Per quanto riguarda Madre Maria, questa canonizzazione è diventata l’ultimo «segno di contraddizione» (come afferma il vecchio Simeone nel vangelo di Luca): elemento che ha segnato la sua immagine prima ed anche dopo la sua morte avvenuta nel campo di concentramento di Ravensbrück. Tutto il suo cammino appare pieno di ricerca e di contraddizioni, ma il cardine è stato sempre la fame e la sete della giustizia evangelica, nel senso che Cristo ha messo in queste parole. Sembra che questa donna abbia vissuto molte vite, così diverse e così straordinarie. Nata nella città balneare di Anapa, sul mar Nero, nel sud della Russia, nel 1891, Elisabetta Jurievna Pilenko, come tanti suoi contemporanei venuti alla luce nel mondo russo alla fine del XIX secolo, senza sapere ciò che il secolo in arrivo le stava preparando, ha vissuto un’infanzia serena e felice. Dopo la morte del padre la famiglia si trasferisce a San Pietroburgo dove la giovane Pilenko comincia a studiare filosofia. Lei è già poetessa e poco dopo uscirà la sua prima raccolta di poesie: I cocci sciti, accolta con favore dalla critica. Elisabetta entra nel cerchio più raffinato dei poeti del famoso Secolo d’argento e fa la conoscenza con i nomi più illustri delle lettere russe; nel 1908 Alexandr Blok, la stella più brillante della poesia dell’epoca, dedica a lei due bellissime poesie. «Quando lei sta sul mio cammino, così viva, così bella…» – tanta gente, senza conoscere il nome di Mat’ Maria, ricorda questi versi a memoria. Nel 1910 sposa Vladimir Kus’min Karavaev, un militante socialista, ma questo matrimonio dura poco. Dopo qualche anno il suo primo marito diventerà gesuita e sacerdote di rito bizantino in Russia, poi a Roma. Già a quest’epoca Elisabetta è presa dalla passione per la giustizia sociale, che la porta in politica, ma nello stesso tempo lei è la prima donna a studiare teologia per corrispondenza, nell’Accademia teologica di San Pietroburgo. Poco dopo la rivoluzione del febbraio del 1917, al momento della guerra civile, affamata di giustizia, per qualche mese viene eletta sindaco della propria città natale, Anapa, nelle fila del partito dei socialisti. Nei colori dell’epoca è il partito dei bianchi – a quell’epoca per i bolscevichi non distinguevano le sfumature: tutti erano bianchi tranne loro, i rossi. Sconfitti i bianchi, Elisabetta con il suo secondo marito Daniele Scobzov, dopo tante peripezie, riesce con la famiglia a lasciare la Russia, scampando alla fucilazione. Costantinopoli, Belgrado, Parigi… solita strada di centinaia e centinaia di migliaia di profughi russi. La maggior parte di loro, spesso, sono indirizzati alla miseria, all’alcolismo, alla crisi nostalgica, al vagabondaggio e, a volte, anche al suicidio. Tanti di loro troveranno, poi, la propria protettrice nella futura monaca Maria.
Ma prima ancora lei riesce affermarsi come scrittrice. Negli anni ‘20 la sua produzione letteraria fu abbondante; sotto pseudonimo pubblica un romanzo autobiografico, La pianura russa: una cronaca dei nostri giorni, che parla degli anni della Rivoluzione e della guerra civile. Spinta, poi, dalla fiamma religiosa che diventa sempre più forte, comincia a scrivere alcuni libricini, raggruppati sotto il titolo Il raccolto dello spirito – vite di santi presentate con talento e con l’anima, ma senza la stilizzazione di un’ingenuità un po’ forzata. Elisabetta Scobzova pubblica anche dei fascicoli sulla filosofia religiosa di pensatori russi: Fëdor Dostoevskij, Vladimir Solov'ëv, Aleksey Khomiakov. Ma nello stesso tempo, cresce la sua vocazione monastica. Dopo la morte della sua bambina, Elisabetta scopre un’altra maternità, cui è chiamata dalla maternità universale. (Più tardi, anche la figlia maggiore Gaiana ritorna in Unione Sovietica e poco dopo muore). La decisione di Elisabetta si è maturata: deve donare tutta la propria vita a servizio di questa misericordia materna e perciò diventare monaca.
