la disastrosa conseguenza di togliermi anche la capacità di dare, cioè mi rende sterile.

    Se la mia anima è vergine, non corro questi rischi.

    Una volta lessi di un prete il quale ti pregava affinché ogni messa che celebrava fosse sempre come la sua prima messa. Anch'io ti prego: Signore, aiutami a sorridere a Paolo come il giorno in cui decidemmo di vivere insieme; a pensare ai figli come quando li tenni in braccio appena partoriti; fa' che apprezzi ogni momento l'armonia del mio corpo; che sia contenta di me anche dopo che ho commesso qualche cavolata.

    C'era un prigioniero la cui vita cambiò quando lo misero in una cella dalla cui finestrella riusciva a vedere una stella. C'era un paralitico che fu felice quando un complicato intervento chirurgico gli ridiede l'uso di due o tre dita di una mano. lo non so gioire per ciascuna stella solo perché ogni sera sono libera di contemplare l'intero firmamento? Non so apprezzare ogni fibra del mio corpo perché godo di ottima salute?. La mia stupidità è grande come le mia fortuna.

    Signore, aiutami a vivere ogni istante come una splendida sorpresa. Anche durante i lunghi periodi in cui mi sembra chele scelte della mia vita siano tutte sbagliate. Anche quando mia nnunciano che mio figlio è morto (come è successo a miamadre). Anche quando mi diagnosticano un tumore (come è successo ad un paio di mie amiche). Anche quando... Ognuno di noi potrebbe stendere una lunga lista. Sembra un proposito pazzesco, contro natura, proponibile solo alle persone cui va tutto bene (cioè a nessuno).Ma conservare la capacità di gioire in qualunque situazione significa sapersi fidare completamente della tua provvidenza. Da qui la sorprendente equazione verginità = fede.

    Signore, se ci riuscirò, so che difficoltà, dolori e carenze saranno affrontabili e superabili con una nuova forza, una nuova serenità, un nuovo equilibrio.


La semina




   
Un seme è un miracolo, un mistero. Spero che la scienza umana continui a non capire come possa succedere che un cosino piccolino ed insignificante abbia una forza tale da crescere e trasformarsi come tutti sappiamo. Il mistero del seme è ancora più grande perché nessuno può sapere a priori se e quando esso germoglierà.

    Un anno seminai, tra le altre cose, dei fagioli bianchi. Contrariamente a quanto mi aspettavo, dopo due settimane non era ancora nato niente; tre settimane, niente; lasciai passare ancora qualche giorno poi, alquanto seccata che formiche e grilli talpa avessero banchettato con i miei semi, e brontolando per il lavoro extra,presi la zappa e cominciai a rifare il solco per riseminare. Non avevo tracciato ancora neppure mezzo metro quando mi interruppi di botto: inmezzo alla terra smossa apparivano i semi che avevo deposto, tutti con i cotiledoni leggermente aperti dai quali spuntavano la pianticina verde e la radichetta gialla; ciò che mi fece stare peggio fu che la maggior parte di quei semi erano stati spaccati crudelmente dalla mia zappa. Li avevo uccisi, non avrebbero mai più potuto dare niente. Non avevo saputo aspettare. Non avevo avuto abbastanza pazienza né fiducia. Ricordo ancora come ci rimasi male, e spero di ricordarlo sempre, perché, per una singolare associazione di idee, il mio pensiero andò ai miei figli.

    Solo tu, Signore, sai quanto i genitori seminino con i figli, o almeno quanto tentino di seminare; sai con quale e quanta ansia (quando non angoscia) aspettino che qualcosa germogli; sai quanto imprevedibilmente lunghi e travagliati siano i tempi dell'attesa. Sai anche, purtroppo, quanto siano incoscienti ( sempre con le migliori intenzioni, ben inteso) a dare zappate (affettuose, ma sempre zappate) in testa ai figli quando i risultati dei loro sforzi educativi tardano a manifestarsi. Basta al repertorio di quelle che io chiamo "le frasi storiche": Mi hai deluso, Sei sempre lo stesso, Con te se non si urla non si ottiene niente, Alla tua età io non ero così immaturo...

    Seminare è difficile, ma aspettare piantine nuove, frutti e fiori lo è infinitamente di più, almeno per me.

Signore, fa' che io impari ad aspettare, a non combinare troppi guai perché non ho pazienza.


Le erbacce



    Quando, più o meno venticinque anni fa, cominciai a coltivare l'orto, le erbacce erano una tribolazione, una sfida dalla quale uscivo perennemente sconfitta. L'unica magra consolazione era costituito dall'universalità del problema: con chiunque parlassi di orto la comune lamentazione era: "Non si finisce mai di strappare erbacce!". Io avevo costituito per loro una sorta di ghetto: in un angolo avevo adibito quattro o cinque metri quadri a deposito erbacce; man mano che le strappavo le portavo faticosamente là; alla fine dell'estate c'era un mucchio alto quasi come me, che poi con grande fatica, in primavera, spargevo nuovamente prima diarare. Insomma, un disastro, senza neppure la soddisfazione di vedere mai i miei vialetti e le mie aiuole ben puliti; senza contare la frustrazione di quando, insieme con le erbacce, mi rimaneva in mano qualche pianta buona. Ricordo la mia costernazione un giorno mentre guardavo tristemente il piede di una pianta di fagiolini rampicanti, completo di una splendida radice, che tenevo in mano insieme con un mazzo di erbacce. La pianta era stracarica di frutti che sarebbero stati da raccogliere nel giro di pochi giorni.

