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Martedì, 01 Novembre 2016 10:14

Un problema di traduzione (Lucien Legrand)

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Le mille sfide dell’inculturazione in India: dall’aspetto linguistico al dialogo con le numerose varianti religiose e culturali.

Per trovare i suoi riferimenti, l'Occidente, tutto rivolto all'Ovest, all'America, deve dirigere il suo sguardo verso l'Oriente, verso l'Asia, il continente immenso di cui l'Europa è, tutto sommato, un'appendice decentrata. Che l'Asia sia l'avvenire del mondo è un'evidenza che si impone dal punto di vista antropologico, economico e politico. Forse non ci si rende sufficientemente conto in Europa che questo vale, in certa misura, anche sul piano del pensiero cristiano, della spiritualità e della teologia.
Il vigore dell'intelligenza della fede in questo continente vicino si manifesta, fra le altre cose, nei documenti della Federazione delle Conferenze Episcopali d'Asia (Fabc) - a testimonianza di una riflessione solida ed organizzata - che sono probabilmente tra i più diversificati e ricchi testi prodotti dalle Conferenze episcopali. Mancando di tempo e anche di competenza, non posso e-saurire questo campo immenso di un'Asia gigantesca e complessa. Le situazioni umane e religiose differiscono enormemente dalla Siria al Giappone, dall'India alla Corea o alle Filippine. D'altronde, la mia esperienza si limita soprattutto all'India e, in misura ben minore, ai Paesi dell'Asia ad est dell'India.
Vorrei limitare il panorama all'India e alla teologia indiana che mi sembra sia un caso significativo, un paradigma di quello che l'Asia può apportare ad una riflessione teologica veramente cattolica, veramente universale. L'India non è in buona misura, con il buddismo, madre delle lettere, delle arti, della cultura e soprattutto della religiosità di tanti Paesi asiatici? Impregnata pure di islam, costituisce anche un ponte fra l'islam asiatico e l'Asia buddista.

L'India come figura rappresentativa

Dal punto di vista cristiano, essa offre anche l'immagine di una comunità la cui massa critica è a contatto con una cultura e una religiosità molto vive e con problemi socio-economici scottanti.
Massa critica: si stima in 25 milioni circa la popolazione cristiana dell'India. E poco: appena il 2,5% della popolazione totale, un miliardo di esseri umani. Ma, da un altro punto di vista, è molto. E un numero che supera la popolazione cristiana del Belgio e dei Paesi Bassi messi insieme o dei Paesi scandinavi, un numero che non è poi troppo inferiore alla popolazione definita "cristiana" della Francia, dell'Italia, della Spagna o della Germania. Rappresenta soprattutto un potenziale di esperienza e di riflessione cristiane almeno uguale a quello dei Paesi occidentali. Questa "massa" cristiana gode di una libertà di pensiero e di espressione che le ha permesso di ricercare la sua autenticità e la sua missione, sopratutto a partire dall'indipendenza ma anche prima..
Questa ricerca di identità avviene nel contesto di un insieme religioso e culturale fra i più vivi, in piena riaffermazione della propria identità. Non vedo che due grandi momenti simili nella storia del cristianesimo. Uno si situa alle origini, quando il Vangelo incontrò il mondo greco-romano, momento che iniziò con il discorso di Atene degli Atti degli Apostoli, capitolo 17, del Nuovo Testamento e durò fino all'era patristica. Si trattava, all'epoca, di un sistema religioso in decomposizione. L'altro momento fu quello dello scontro con l'islam, nel quale il dialogo spirituale e religioso, molto reale, fu troppo spesso soverchiato dal fragore delle guerre. Sia quel che sia, la teologia asiatica in generale e la teologia indiana in particolare si trovano attualmente in una posizione d'avanguardia ai contini del pensiero cristiano, in posizione eminentemente "missionaria".