Tante vocazioni si sono incontrate sul suo cammino monastico: poetica - la sua ultima raccolta dei versi è uscita nel 1937, già con il suo nuovo nome; teologica e filosofica – lei scrive articoli che anche oggi provocano molto interesse e tante discussioni; artistica – un paio di anni fa a Parigi è stata presentata con successo una mostra di icone da lei dipinte. Ma al centro del suo pensiero e della sua creatività sta sempre il Cristo – vivo, vicino –, che non accetta i compromessi e le vie troppo facili. Lo stesso Cristo che si manifesta anche nella sua vocazione evangelica e sociale, nel suo servizio al prossimo, quello più bisognoso. Nel suo tempo il barbone russo era per lei icona di Cristo.
Parigi negli anni ‘20 e ‘30 del secolo scorso fu chiamata la Mecca dell'emigrazione russa, il centro del pensiero filosofico e teologico, dove vivevano i pensatori più eminenti dell’epoca. Nelle piccole case editrici escono le opere di pensatori religiosi: Berdjaev, Bulgakov, Šestov, Frank, Merejkovskij, Fedotov, e tanti altri. Regolarmente appare la rivista teologica-filosofica Put, (Il Cammino, forse, il più ricco e più interessante periodico del pensiero russo del XX secolo), insieme ad una decina di altre riviste. In Francia vivono grandi scrittori, tra cui Ivan Bunin, premio Nobel per la letteratura del 1934 e la splendida, tragica poetessa russa Marina Cvetaeva, per parlare solo delle vette – e tanti altri artisti, musicisti, pittori. Tutti loro hanno trovato la patria perduta nell’esilio, nell’oasi di una cultura raffinata e d’altissimo livello. Ma quest’oasi si trovava in mezzo al deserto della miseria che non risparmiava nemmeno gli abitanti dell’isola. I principi che avevano lasciato tutto in Russia ora si sentivano fortunati nel trovare un lavoro di tassisti; i profughi russi scendevano nelle miniere e dopo qualche anno morivano per la tubercolosi. Accanto alla fioritura dell’arte e del pensiero esisteva una discarica umana: la gente che aveva perso non solo la terra, la salute e la proprietà, ma prima di tutto il senso della propria vita.
Eletta segretaria del Movimento Studentesco Cristiano Russo, Elisabetta dal 1930 comincia il proprio lavoro missionario fra gli emigranti, in diverse città francesi. Ma il lavoro missionario non basta. Nel 1932, dopo il divorzio ecclesiale – che esiste nella Chiesa ortodossa – (la sua vita familiare s’era già sfaldata da tempo), viene consacrata monaca dal metropolita Evloghij, dell’Esarcato Russo del Patriarcato di Costantinopoli. Nella tradizione ortodossa la persona che prende l’abito monacale riceve anche un altro nome, quello del proprio santo protettore, come segno del totale cambiamento dell’esistenza. Elisabetta riceve il nome di Maria, la santa Maria Egiziaca, la quale aveva vissuto per 40 anni nel deserto, nella preghiera di pentimento dopo una scapestrata giovinezza. D’ora in poi non c’è più Elisabetta Scobzova, ma c’è Madre Maria, Mat’ Maria come lei si chiama di solito ed il suo deserto diventa la Parigi russa.
L’altissima cultura da una parte, la miseria umana e l’umiliazione dall’altra - questo contrasto tormentava già Lev Tolstoj, Alexandr Blok, Nicolaj Berdjaev. Elisabetta Scobzova, donna dalla cultura la più elevata, ha ereditato il senso di questa contraddizione tra i due mondi, ma in condizioni diverse, proprio quando l’attività intellettuale era diventata necessaria come il pane, poiché la cultura era rimasta l’ultimo terreno della patria. Come anche la Chiesa.