     ..."Non strappate la zizzania per non rischiare di strappare insieme il buon grano..." Al di là di un discorso di fede, la tua voce, Signore arrivava a me con semplice e sano buon senso, con nozioni pratiche note ai contadini dalla notte dei tempi. Mi colpi il fatto che, in mezzo alle erbacce, quei fagiolini erano cresciuti benissimo, avevano fruttificato, per poi finire di morte violenta a causa della mia stupidità. Osservando bene mi resiconto di molte cose, ad esempio che le erbacce tengono fresco il terreno sotto la canicola estiva; oppure che i loro fiori sono bellissimi; e ancora, chiacchierando con alcuni vecchietti, che alcune di loro sono commestibili. Mi venne pure un lampo di genio: le erbacce che proprio bisogna togliere possono essere lasciate sul posto assolvendo ad una triplice funzione: tengono fresca la terra, concimano ed impediscono o almeno rallentano la crescita di nuova erba. Senza contare la fine per sempre dell'ingrato lavoro di trasporto.
 
Fortunatamente il mio cervello si era messo in moto e continuò a macinare. Si soffermò sul fatto che né al grano del tuo campo, Signore, né alle mie piantine era stato impedito di dare frutto dalla presenza delle famigerate erbacce; semplicemente ci sarebbe stato un po' più di lavoro al momento del raccolto. Cominciai a pensare a tutto ciò che nella mia vita io consideravo erbaccia: certe persone, certi avvenimenti, i miei difetti. Con il passare del tempo capii quanto fosse inutile tentare di sradicare e portare via tutte queste cose: che mi piaccia o no esse fanno parte della mia realtà, e se le caccio dalla porta rientrano dalla finestra; tanto vale affrontarle, conviverci, e soprattutto capire a cosa servono.Quando riesco a partire da questo punto di vista. tu sai, Signore, che sto molto meglio, perché a qualcosa servono sempre.

    Continuai ad avere seri problemi ad accettare me stessa, ma tu mi facesti incontrare una persona (reduce da terribili vicende familiari, esaurimento, psicoterapia) che mi diede una spiegazione chiara semplice soddisfacente: i nostri difetti servono a ricordarci che abbiamo sempre bisogno di te. La conclusione più stupefacente è che le erbacce non esistono; esistono solo la mia chiusura mentale e la mia mancanza di fede nella tua provvidenza.

    Signore, aiutami ad usare le mie forze non per eliminare ma per capire e costruire.


Le radici


    Tante piantine nell'orto si trapiantano per avere risultati migliori, ma i giorni immediatamente successivi al trapianto sono critici. Soprattutto il sole, fonte di vita per qualsiasi creatura, pare un nemico che congiura per farle avvizzire, mentre la notte le fa risollevare.

    Un giorno lessi su un giornale il racconto di un missionario nelle favelas che spiegava ai suoi ragazzi che Dio è buono come un padre; un ragazzo gli si avventò quasi contro perché lui da suo padre aveva ricevuto solo botte. Mi vennero inmente le piantine: il sole le danneggiava perché non avevano radici sufficienti, o perché le loro radici non si erano ancora attaccate alla terra.

    Signore, neppure il tuo amore può nulla perchi non ha radici; allora capisco quella frase che ho sentito tante volte e che mi ha sempre lasciata molto perplessa: Dio ha bisogno di noi; e mi viene in mente una preghiera che mi aveva colpita e che purtroppo non sono più riuscita a ritrovare, che iniziava press'apoco così: Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani...Signore, tu doni la vita, ma è compito nostro fondare le radici affinché questa vita fiorisca; così ci troviamo a partecipare (concretamente, non metaforicamente) della tua creazione quotidiana; quella umile, senza colpi di scena o big ben o miracoli. Pare un programma troppo ambizioso per noi tapini, pieni di acciacchi fisici e soprattutto spirituali, ma non è vero, perché tu ci hai fatti a tua immagine, quindi secondo te dovremmo essere capaci.
Quante volte ho innaffiato rincalzato e costruito piccoli ripari per piantini trapiantati!

Signore, aiutami a considerare il mio prossimo almeno come se fosse un cavolo, o un pomodoro, o una melanzana.