Le tappe

Si possono distinguere tre tappe nello sviluppo di una riflessione teologica indiana.

a) L'era dei pionieri, che si potrebbe far risalire all'epoca dei grandi gesuiti, quali De Nobili e Beschi nel XVII secolo, e dei primi traduttori protestanti della Bibbia in India, come Ziegenbalg per il Tamil e Carey per il nord dell'India. In modo più sistematico, questa riflessione è stata ripresa dalla fine del XIX secolo dai grandi convertiti, quale Brahmobandhav Upadhvava (1861-1907), come anche dai gesuiti di Calcutta e dagli "eremiti del Saccinanda": Monchanin e Le Saux (Parama Arubi Ananda e Abhishiktanda). La loro influenza - e le loro sofferenze perché erano dei grandi incompresi - è immensa, benché sia stata a lungo sotterranea.
Bisognerebbe senza dubbio intervenire con precisazioni e distinzioni per caratterizzare con più esattezza questo lungo periodo che si estende per più secoli. Si possono tuttavia rintracciare due tratti comuni. Innanzitutto, questa ricerca è l'opera di "marginali" in rapporto al loro ambiente cristiano. Come Giovanni Battista, sembrano predicare nel deserto. E poi, il loro tentativo si indirizza soprattutto al dialogo con la tradizione indù classica, quella dell'India sanscrita, dei Veda e degli Upanishad.

b) Il periodo della ricerca generalizzata e della volgarizzazione. E al Concilio Vaticano II e anche forse all'influenza di Raimond Panikkar e del suo Il Cristo sconosciuto dell'induismo (1964) che bisogna attribuire l'ingresso del pensiero dei pionieri a livello pubblico. Il dialogo con la cultura indiana e indù diviene un dato accettato tanto nell'insegnamento dei seminari che nei vari congressi e colloqui che cominciano a svilupparsi. Per citare solo gli scomparsi, menzioniamo il ruolo del p. D. S. Amalorpavadass e del Centro Nazionale biblico, catechetico e liturgico che egli ha fondato a Bangalore, del p. Zeitler, del Centro Nazionale di Vocazione di Fune, ecc. Il ruolo dei pionieri viene riconosciuto e la loro ricerca ampliata. Ma, nell'insieme, le prospettive restano circoscritte all'incontro con l'"India classica".

c) L'epoca della differenziazione. Questa vasta comunicazione della ricerca sfocia in un ampliamento e in una differenziazione delle prospettive. Da una parte, si prendono le distanze dalle prospettive della cultura dominane 'braminizzante' e ci si pone in sintonia profetica con la teologia della liberazione nella sua variante indiana della teologia dalit. Anche qui, per non citare che gli scomparsi, menziono solo il nome del biblista George Soares Prabhu. Dall'altra parte, si prendono le distanze dall'India classica, tenendo conto di sottoculture del mondo dravidico del sud dell'India e del mondo tribale del centro e del nord-est.
All'inizio, si trattava di "indianizzazione" della teologia: si cercava un'espressione indiana per concetti della teologia occidentale. Più avanti si tratterà di una teologia indiana, di una teologia portatrice di un’esperienza indiana della fede cristiana.
A questo movimento proveniente dalla fede cristiana e diretto all'incontro con l'India, bisogna aggiungere il movimento inverso del pensiero indiano e indù che si indirizza all'incontro con Cristo. Perché Gesù esercita una forte attrazione sull'India. L'esercitava sui riformatori dell'induismo che furono Rammohan Rov (1774-1833), Keshub Chunder Sen (1838-1884), Pradapachandra Mozoomdar (1840-1905), Vivekananda (1863-1902) e, certamente, il Mahatma Gandhi (1869-1948). "il padre della Nazione". Questo per il passato. Recentemente, il poeta tamil Kannadasan ha pubblicato Yesu Kaviam, il "poema di Gesù", una specie di Diatessaron in poesia tamil. In questo contesto, non posso che ricordare con emozione i miei incontri a Bangalore con il dottor Sivaram, un medico che aveva consacrato tutti i momenti liberi dal suo impegnativo lavoro alla lettura e alla meditazione sui Vangeli. Aveva pubblicato il frutto delle sue meditazioni in un libro dove spiegava l'opera di Gesti con l'utilizzo di una forza psicosomatica presente ma assopita in ogni essere umano e di cui Gesù avrebbe rappresentato la realizzazione integrale.
Non è sicuramente la fede di Nicea-Costantinopoli, ma testimonia di una venerazione e di un rispetto poco praticati anche dai cristiani. Siccome la nostra Facoltà di teologia di Bangalore aveva organizzato un colloquio sulle diverse letture indiane della Bibbia, l'avevamo invitato a presentare il suo punto di vista indù. Ci inviò il suo testo. Si intitolava Jesus: death and solace (Gesù: morte e consolazione). Non poté venire a leggerlo. Morì qualche giorno prima del colloquio. Il suo testo venne pubblicato negli Atti del colloquio. È emozionante. Era della sua morte che parlava nel testo che ci aveva inviato. La viveva come un prolungamento della sua contemplazione-meditazione sui Vangeli, in unione con Gesù.