Da monaca Mat’ Maria si offre completamente non alla vita contemplativa, come è comunemente accettato nel mondo ortodosso, ma al servizio umile, quotidiano, concreto, pieno di sacrifici. «La mia via è particolare, ma com’è difficile!», - confessa ad un’amica. A Parigi, in rue Lourmel Mat' Maria, organizza una casa di cura per i malati di tubercolosi. Con l’aiuto di benefattori costruisce e allestisce un tempio ortodosso, disegnato e decorato da lei, con le sue stesse mani. L’Azione ortodossa, come su suggerimento di Berdjaev è stato chiamato questo gruppo dei volontari, animato e presieduto da Mat’ Maria, si dedica alla salvezza fisica e morale di una popolazione russa sprofondata nella droga o nella disperazione.
Un vecchio parigino russo mi ha raccontato che negli anni ‘30 ogni tardo pomeriggio, prima di sera, Mat’ Maria prendeva delle grandi borse e si recava ad uno dei più importanti mercati della città. Alla fine della giornata i prezzi crollavano e lei poteva comprare a bassissimo prezzo il cibo di cui i mercanti non avevano bisogno. Le persone la conoscevano già e le davano quasi gratis gli alimenti. Lei riportava queste borse pesanti all’asilo, nei poveri dormitori dove ex-ufficiali, ex-aristocratici ed ex-contadini stavano terminando la propria vita. Per poterli aiutare Mat’ Maria cercava i soldi dappertutto, senza demoralizzazioni, senza paura dell’umiliazione. Tanta gente di buona reputazione, anche all’interno della Chiesa ortodossa, la guardava come se fosse pazza e quasi eretica poiché la vocazione monastica, secondo la tradizione ortodossa, è pregare in chiesa o nella cella. Mat’ Maria difendeva il monachesimo da lei scelto anche sul campo teologico e spirituale, contro la critica da parte del monachesimo tradizionale e, a volte, lo contestava. Nell’articolo Sul monachesimo lei insiste sul dono totale di tutto il proprio essere a Cristo, ma anche al prossimo. «Il Monaco», insiste Mat’ Maria, «deve diventare portatore dell’amore divino e co-partecipante del sacrificio divino». In un altro articolo che rimane attuale anche oggi, Il secondo comandamento evangelico, analizzando le preghiere ortodosse ed i testi dei Padri della Chiesa, lei sottolinea l’aspetto comunionale del messaggio evangelico, spesso dimenticato, ridotto ad una devozione troppo individualistica. Ella scopre, infatti, una nuova dimensione dell’Ortodossia, la liturgia fuori le mura del tempio, come diceva uno studioso delle sue opere, la liturgia dell’amore attivo e sacrificale. Per questo motivo ha fama di riformatrice e le sue parole potevano essere anche urtanti per la pietà conservatrice – una pietà tipica per un popolo naufrago, per degli esiliati che volevano sistemare in un paese straniero la propria vecchia casa, restaurata esattamente come era stata nei beati tempi passati. Ma la prova finale di una fede che chiedeva sempre l’applicazione pratica, l’azione concreta, è arrivata con la guerra e con l’occupazione tedesca della Francia.
Nei propri scritti Mat’ Maria poneva un accento particolare sull’aspetto fisico del sacrificio sul Golgota, sulla sofferenza del corpo di Gesù. La difesa e la protezione del corpo del suo prossimo aveva per lei un significato spirituale di primo piano. La soluzione finale nei confronti degli ebrei, portata a compimento in tutti territori occupati dai tedeschi, fu da lei percepita come sfida a quel cristianesimo che lei confessava. Il suo Centro con la chiesa di rue Lourmel era diventato subito un centro di accoglienza e d’aiuto per gli ebrei che cercavano un qualche rifugio. Nel 1942, durante un grande rastrellamento, quando migliaia di ebrei furono radunati nello stadio, Mat’ Maria è riuscita a penetrare lì e nella confusione generale ha portato via qualche bambino. Adesso, attraverso L’Azione ortodossa – di cui faceva parte anche il figlio Jurij Scobzov e padre Dimitrij Klepinin (1904-1944), giovane sacerdote dal cuore umile, accogliente e coraggioso –, Mat’ Maria si dedica al salvataggio degli ebrei.
