Ecumene

Domenica, 13 Novembre 2011 21:03

Mesopotamia, l’uomo a servizio degli dei (Dominique Charpin)

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Man mano che si costruiscono i grandi imperi, la società degli dei, come quella degli uomini, si gerarchizza, e il suo capo conquista maggiore potenza.

La religione dell’antica Mesopotamia, fondamentalmente politeista, ha conosciuto una lunghissima evoluzione, senza che mai alcun dogma sia stato definito, né alcuno scritto sia stato considerato sacro. Si tratta di una di quelle religioni tradizionali che si possono studiare con il metodo degli archeologi, distinguendo l’accumulo dei vari strati. Nonostante una fortissima continuità, si esita a parlare del “la” religione mesopotamica al singolare. Il III millennio è dominato dalle tradizioni dei Sumeri, ma i Semiti hanno svolto un ruolo talora cruciale, specialmente con la creazione dell’impero di Accad verso il 2340 a.C.. Nel II millennio si opera una differenziazione fra la Babilonia, al centro e al sud dell’Irak attuale, e l’Assiria al nord.  Con la caduta di Ninive nel 612 a.C. i grandi santuari babilonesi divengono gli eredi di tradizioni religiose molto antiche, che il clero cerca di custodire in un mondo che evolve radicalmente con la successiva dominazione di imperi stranieri: l’impero persiano con Ciro nel 539, poi l’impero greco con Alessandro nel 330, e infine l’impero parto nel 141. L’ultimo testo cuneiforme risale al 75 d.C.: è contemporaneo della distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte di Tito.

Un radicamento locale

Gli accessi alla religione mesopotamica sono molteplici. Dalla metà del sec. XIX gli scavi hanno portato alla luce grandi complessi cultuali in cui i santuari sono dominati da torri a ripiani, le ziggurat, rese famose dal libro biblico della Genesi. D’altronde, proprio dalla ricerca della Torre di Babele è cominciata nel sec. XVI l’esplorazione di quella parte dell’impero ottomano che è ora diventato l’Irak. Gli archeologi hanno scoperto numerose raffigurazione di divinità su bassorilievi, su pitture, sigilli cilindrici e tavolette d’argilla, D’altronde i testi che ci informano sul pantheon e il culto sono innumerevoli: nessun aspetto della civiltà mesopotamica sfugge alle divinità, il cui intervento è ricercato, ma anche temuto. Naturalmente i racconti mitologici o i rituali sono fonti preziose. Lo stesso si può dire degli inni di lode alle divinità e delle preghiere che si rivolgono loro e che ci consentono di cogliere il “sentimento religioso” dei fedeli. I documenti di archivio sono anch’essi ricchi di informazioni. Una semplice lettera può dirci molto su un determinato aspetto del culto che altrove non è ben documentato. Le liste contabili permettono di ricostruire il ritmo delle offerte e il loro contenuto.
Il radicamento degli dei sumeri nella preistoria sfugge in larga misura alla ricerca e ha fatto l’oggetto di speculazioni spesso audaci. Diciamo che all’inizio del III millennio, poco dopo l’apparizione della scrittura nel sud dell’Irak, ognuna delle principali città di Sumer è collocata sotto il patronato di una divinità: Inanna a Uruk, Nanna a Ur e Utu a Larsa. Oltre al loro radicamento locale, questi dei hanno un campo di competenza particolare, legato alla loro personalità. Si tratta prima di tutto di divinità astrali, come il sole (Utu), la luna (Nanna), Venere (Inanna). Altri dei personificano i fenomeni naturali: Ishkur è il dio della tempesta, Enki quello delle acque sotterranee. A poco a poco certe divinità ricevono attribuzioni più astratte: Nisaba, dea del grano diventa la patrona della scrittura e degli scribi. Utu, in quanto dio del sole, vede dal cielo tutto quello che avviene sulla terra: è dunque il garante della giustizia. I Sumeri, e poi gli Assiri e i Babilonesi, hanno una rappresentazione fondamentalmente antropocentrica dei loro dei. Essi sono sessuati, possono formare delle coppie e avere dei figli. Le liste di dei ce li mostrano assistiti da divinità “secondarie”, i cui attributi sono simili a quelli dei membri della corte reale. Belet-seri è la segretaria della dea del mondo infernale, la terribile Ereshkigal, Bunene è il cocchiere del carro del dio solare. La coesistenza fra Sumeri e Accadici nel III millennio porta con sé una specie di sincretismo: si identificano divinità dai nomi differenti, ma con attribuzioni simili, come la sumarica Inanna con la semita Ishtar, Utu con Shamash, Nanna con Sin, Ishkur con Adad.
Il mondo sumerico si caratterizza fin dall’inizio del III millennio per una unità culturale che colpisce, tanto più che esso è politicamente diviso. Il pantheon riflette questa storia: si opera una gerarchizzazione degli dei e la città di Nippur è considerata come la sede del capo degli dei, Enlil. Ma questa dominazione viene contestata durante il II millennio, con la crescita della potenza di babilonia e del suo dio: allora Marduk viene collocato alla vetta del pantheon. Lo attesta un inno particolarmente sviluppato, designato spesso (a torto) come il poema babilonese della Creazione. Nel I millennio il capo del pantheon vede accrescersi la sua potenza. Questo dio è talora considerato come la ricapitolazione di tutti gli altri: è il caso di Marduk a Babilonia e di Assur in Assiria. Una tale evoluzione non può evidentemente essere dissociata dalla vita politica, segnata dalla costituzione di grandi imperi che mirano alla dominazione dell’universo intero. La crescita del potere del re ha la sua controparte nel mondo celeste. Ma si nota anche l’apparizione di tendenze enoteiste. Una iscrizione assira del sec. VIII indica: "Fidati di Nabù, non dare fiducia a nessun altro dio”. Si tratta di un caso classico nell’evoluzione dei pantheon antichi: la devozione a un dio “giovane”, nel caso Nabù, eclissa a poco a poco quella prestata finora a suo padre Marduk, che viene percepito come troppo lontano.
    