Bagaglio teologico

L'India ha attualmente un bagaglio teologico importante:

a) Insegnamento:
-    numerosi seminari;
-    Facoltà teologiche affidate sia a religiosi: Delhi e Pune (gesuiti), Bangalore (Cmi, carmelitani indiani di rito siriaco); sia al clero diocesano (Bangalore, Ranchi, Alwaye e Kottayam);
-    facoltà teologiche protestanti a cominciare dall'università di Serampore;
-    cattedre e dipartimenti di studi cristiani agganciate alle università di Madras, Mysore, Madurai, Mangalore, Pendjab e presto Pondichéry;
-    centri nazionali già menzionati;
-    centri regionali come il POC di Nakulam (Kerala), di Tindivanam (Tamil Nadu), d'Anirthavani (Andhra) de Patna e di Varanasi.

b) Associazioni: alcune sono ecumeniche come la Society of Biblical Studies, la Church History Association, l’Indian Philosophical Society. Altre più specificamente cattoliche come l’Indian Theological Association, le Associazioni di teologia morale, di diritto canonico, dì missiologia.

c) Pubblicazioni:
- periodici: Indian Theological Studies, Vidyajyothi, Jeevadhara, Third Millenium, Indian Journal of Missiology, Bible Bhashyam e altre riviste di diverse facoltà e periodici teologici in lingue locali, soprattutto in malayalam e in tamil;
- libri: un gran numero di diverso valore e in un sistema anarchico di case editrici (Theological Publications of India, Asian Trading Corporation, Gujarati Sahitya Prakash, St Paul's Publications, Indian Society for Propagating Christian Knowledge, vari fascicoli e libri pubblicati direttamente dagli autori).
In breve si tratta di un bagaglio ricco, espressione di una riflessione affascinante, ma priva di coordinamento.

Problematiche e luoghi teologici

Questa riflessione verte su più aspetti che possono essere considerati come i "luoghi" teologici del pensiero cristiano in India. L'inculturazione è la questione dominante, ma bisogna prendere la "cultura" nella sua integrità, tenendo conto dell'interazione fra cultura dominiate, sotto-culture e contro-culture. In realtà, uno studio tanto biblico quanto sociologico rivela la tensione fra radicamento dell'incarnazione e contestazione profetica. Da una parte, si correrebbe un rischio di assimilazione, dall'altro quello di estraneità.

a.) La liberazione: nel contesto della lotta contro la povertà, dei problemi posti dalla globalizzazione, delle disuguaglianze post-coloniali, in solidarietà con il Terzo mondo, la teologia indiana condivide le tendenze della teologia della liberazione, e tuttavia nel contesto di un sistema di oppressione che non è solo economico ma anche socioculturale, dove le disuguaglianze non sono solo questione di classe ma di casta. Da qui l'emergere di teologie che mettono l'accento sulla contestazione profetica delle contro-culture producendo le teologie "subalterne" e la teologia dalit, dei fuori-casta, senza dimenticare la partecipazione ai dibattiti femministi ed ecologisti.