Il focolaio di L’Azione ortodossa in rue Lourmel era diventato una piccola arca di Noè per centinaia di condannati. Sembra che Mat’ Maria s’aspettasse quest’ultima prova della sua fede e cioè, che dovesse passare per la prova del fuoco di un pericolo mortale. La resistenza eroica all’ordine della bestia apocalittica era di natura spirituale. Per questa resistenza tutti hanno pagato il prezzo intero. P. Dimitrij Klepinin, tradito da uno dei suoi collaboratori, venne arrestato per primo. Durante l’interrogatorio gli fu chiesto: «Come lei, un sacerdote ortodosso russo, ha potuto aiutare questi ebrei?». P. Dimitrij mostrò all'ufficiale della Gestapo il piccolo crocifisso che tutti i sacerdoti russi portano sul petto, chiedendogli: «Lo vede questo ebreo?». La risposta dell’ufficiale fu un ceffone. Poi furono le torture, la fame, la malattia e la morte nel lager. In seguito, fu arrestato il figlio ventiduenne di Mat’ Maria, ed anche lui è morto in un lager. Dopo il proprio arresto Mat' Maria mostrò il medesimo spirito di sacrificio. Durante tutto il tempo dell’incarcerazione ella prestò un grande appoggio morale agli altri abitanti della sua baracca. Nel periodo in cui poteva ancora ricevere i pacchi mandati dagli amici liberi, Mat’ Maria condivideva un po’ di cibo con i malati. La sua ultima opera è stata ricamare un’immagine della Madre di Dio con Gesù-Bambino crocefisso. Si tratta di una raffigurazione poco tradizionale, come tutta la sua vita. Per compiere quest’icona Mat’ Maria riusciva a scambiare gli ultimi pezzi di pane con del filo. Affermano che per dare un po’ di coraggio alle donne destinate alla camera a gas abbia preso il posto di una di loro. Il 31 marzo del 1945, vigilia della Pasqua ortodossa, venne mandata nella camera a gas, quando l’artiglieria sovietica era già alle porte di Ravensbrück.
Mat’ Maria, p. Dimitrij Klepinin, Jurij Scobzov. La glorificazione ecclesiale di queste vite vissute come oblazione diventa un gesto profetico. Per tanti motivi che, forse, non sono ben visibili dall’esterno. Il primo: Mat’ Maria ha mostrato con un proprio cammino che la strada del monachesimo attivo, dedicato esclusivamente alla carità, senza dimenticare anche la preghiera, può essere percorsa anche nella devozione ortodossa. Il secondo – un’altra novità – l’agire per la giustizia, in rapporto con un prossimo che rimane fuori le mura ecclesiali, può trovare il proprio fondamento evangelico in una vocazione puramente religiosa. Questa scelta non era banale per una spiritualità in cui si è sviluppato soltanto un tipo di vita monastica, quello contemplativo. Il terzo - una novità inaspettata nella teologia e nella mentalità ortodossa che si apoggia sull’eredità della Chiesa dei primi secoli, con la sua aspra polemica antigiudaica - la scoperta del fratello nell’ebreo ed il sacrificarsi per lui. Sembra che il suo sacrificio abbia seguito le orme della confessione di Paolo: «Vorrei infatti essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne… israeliti…» (Rm 9, 3-4). Mat’ Maria, una donna tipicamente russa nel miglior senso della parola, è stata riconosciuta giusta tra le nazioni in Israele. A lei è dedicato un albero nel Museo Yad Vashem (come anche a P. Klepinin). Ma ella ha manifestato una nuova immagine della santità che noi, forse, dobbiamo ancora scoprire. Scoprire o risvegliare nella nostra memoria.
Vladimir Zelinskij
Per altre notizie su Maria Scobzova :
- Il fuoco di Cristo sceso sulla città (in francese)
- icone di Santa Maria Skobzova
- Maria (Skobtsova) (in inglese)