Statue “abitate”

Gli archeologi non hanno finora ritrovato statue di culto, ma i testi ci consentono di raffigurarcele. Esse sembrano composite: un’anima in legno è completata da elementi riportati di pietre semi-preziose e metalli preziosi. La fabbricazione di queste statue pone dei problemi religiosi considerevoli: per i Babilonesi queste statue non rappresentano le divinità, ma ne sono la presenza reale. La prima difficoltà è quella della forma che conviene dare alle statue. Molto spesso gli dei sono raffigurati a immagine degli uomini. Ma l’antropomorfismo non è regola assoluta. Gli dei possono anche essere rappresentati in forma di animali. Gula appare spesso come un cane e Adad come un toro. Infine si può anche ricorrere ai simboli, quello che gli antichi chiamano una “arma”: la folgore per Adad, una mezza luna per Nanna. Decidere come rappresentare un dio non è faccenda umana: il dio stesso deve dare la sua opinione. Così in occasione della fabbricazione di una statua di divinità, un indovino procede a una consultazione oracolare per sapere se essa deve avere una testa di leone o dei lineamenti umani. Egli determina anche il numero di corni che deve comportare la tiara della statua. Un altro problema consiste nel delimitare il  momento in cui la divinità prende in qualche modo possesso dei materiali preparati dagli artigiani. Questa operazione si fa in occasione di un rituale chiamato “apertura della bocca”, al  quale partecipano degli incantatori. Le statue sono oggetto di cure attente: le lavano, le ungono di oli aromatici, le vestono, le coprono di gioielli. Avviene anche che le statue siano portate fuori del loro tempio, perché gli dei possono farsi visita. Molti miti sumerici lo raccontano, ma vi sono anche esempi concreti di “passeggiate” di statue da una città all’altra. All’epoca di Hammurabi, quando due re concludono una alleanza a distanza, il giuramento prestato da ciascuno di essi deve essere pronunciato davanti alle divinità dei due sovrani. Sono dunque gli dei che viaggiano da una capitale all’altra, senza che i testi precisino in quale forma (statue o simboli). Infine le statue degli dei possono essere catturate dai vincitori: è una maniera di privare i vinti di ogni protezione soprannaturale. In situazioni estreme le statue degli dei possono persino essere distrutte.