b.) L'inculturazione: a differenza forse dell'America del Sud e delle Filippine, la cultura indiana ha essenzialmente resistito alla colonizzazione. E dunque nel quadro di uno degli insiemi culturali più ricchi al mondo che si muove la via cristiana in India e, di conseguenza, il pensiero teologico. Ho accennato prima agli sforzi dei pionieri per trovare un'espressione della fede cristiana in armonia con questo fiorente patrimonio culturale. Ho anche fatto presente la diversificazione dell'inculturazione a contatto con sotto-culture. Si tratta qui di uno sviluppo importante. Queste sotto-culture del continente indiano non rappresentano epifenomeni secondari d'interesse puramente antropologico. Il blocco dravidico del sud dell'India rappresenta un insieme di circa 250 milioni di abitanti e ha prodotto una effervescenza artistica che il turismo internazionale sta per scoprire: Madurai, Mahabalipuram, Halebid, Belur, Somnathpur, Hampi, Badami, Aihole Pathadakkal. Questi luoghi cominciano a trovare il loro posto nei depliant delle agenzie turistiche specializzate tanto quanto il Taj Mahal, Jaipur, Ellora e Ajunta... senza parlare degli stagni del Kerala! Nel contesto dell'induismo, il Saiva Siddharta, il Veera Saiva e, in generale, le tendenze della Bhakti sono gli apici del pensiero e della letteratura indiana. Non si dimentichi che un certo numero di grandi pensatori dell'India, quali Shankara e Ramanuja, vengono da questo sud dravidico. Quanto alla "cintura tribale", essa non è formata da popolazioni arretrate, ma da gruppi che, senza identificarsi con la cultura dominante del continente indiano, sono tuttavia fra gli Stati più istruiti e più coltivati dell'Unione indiana.

c.) Le questioni riguardanti l'inculturazione non si fermano al semplice livello intellettuale. Interessano ovviamente la liturgia. I problemi sono vasti e di grande portata. Non c'è difficoltà a sostituire la genuflessione con un inchino profondo, o perfino con la prostrazione, e il bacio della pace con il saluto indiano delle mani giunte. Ma non bisognerebbe sostituire il pane di frumento con delle gallette di riso e il vino con il thody (bevande di frutta, ndt) o il latte di cocco? Bisogna inculturare il calendario? Un aspetto del simbolismo pasquale è la sua corrispondenza in Europa con il rinnovamento primaverile della natura. In India è il momento in cui la natura è schiacciata e come annientata dalle più alte temperature estive. In quale misura si possono introdurre letture di grandi mistici indù nella liturgia o almeno ad introduzione di questa liturgia? Questa ricerca millenaria di Dio non è l'Antico Testamento del popolo indiano? Non possiede una certa forma di ispirazione?
Un insieme di questioni che aveva affrontato un colloquio sulle scritture non bibliche (Seminar on non-biblical Scriptum) organizzato dal Centro Biblico catechetico liturgico nazionale una ventina d'anni fa e i cui atti sono racchiusi in un volume di 500 pagine.
Le questioni liturgiche sfociano sui problemi fondamentali della Rivelazione e dell'Ispirazione. La Bibbia non è fatta che da profezie che vengono dall'alto; essa dà ampio spazio a scritti di Saggezza, essi stessi largamente ispirati dalla saggezza delle nazioni circostanti, Cana, Egitto, Mesopotamia, perfino l'Iran. Perché non aggiungervi le altre saggezze asiatiche?

d.) L'inculturazione si riflette anche sulla spiritualità, sulle forme di preghiera e di consacrazione a Dio. C'è tutta la questione degli ashram alla quale è stata dedicata una tesi di dottorato all'università di Lovanio. C'è la questione dell'adozione di forme orientali di preghiera, yoga e altri. Roma ha recentemente messo in guardia contro i libri di iniziazione spirituale del gesuita Tony de Mello e li ha condannati. Sì può pure tenerne conto, ma non si può impedire che l'India preghi "all'indiana". C'è infine la questione dell'esperienza dell’advaita, della non-dualità, dell'esperienza iniziatica dove il "me" illusorio della maya (rappresenta l'apparenza, ndt) si perde nel riconoscimento di identità con il brahman (rappresenta l'immutabilità, l'infinito, ndt). Abhishiktananda parlava della vertigine che sentiva come cristiano di fronte a queste profondità mistiche. Dove collocare l'esperienza dei sacramenti, compresa l'Eucarestia, rispetto a questa ricerca sconfinata di interiorità?