Raccogliere




Mi capita una cosa curiosa quando c'è un raccolto abbondante o composto di frutti piccoli come lamponi e fagiolini: non ho più voglia di prendere; dopo aver faticato tanto a seminare, zappare, bagnare, ecc, lascerei lì tutto o buona parte; e non capita solo a me: se offri a qualcuno di regalare dei prodotti a patto che venga a raccoglierseli, la maggior parte delle volte non vedi più nessuno. E se mi guardo intorno, mi accorgo che le persone cosiddette sfortunate, nella quasi totalità dei casi, semplicemente non hanno raccolto ciò che la vita offriva loro, cioè ciò che tu offrivi loro: affetti, amicizie, opportunità di studio o di lavoro, vacanze... insomma, i più vari tipi di esperienze. Per capirne di più sull'argomento ritorno nell'orto.

    Raccogliere non è solo un lavoro manuale,richiede tante attenzioni, e tutte hanno dei grossi riscontri nella nostra vita concreta.

    Salvo rare eccezioni non bisogna raccogliere prima del tempo; i frutti acerbi sono aspri o duri o senza gusto... Molto difficilmente maturano bene una volta staccati prematuramente.

    Non si può neppure raccogliere in ritardo; le cose dimenticate o marciscono o induriscono o sono prese da qualcun altro... Quasi sempre sono perse.

    Mentre si raccoglie bisogna stare attenti a non danneggiare la pianta madre. Negli alberi da frutta occorre non spezzare i rametti che porteranno frutto l'anno successivo, negli zucchini bisogna avere un occhio per i frutti piccoli, nei fagiolini può capitare che resti in mano tutta la pianta.. Raccogliere non significa depredare.

    Quando un raccolto è troppo abbondante, non devo cedere alla tentazione di lasciar perdere (sarà tutto sprecato) oppure di intasare il freezer (mi stuferò della monotonia dell'abbondanza); chiamerò qualcuno a raccogliere con me o condividerò con altri. E' vero che ad esempio gli zucchini nel mese di luglio sono una calamità per i possessori di orto e per parenti affini e conoscenti, però queste ceste che vanno e vengono rinsaldano i legami, sono fonte di allegria e l'occasione per scambiare quattro chiacchiere e un sorriso.

    Signore, grazie per tutti i tuoi doni; fa' che non ne lasci perdere neppure uno, neppure il più piccolo o il più insignificante o il più faticoso da cogliere.


L'orto non è privato.


C'è un solo sole che fa germogliare tutti gli orti. Le api e i bombi impollinano tutti i fori senza badare a siepi e recinzioni: volano più in alto. Gli ortolani che amano il loro orto ne parlano con gli altri, si scambiano informazioni, attrezzi, semi, piantini e frutti. Ci sei solo tu, Signore, da sempre e dappertutto, che guidi le anime aperte verso di te, che spargi il tuo spirito. E anche qui hai bisogno della mia e nostra collaborazione per ottenere il meglio. Sì, perché la vita è come il campo di un contadino che ogni anno vinceva il premio per il miglior frumento prodotto. Dopo diversi anni i membri della giuria, stupiti da questo fatto, gli chiesero come mai facesse, anno dopo anno, a raggiungere risultati che non temevano concorrenza. Il contadino rispose: "E' semplice: ogni anno regalo i semi migliori ai proprietari dei campi confinanti; così non rischio che, con l'impollinazione, la qualità del mio grano decada".


    Signore, la mia vita non è solo mia, in ciò sta tutta la sua bellezza. Grazie per ciò, Signore.


L'immortalità della zucca


 
    Alla fine di settembre raccolgo le zucche, le lascio ad asciugare per qualche giorno in un posto riparato, poi le metto in casa, sopra gli armadietti pensili della cucina. Quando apro la zucca più bella, metto i semi in una scatola: li tengo per la semina della primavera; e cosi via, ogni anno, per intere generazioni di zucche; così la zucca fondatrice dalla dinastia non muore mai.

    Morire è una realtà che da sempre angoscia, preoccupa, fa riflettere. A me personalmente fa male, più che l'idea di morire, la prospettiva di aver vissuto per niente, di essere passata senza aver lasciato tracce. Con questo pensiero non sono neppure consolata dalla tua promessa, Signore, di una vita futura, vita per me molto nebulosa, al di là delle mie umane possibilità di comprensione. Tuttavia la mia zucca trisavola mi insegna una cosa grande: anch'io posso sforzarmi di essere la miglior zucca possibile affinché i miei semi si meritino di essere ripiantati e diano origine a generazioni di zucche gialle ciccione e gustose, che facciano la gioia di chi le raccoglie, le vede, le cucina e le mangia.

    Signore, anche se la mia polpa è fragile, aiutami a produrre dei semi sani e forti.

    Infine, Signore, un grazie grande, grande, grandissimo, per gli amici del gruppo che mi hanno incoraggiata a mettere giù "La morale dell'orto" (così avevo intitolatola mia chiacchierata): Ho passato delle ore meravigliose a scrivere, a riflettere, a rendermi conto di quale fortuna mi sia capitata ad incontrare delle persone simili.
Ancora grazie.


(a) Don Sergio Messina, ex cappellano dell'Ospedale infantile diTorino, che dedica la sua vita all'assistenza dei malati terminali; bambini e non.

 

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Letto 3251 volte Ultima modifica il Domenica, 06 Marzo 2011 16:53

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