Un autorevole organismo dell'islam sunnita, l'Accademia delle ricerche islamiche di Al-Azhar, con sede al Cairo, in Egitto, ha annunciato il 20 gennaio scorso [2011] di aver sospeso a tempo indeterminato il dialogo con la Chiesa cattolica, perché offesa dai ripetuti appelli di Benedetto XVI contro le violenze anticristiane verificatesi recentemente in Egitto e in altri Paesi a maggioranza musulmana. La decisione fa eco al pronunciamento piuttosto aspro e quanto mai sconcertante del Gran Mufti egiziano, il quale, all'indomani dell'accorato appello del Papa a condanna della strage di cristiani copti ortodossi avvenuta all'inizio della notte del 1° gennaio 2011 ad Alessandria di Egitto, aveva appunto accusato il Papa di ingerirsi negli affari interni dell'Egitto.
Alcuni giorni dopo, il 10 gennaio, nel suo di scorso annuale al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il Papa aveva poi invocato una «risposta concertata dell'Unione europea affinché i cristiani siano difesi nel Medio Oriente» e, ricordando l'attentato contro la comunità copta di Alessandria d'Egitto, era tornato a sottolineare l'«urgente necessità per i Governi della Regione di adottare, malgrado le difficoltà e le minacce, misure efficaci per la protezione delle minoranze religiose». Come ulteriore reazione il Gran Mufti ha annunciato che non parteciperà all'incontro di preghiera per la pace, che il Papa ha convocato ad Assisi il prossimo ottobre 2011, e che si aspetta che il Papa chieda scusa ai musulmani per le crociate.
Non si può non notare un paradosso stridente: da un lato la strage di copti ad Alessandria, le continue uccisioni di cristiani in Iraq, i ripetuti messaggi delle reti terroristiche dell'islam radicale contro i cristiani del Medio Oriente; dall'altro la più importante autorità musulmana dell'Egitto - il Gran Mufti - e una prestigiosa istituzione accademica - l 'università di Al-Azhar - che di fronte al fermo, umile, accorato appello di Benedetto XVI, invece di esprimere la propria attiva solidarietà contro le gravi forme di aggressione ai cristiani, si riparano dietro atteggiamenti di orgoglio ferito.
Si tratta di reazioni gravi e sconcertanti per almeno due motivi. Il primo motivo è che ancora una volta le autorità islamiche - in questo caso egiziane - rifiutano di fatto di riconoscere la situazione di marginalità e, oggi, di reale pericolo, in cui versano i copti in Egitto, e soprattutto si rifiutano di riconoscere come all'interno dell'islam sta prendendo forza una strategia reale di aggressioni contro i cristiani orientali, considerati una sorta di ostaggio nella lotta contro l'Occidente. Si sta cioè passando, come altre volte è accaduto nella storia dell'Islam, da una situazione in cui i cristiani sono meramente "tollerati", a una situazione in cui vengono combattuti, negando loro il diritto di vivere in pace come cittadini nei loro Paesi di appartenenza. Il sottofondo culturale e religioso è l'istituzione della dhimma (patto di protezione), per cui il non musulmano - cristiano o ebreo - può continuare a vivere nel contesto politico a maggioranza musulmana, ma la sua situazione dipende, di fatto, dalla "protezione" che l'islam esercita nei suoi confronti, e quest'ultima è in definitiva determinata dalla sua sottomissione.
Se questa viene ritenuta insufficiente allora scatta la repressione violenta.
La storia del XX secolo, almeno fino agli anni '70, aveva fatto sperare nel superamento deciso di tale modo di organizzare il rapporto con le comunità non musulmane, privilegiando il concetto di cittadinanza egualitaria per tutti i cittadini, indipendentemente dall'appartenenza religiosa. Ma questa trasformazione - per quanto giuridicamente avvenuta sul piano formale - è stata negli ultimi decenni progressivamente corrosa da un clima sociale e politico influenzato dall'islam fondamentalista e radicale, che di fatto condiziona moltissimo la possibilità per i cristiani di vivere come cittadini a pieno titolo, specialmente in Egitto. Se è vero che i cristiani vivono in Medio Oriente situazioni differenti a seconda degli Stati, e che in Libano e in Siria è loro riconosciuto un ruolo pubblico di membri attivi della società civile e politica, si staglia a maggior ragione la problematicità della situazione egiziana.
Duole a questo proposito che anche l'ambasciatrice di Egitto presso la Santa Sede si sia rifugiata nell'ambiguità, ritenendo eccessivo parlare di "persecuzione" dei cristiani nel suo Paese. Certo non si è trattato finora di una persecuzione violenta, per quanto le uccisioni e le vessazioni dei copti siano state piuttosto frequenti negli ultimi anni. Ma è giunta l'ora di aprire gli occhi su una situazione corrosiva di persecuzione quotidiana, fatta di marginalizzazione, di creazione di insicurezza, di mancanza di solidarietà vera, di impegno insufficiente da parte dello Stato per la giustizia e per il pieno esercizio della cittadinanza da parte dei cristiani.
In un clima così serio e teso, risuona paradossale il richiamo del Gran Mufti al Papa a chiedere perdono per le crociate del XII-XIII secolo: tale perdono è già stato chiesto da Giovanni Paolo II e di fronte al martirio di tanti cristiani oggi in Medio Oriente ci si aspetterebbe dalle autorità musulmane parole e azioni ferme in favore dei cristiani con un appello a tutti i musulmani di buona volontà a esprimere concretamente la loro solidarietà. Non è un caso che lo stesso papa Shenouda, patriarca della Chiesa copta ortodossa, abbia deciso di rinunciare a presiedere la messa nelle grandi solennità, come forma di protesta contro l'insufficiente volontà delle istituzioni nel tutelare i diritti dei copti.
Il secondo motivo di gravità è che questi atteggiamenti delle autorità musulmane non possono che alimentare giudizi negativi nei riguardi dell'islam e delegittimano il dialogo interreligioso promosso dalla Chiesa cattolica. Nel caso specifico dal 1998 il Comitato permanente di Al-Azhar per il dialogo tra le religioni monoteistiche fa parte insieme al Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso di un Comitato congiunto che si riuniva annualmente, alternativamente al Cairo e a Roma per discutere e confrontarsi su varie questioni. Che l'appello del Papa ai «governi dei Paesi arabi» e la sua condanna della strage di Alessandria come "gesto vile" abbiano avuto come reazione la sospensione del dialogo a tempo indeterminato, non può che dare ragione ai tanti scettici, che ritengono il dialogo con l'islam inutile e non efficace.
Non è certamente questa la prospettiva della Santa Sede, che ha ribadito la sua volontà di continuare a impegnarsi con dedizione e perseveranza nel dialogo con l'islam. Ma è anche chiaro all'opinione pubblica internazionale e agli stessi governi dell'Unione europea che oggi è in atto in contesto musulmano una escalation di violenza contro i cristiani che non può più essere passata sotto silenzio. Nessuna strage per motivi religiosi è solo affare interno di uno Stato, ma è anche "affare" - cioè questione che sta a cuore - di tutta la comunità religiosa oggetto di violenza e di tutti gli uomini che cercano la giustizia. Sono proprio i musulmani che insegnano quanto sia importante la solidarietà della comunità islamica (umma). E il miglior modo di mostrare che le persecuzioni dei cristiani sono "affare interno" degli Stati è che i governi si adoperino con gli strumenti politici e culturali necessari perché esse abbiano fine.
Andrea Pacini
(da Vita Pastorale n. 3, marzo 2011)