e.) Farò più avanti degli esempi di inculturazione degli studi biblici. Per restare al piano di lavoro nel quale mi sono molto impegnato, sottolineerò l'importanza della traduzione. La lingua è uno dei più fondamentali luoghi della cultura. La traduzione incontra questioni formali di inculturazione. Bisogna seguire le ultime tendenze linguistiche o fare traduzioni sub specie aeternitatis? Bisogna fare le traduzioni (bibliche, teologiche, liturgiche) nella lingua "volgare" dei giornali e della televisione o nella lingua più nobile delle alte produzioni poetiche e rituali? In Asia, la differenza tra questi livelli linguistici è più importante che in Occidente e la scelta del livello di traduzione implica un'opzione fondamentale sul destinatario, sull'ambiente in cui la traduzione sarà in uso e sulla natura stessa delle Scritture e del rito cristiano. La scelta dei termini è anch'essa cruciale. Come dire Dio nelle culture dove la dimensione trascendente dell'essere umano non si esprime in rapporto ad una o più divinità, per esempio nel contesto confuciano della Cina o scintoista del Giappone? Per esprimere i misteri cristiani si possono utilizzare termini fortemente impregnati di induismo da millenni, quali deva, ishvara, moksha, samskara. trimurthi...? Inoltre, può essere che nel culto l’inculturazione si giochi ad un livello più profondo delle opzioni linguistiche.

f.) In India e nell'Asia in generale, cultura e religione sono profondamente intricate. Inculturazione e dialogo sono perciò spesso intercambiabili. Ma è nel quadro del dialogo che il pensiero cristiano in India incontra i problemi più gravi. Ne va della natura dello stesso dialogo, il quale presuppone il rispetto dell’altro e l’apertura a quello che l'altro può comunicarci. Che sia per il dialogo interreligioso o semplicemente per la condivisione di un fondo comune di religiosità, il dialogo comporta e produce un arricchimento grazie all'ascolto dell'altro. Il contatto concreto con il mondo indù, sia nei suoi saggi, sia semplicemente nel senso religioso, nel coraggio e nella serenità della gente comune, mette in contatto diretto con marga, o vie, che apparentemente non passano per la Bibbia o il Cristo. Che ne è allora dell'“universale cristiano", del Cristo "unico salvatore"? Dall'ecclesiocentrismo si e passati al cristocentrismo, effettivo o virtuale, poi ad un teocentrismo che riserva - o non riserva - un ruolo normativo a Gesù Cristo. È qui uno dei problemi maggiori della teologia indiana contemporanea, come dimostrano il "caso Dupuis" e le messe in guardia della Dichiarazione Dominus Jesus del 6 agosto 2000.