La ridistribuzione delle offerte

Il mito di Atra-hasis ci rivela un concetto fondamentale dei Babilonesi riguardo al posto dell’uomo sulla terra. All’origine, gli dei inferiori (Igigu) lavorano per gli dei superiori (Anunnakku). Un giorno gli Igigu si ribellano alla loro sorte. Allora il dio Enki consiglia al capo degli dei Enlil un sistema per uscire dalla crisi: creare un essere vivente che sia al servizio di tutti gli dei. Tale è l’origine dell’umanità. Si tratta dunque di una visione assolutamente teocentrica dell’universo: l’uomo è quaggiù per lavorare a servizio delle potenze divine. Il lavoro non è, come per la Genesi, una maledizione causata da un peccato originale, ma è la condizione primitiva dell’uomo.
Il servizio delle divinità che l’uomo deve compiere ha un ambiente privilegiato, i templi. Concepiti come la dimora degli dei, essi sono serviti da un personale abbondante e svolgono un ruolo importante nella società. Gli dei vengono nutriti secondo il ritmo che presiede anche all’alimentazione degli uomini. Si servono loro due pasti al giorno, uno al mattino e uno alla sera, che costituiscono le “offerte regolari”. Il loro “menu” non differisce fondamentalmente da quello degli uomini, con un accento messo sui cibi più apprezzati: carne, pesce, crema, dolci, il tutto innaffiato della migliori qualità di birra. Tutto questo viene preparato nelle cucine dei templi, alcune delle quali sono state oggetto di scavi. Si ritiene che gli dei mangino con gli occhi. I “resti” vengono ridistribuiti al personale del tempio, secondo una gerarchia ben precisa. Nel libro biblico di Daniele si trova una visione polemica di questo sistema. I sacerdoti di Baal sono presentasti come imbroglioni. In realtà centinaia di documenti amministrativi attestano la pratica di ridistribuire le offerte. Il calendario religioso contiene molte feste regolari; alcune tornano ogni mese, come la festa della Luna Nuova, altre una volta l’anno, come l’Akitu (Anno Nuovo babilonese, all’inizio della primavera).Al di fuori delle offerte regolari destinate all’alimentazione degli dei, essi ricevono ogni sorta di regali. I re portano loro una parte del bottino di guerra e i mercanti la decima dei loro guadagni. I privati cittadini cercano di rendersi favorevole le divinità promettendo degli ex-voto. Alcune persone svolgono un compito di intercessione per i membri delle loro famiglie: è il caso delle religiose, le naditum, votate alla divinità della loro città, di cui sono considerate come le spose secondarie.

Templi “specializzati”

I templi, dimora degli dei, svolgono un compito molto importante nella vita economica, sociale e giuridica, in funzione della “specialità” della divinità che vi risiede. Un tempio della dea della medicina Gula è stato scoperto nella città di Isin. Nelle vicinanze è stato trovato un cimitero di cani. Se si considerano gli ex-voto in forma di cani dedicati a questa dea e l’iscrizione di un re di Isin che ricorda la costruzione di un canile, si comprende che questi animali leccavano le piaghe dei malati  che venivano così guariti. Si sa che la saliva dei cani contiene un enzima dal forte potere cicatrizzante. Si spiega così perché il cane è associato alle divinità guaritrici nell’Antichità, come Esculapio (e, più tardi, l’associazione di un cane a san Rocco, protettore contro la peste, dipende dalla stessa tradizione). Il tempio di Gula funziona dunque come una specie di ospedale: ci si preparano unguenti, poiché Gula è “la padrona delle piante della vita”. Non è un caso isolato: il tempio della dea Kittum, il “diritto” divinizzato, serve da “ufficio dei pesi e misure”; quello di Nisaba, dea della scrittura, da archivio; quello di Shamash, dio della giustizia, da tribunale. Un testo pubblicato di recente mostra persino che il responsabile del tempio di Nergal, dio degli inferi, è incaricato dei seppellimenti. In questo contesto deve essere intesa la “prostituzione sacra”: si tratta di un elemento del culto di Inanna/Ishtar, il pianete Venere, che veglia insieme sulle attività dell’amore e su quelle della guerra.

Dominique Charpin

(da Le monde des religions,  mars-avril 2008, n. 28, p. 26)

 

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Fausto Ferrari

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