g.) La questione del dialogo conduce a quella della missione. È possibile che il senso della missione in India sia segnato dalla situazione attuale. Da una parte, nell'insieme del Paese, ad eccezione di zone tribali e di qualche sacca isolata, l'evangelizzazione diretta finalizzata al reclutamento di adepti in buon numero incontra scarso successo. Checché ne dicano i fondamentalisti indù, la percentuale dei cristiani in rapporto alla popolazione totale del Paese sarebbe piuttosto in calo. D'altra parte, i metodi più o meno aggressivi dei "pentecostali" e di atri "evangelisti" riportano qualche successo ma non senza una certa ambiguità. Nel vocabolario dei media in India le parole "missionario" e "conversione" hanno assunto connotazioni spiacevoli. Alcuni ambienti hanno protestato per la dichiarazione di Giovanni Paolo II a Delhi secondo la quale all'alba del terzo millennio in Asia si prepara una mietitura abbondante. Anche il governo del Tamil Nadu, che ha guadagnato il potere presentando un programma laico anti-brahmanico, ha approvato una "legge-anticonversione". Sia quel che sia, si sente spesso l'affermazione che la missione ai giorni nostri non è più una questione di evangelizzazione diretta ma di dialogo o di testimonianza, che si tratta di comunicare i "valori" del Vangelo piuttosto che la persona di Gesù Cristo. Si cita il Vangelo: Gesù non si è autoproclamato, ha annunciato il Regno.
Bisogna allora predicare come Gesù o predicare Gesù Cristo? Proclamare il Regno e i suoi valori o la persona di nostro Signore?
La teologia indiana si ritrova dunque, ma sotto una diversa angolazione, le grandi questioni essenziali di ecclesiologia, di cristologia, di soteriologia, di missiologia. Io non voglio dare risposte. Voglio piuttosto esporre i luoghi di questo pensiero teologico sui quali si svolgono dibattiti nei diversi siti e centri teologici menzionati sopra. Bisogna aggiungere che non si tratta solo di "problemi" da risolvere intellettualmente. Si tratta di rispondere ad esperienze vissute. E una teologia che deriva dalla condivisione angosciante della disperazione dei poveri, delle vittime dell'ingiustizia non solo individuale ma strutturale, una teologia che emana anche dall'incontro stupefacente di una spiritualità intensa, di profondità mistiche vertiginose, di diverse forme dell'azione dello Spirito nel mondo, sia nel campo della bhakti (pietà contemplativa e amorosa), della piana (conoscenza trasformatrice), che in quello dell'azione caritativa e liberatrice.

Un bilancio?

Il p. Monchanin faceva voti per la venuta di un Tommaso d'Aquino indiano. Non è ancora comparso. Alcuni ritengono piuttosto che si è più vicini alla realizzazione di un altro dei suoi voti, quello dell'apparizione di eresie autenticamente indiane! Anche qui non si può citare un Gutierrez indiano. Tanto a livello di individuazione dei problemi quanto a livello di ricerca dei metodi, il compito è immenso. Si può però già parlare di un bilancio molto positivo:

- una fiorente e animata riflessione che fornisce un contributo sostanziale alle elaborazioni della Fabc;

- un insegnamento a livello di seminari e di facoltà relativamente ben inculturato;

- una nuova problematica originata dalle questioni poste dalla congiuntura asiatica;

- una metodologìa assai nuova, dato che parte da questa nuova problematica, che solleva nuove questioni e che si arricchisce dell'incontro con il pensiero e l'esperienza millenaria della tradizione indiana. Per non citare che qualche tema dei vari colloqui e seminari che sì sono tenuti in diversi ambienti, oltre al "Seminario sulle religioni non cristiane" menzionato sopra, ricorderei incontri sull'evangelizzazione, missione e conversione, l'unicità di Gesù Cristo, l'ecologia, la globalizzazione, il dialogo con i metodi indù di spiritualità, il ruolo dei cristiani nella costruzione del Paese, l'atteggiamento dei cristiani di fronte alla violenza montante contro le minoranze, le teologie subalterne, l'approccio indiano alla lettura della Bibbia, del Vangelo di Giovanni, ecc.;

- in particolare nel campo dell'esegesi biblica, che è il mio campo, quando si paragona l'esegesi biblica indiana a quella dell'Occidente, non si può che essere colpiti dalla loro differenza di precomprensione. Così, l'interesse per il Vangelo di Giovanni contrasta con il valore privilegiato riconosciuto spesso, nell'esegesi occidentale, agli Atti degli Apostoli e alla letteratura paolina, in particolare alla Lettera ai Romani, che serve spesso da "canone del canone" dopo la Riforma. A partire da Giovanni, citerei una tesi recente di una religiosa indiana, suor Namita, che sviluppa un'altra immagine della missione, più interiore e più mistica, che mette in questione una "missiologia" derivata unilateralmente dal modello paolino, esso stesso reinterpretato dagli Atti degli Apostoli, a loro volta compresi in funzione della prassi missionaria occidentale. Per quanto riguarda Paolo, d'altronde, il fatto di vivere in Asia solleva la questione della geografia del ministero dell'Apostolo delle Nazioni, perché da Antiochia si rivolse verso l'Occidente e non verso la Mesopotamia e la Persia o verso l'Egitto e la Nubia, tutti Paesi ben conosciuti tanto dal mondo biblico che dal mondo greco-romano; questione banale quando si vive in India, questione che solleva anche il problema di altri campi e di altri tipi di missione nelle Chiese apostoliche. Un'altra linea promettente è l'impiego in esegesi del metodo della dhvani (ascolto della risonanza del testo), metodo esegetico molto antico nell'interpretazione dei testi vedici e che riunisce alcune intuizioni strutturalistiche e retoriche dell'esegesi occidentale contemporanea.

E domani?

Non vorrei tuttavia lasciare un'impressione idilliaca, che sarebbe falsa. Ogni teologia è limitata. Si può sempre fare di meglio. Segnaliamo, per esempio, alcuni punti che richiederebbero l'attenzione dei teologi indiani:
- lacune soprattutto rispetto all'Antico Testamento e alla patristica;
- dialogo unilaterale con l'induismo e molto poco rivolto all'islam e ai 120 milioni di musulmani dell'India (si noti tuttavia l'esistenza di un centro di studi islamici a Hyderabad);
- assenza di legame fra ricerca biblica e ricerca teologica che camminano allegramente di pari passo, ma senza grande coordinazione;
- l'ecumenismo è a un punto fermo;
- si può parlar anche delle difficoltà di approvvigionamento bibliografico. Il p. Soares Prabhu diceva che è un peccato spendere per una sola pubblicazione tecnica l'equivalente di un mese di salario di un maestro di campagna. E anche se un generoso benefattore viene in soccorso, resta il problema di ordinare uno o tal altro libro non avendo una carta di credito internazionale.
La teologia indiana è dunque lontana dall'aver terminato il suo percorso. Cosa si aspetta dalle Chiese sorelle? Sarebbero auspicabili legami più concreti fra le teologie asiatiche. I lavori della Fabc hanno avviato questi legami. Ma resta molto da fare perché i teologi asiatici si conoscano e si riconoscano fra di loro; sono ancora troppo unilateralmente rivolti all'Occidente. Lo stesso si può dire dei rapporti Sud-Sud fra Asia e Africa, avviati dall'Associazione dei Teologi del Terzo Mondo (Asett). Da parte dei teologi occidentali si potrebbe sperare anche più attenzione e interesse. Le pubblicazioni che vengono dal Terzo mondo sono largamente ignorate. Lo stesso articolo ripreso in una rivista occidentale sarà citato, mentre se appare in una pubblicazione indiana resterà nel limbo per svariati anni.
C'è infine il problema dei rapporti con la Chiesa-madre. Sono note le tensioni fra Roma e i teologi indiani. Il problema esiste. Ogni problema presenta più aspetti e non bisogna essere unilaterali. Bisogna certamente riconoscere la missione della Chiesa di Roma, centro di unità, garante di fedeltà. Ma, dall'altra parte, il rischio di una reazione disciplinare è che essa crei un movimento di solidarietà tra quanti ne sono oggetto. Si serrano i ranghi piuttosto che creare un ambiente critico favorevole alla messa a punto. Convocati da Roma per mettere in riga i loro teologi, i vescovi indiani si sono assunti la responsabilità di procedere ad incontri regolari con i teologi. Questi incontri hanno aiutato a rasserenare la situazione e sono promettenti.
Ma bisogna anche riconoscere che la missione della teologia indiana e asiatica e alla frontiera dell'incontro con un mondo chiamato a pesare sempre di più nell'avventura umana. Le Chiese d'Asia hanno la nobile e pesante vocazione di portare la responsabilità di una visione cristiana veramente "cattolica" e la responsabilità di una capacità della fede nel Vangelo di incontrare altri mondi, altri problemi, altre ricchezze religiose e culturali, in una giovinezza sempre rinnovata dalla potenza dello Spirito.

Lucien Legrand

(tratto da Adista, XLII, n. 16, 23 febbraio 2008, pp. 7-12)

L'articolo è stato pubblicato dalla rivista Croire. Il titolo originale: Défis et promesses d'une théologie asiatique: le cas de l'Inde.

 

Letto 2293 volte Ultima modifica il Martedì, 01 Novembre 2016 10:41
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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